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di Rosa Ana De Santis
La mente che ha disegnato le nuove divise delle hostess Meridiana è quella di Cristina Ceolin, ex modella e moglie dell’amministratore delegato Giuseppe Gentile. Bisogna avere la taglia 40, al massimo la 42, per poterle indossare. Non sono previste altre misure e quindi tutte le assistenti di volo, obbligatoriamente, sono invitate a mettersi a dieta e a non aumentare di peso, fatti salvi i motivi di salute.
Una formale petizione di protesta è arrivata al presidente Ugo Cappellacci e al fondatore della società, l’Aga Khan. La chiara discriminazione, peraltro con l’aggravante sessista, ha scatenato un’autentica sollevazione interna e un moto di biasimo intorno alla scelta della compagnia o, più verosimilmente, al capriccio di una fissata del peso e dell’immagine. Le hostess della compagnia, età media 42 anni, non ci stanno e la denuncia dell’assurdo provvedimento è fin troppo facile.
Innanzitutto se una donna troppo in carne non è “esteticamente” corretta, uno stewart con un punto vita rilassato a diametro ellissoide non è da meno: eppure l’obbligo del peso forma è un provvedimento, per ora, tutto al femminile. Inutile dire, poi, che la qualità del servizio erogato ai passeggeri non passa certo per parametri di ordine estetico.
Fatta eccezione per i requisiti necessari alla selezione degli assistenti di volo, al decoro e alla “bella presenza” del personale non si può arrivare a scegliere sulla base della linea, discriminando una donna che, magari a 50 anni, indossa comprensibilmente una 44 o una 46. O arriveremo a preferirle la ventenne palestrata che sta comoda nella 40, ha le cosce più sode e la pancia piatta perché non ha avuto gravidanze?
La china discendente è presto fatta. Una compagnia aerea, solida e attenta al servizio, dovrebbe occuparsi meno di moda e passerelle e valorizzare piuttosto la professionalità dei propri dipendenti, soprattutto di quelli che, con qualche anno più sulle spalle possono vantare, oltre a qualche rotondità in più, maggiore affidabilità ed esperienza.
Peraltro un’idea così deviata, superficiale e velinesca della “bella immagine” non sembra potersi coniugare bene con un’idea inclusiva e moralmente ineccepibile di altre differenze, ben più importanti di quelle che dipendono da qualche chilo di troppo. Quale sarà la condotta di un’azienda su salute e malattia, se dimostra intolleranza e veti di legge su criteri ben più ininfluenti sul piano dell’azione lavorativa? Le premesse ci obbligano ad essere sospettosi e poco fiduciosi.
Nel momento della crisi di mercato e nella guerra a colpi di sconti delle compagnie low cost, la scelta di Meridiana oltre che deontologicamente “scellerata”, tradisce, in una versione semi comica, tutta la pochezza delle strategie di marketing. Possibile che non ci fossero altri provvedimenti da adottare se non quello di mettere a dieta il proprio personale femminile?
Forse qualcuno crede che questo renderà più appetibile volare su Meridiana? E magari imporremmo piercing, tatuaggi in vista, tinte fashion per capelli, tacchi vertiginosi, look seducenti e ammiccamenti sparsi per invogliare i clienti? Forse qualcuno parte dall’assunto che a volare siano tutti maschi, giovani, rampanti ed eterosessuali. E la passeggera anzianotta e su di peso volerà volentieri sugli aerei light? Quanti pregiudizi discriminatori in una sola mossa.
Meridiana dovrebbe sapere bene che lo stereotipo dell’hostess-mannequin è ormai finito in soffitta, anche a causa di ritmi e oneri di lavoro affatto paragonabili a quelli di anche solo pochi anni fa. La brutta figura di un estro femminile forse un po’ annoiato è costato all’azienda una petizione e una rivolta interna e diffuso biasimo. Per superare l’incidente sarebbe opportuno consigliare l’uniforme Air Italy per la prossima sfilata d’inizio collezione e invitare la stilista della magrezza a farsi un turno intero - insieme al consorte - sugli aerei Meridiana.
Per scoprire che non c’è spazio, nel diritto e nella deontologia, per nobilitare i vezzi al rango di doveri, senza che questo comporti l’abuso sui diritti. Perché il lavoro è fatto di risultati e l’intrattenimento, almeno per ora, sta bene solo sulle copertine glamour o negli stacchetti televisivi della tv. Ma per quello siamo già attrezzati: ci sono le veline.
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di Bianca Cerri
Brutto periodo per i pastori d’anime negli Stati Uniti: da quando è iniziata la recessione non riescono a trovare lavoro. Non solo: molte diocesi cattoliche e molte comunità presbiteriane hanno ridotto drasticamente i salari ai loro ministri o addirittura chiuso i battenti. Frank Amlie, ex-pastore evangelico licenziato nel 2009, ha raccontato al New York Times di aver scritto a decine e decine di chiese evangeliche ma nessuna era
interessata ad assumerlo. Un paio di comunità gli hanno chiesto di mandare il curriculum ma la cosa è finita lì.
A parte i rabbini, che hanno stipendi molto più alti rispetto ai ministri di altre religioni, per l’industria divina si preannunciano tempi difficili. Con il peggiorare della crisi economica neppure la questua rende più come una volta. L’unica categoria che riesce ancora ad ammassare immense fortune sfruttando la fiducia e l’attesa di prodigi da parte di devoti televisivi sono i telepredicatori. La tattica è più o meno sempre la stessa: persuasione di una fine inevitabile o di una nascita come salvezza, catastrofismo, presenza di un leader carismatico in grado di manipolare un’audience sterminata sollecitando l’invio di denaro per via telematica.
Naturalmente in questo revival evangelico non c’è posto per i valori tipicamente cristiani della pietà, della compassione e della pietà. Povertà e malattie sono meritate da Dio, i peccatori, i “devianti”, vanno abbandonati o puniti. Tanto per dare un’idea, quella che segue è una lista dei telepredicatori più ricchi e potenti degli Stati Uniti e dei metodi che hanno permesso loro di garantirsi uno stile di vita straordinariamente alto nonostante la crisi economica continuando nel frattempo ad ingerire nella vita politica del paese.
Juanita Byum: il suo programma televisivo viene trasmesso in quasi tutti i paesi del mondo. Una delle ragioni del successo di Byum deriva dal saper offrire alla gente comune la possibilità di identificarsi in uno stile di vita opulento come il suo. Nel 2003, quando sposò il predicatore pentecostale Thomas Weasley Weeks III, aveva al dito un diamante da 7.76 carati e indossava un abito bianco interamente ricoperto di veri cristalli Swarosky. Alla cerimonia da mille e una notte tenutasi presso il Regent Wall Street Hotel di New York erano presenti più di trecento invitati.
Kenneth e Gloria Copeland: qualcuno li ha a ragione definiti i più abili venditori di Vangelo d’America. I Copeland possiedono una fortuna valutata attorno ai novanta milioni di dollari. Nel 2007 lui finì sotto inchiesta per una brutta storia legata al riciclaggio di denaro sporco ma riuscì ad uscirne indenne rifiutandosi di testimoniare come previsto dai benefici che la legge americana concede alle comunità religiose.
John Hagee: consigliere spirituale della famiglia Bush è decisamente il più guerrafondaio dei telepredicatori americani. Ha sempre contrastato la battaglia a favore dei profilattici gratuiti. Nel 2000 definì George Bush, in corsa per la presidenza, “candidato di Dio”. “Il partito democratico”, scrisse Hagee in un suo libro uscito negli anni ’90, “è la casa di chi auspica il sesso libero e la libera circolazione delle droghe”. Promettendo ricchezza e prosperità ai suoi discepoli, riesce a guadagnare più di mezzo milioni di dollari l’anno. Esentasse.
Davanti alla distruzione portata dall’uragano Katrina, sostenne che si trattava di un evento voluto dal Creatore per punire in peccatori. In sintesi, il buon Dio aveva perso la pazienza a causa dei troppi peccati commessi dagli abitanti di New Orleans e per punirli aveva pensato bene di scatenare le forze della natura. Le cronache nazionali riportarono le dichiarazioni di Hagee senza muovere alcuna critica nei suoi confronti. Il 7 febbraio 2006, Hagee ha fondato assieme ad altri 400 leaders spirituali cristiani ed ebrei un’organizzazione chiamata “Christians United for Israel”.
Clefro Dollar: pastore capo della World Changers Church International, una delle comunità religiose più grandi degli Stati Uniti, con sede principale ad Atlanta, in Georgia. Grazie ai volontari che battono le strade delle maggiori metropoli americane sollecitando offerte ai passanti, Dollar ha potuto acquistare una Rolls Royce, un jet privato e un appartamento da due milioni e mezzo di dollari a Manhattan. Uomo autoritario, che spesso agita la bandiera del moralismo più bigotto, qualche anno fa fu trascinato in tribunale dalla moglie dell’ex-pugile Evander Holyfield che lo accusava di aver sottratto al marito sette milioni di dollari raggirandolo con la promessa della vita eterna.
John Corapi:nato a New York è un ex-giocatore di football americano convertitosi negli anni ’80 al cristianesimo. Nel maggio del 1991 fu ordinato sacerdote da Giovanni Paolo II. Il suo primo incarico da prete fu la direzione di una parrocchia cattolica di Houston, in Texas. Il 4 luglio del 2011 si è scoperto che Corapi, oltre a frequentare regolarmente prostitute, ha acquistato una proprietà per il valore di un milione di dollari. La chiesa cattolica l’ha praticamente costretto a rassegnare le dimissioni.
Don Stewart: titolare della Stewart Association che raccoglie fondi per i bambini poveri. Il Business Journal ha però scoperto che le donazioni finiscono tutte sul conto corrente dell’Associazione, che ammonta attualmente a otto milioni di dollari. La Chiesa Cattolica ha preso le distanze ma lui rifiuta di abbandonare.
Pat Robertson: sicuramente il più famoso e ricco dei telepredicatori americani. Proprietario della CBN, una rete televisiva che fattura oltre duecentoquaranta milioni di dollari l’anno. Nell’1985 ordinò all’uragano Gloria, che stava per abbattersi sulle coste della Virginia, di cambiare direzione e pare che Gloria gli abbia ubbidito. Possiede proprietà immobiliari in Asia, Gran Bretagna ed Africa. Dal 1999 è in affari con la Banca di Scozia. Appassionato di cavalli, ha comprato un puro sangue pagandolo seicentomila dollari. Secondo un’inchiesta del Virginian Pilot, Robertson è in affari col presidente della Liberia. Ha fatto parte del Consiglio Nazionale di Politica Estera degli Stati Uniti. Ogni anno, nei giorni che precedono le festività natalizie, Robertson torna ad affermare di essere in diretto contatto con il Creatore. “Non ha mai saltato un anno”, ha detto riferendosi alla puntualità con cui l’Altissimo torna a manifestarsi. Nek 1876 annunciò l’imminente arrivo dell’Apocalisse. Nel 2006 dichiarò invece che l’America sarebbe presto stata colpita da uno tsunami. Infine, il 4 gennaio scorso, ha detto di aver saputo mediante il verbo divino chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.
Jim Bakker: ex-ministro dell’Assemblea di Dio, ha fondato l’Heritage Village, una sorta di Disneyland religiosa. E’ padre di Jamie Bakker, a sua volta fondatore della Chiesa della Rivoluzione. Con le tele-prediche via satellite negli anni ’80 guadagnava già un milioni di dollari a settimana. Nel 1987 fu accusato di molestie sessuali da una segretaria dell’Heritage Village. Nel 1998 si è sposato per la seconda volta con una donna che prima di convertirsi aveva avuto cinque aborti dopo averla redenta.
Morris Cerullo: telepredicatore evangelico di origine italiana. Fino a qualche anno fa missionario e guaritore errante. In Gran Bretagna pare abbia cercato di convertire ebrei danarosi al cristianesimo evangelico suscitando le ire dei rabbini locali. Ha affermato durante un’intervista alla BBC di aver guarito con il semplice uso delle mani persone affette da mali incurabili. Un’equipe di medici inglesi, dopo aver studiato i casi, aveva concluso che si trattava di una clamorosa menzogna. La sua organizzazione, nota come “Città della Luce” con sede nella Carolina del Nord macina milioni di dollari l’anno.
Joyce Meyer: si autodefinisce cristiana carismatica. L’11 novembre del 2003 il Saint Louis Dispatch pubblicò un articolo su Meyer rivelando che la donna possedeva un aereo privato da dieci milioni di dollari, una Mercedes da oltre centomila dollari e un appartamento da oltre due milioni di dollari. La sede della sua organizzazione vale oltre venti milioni di dollari ed è intestata ad uno dei quattro nipoti di Meyer. Il Saint Louis Business ha invece rivelato che la Meyer Ministries possiede azioni di Wal Mart, Amazon, ecc. Il 6 novembre del 2007 il senatore Chuck Grassley aveva annunciato l’apertura di un’inchiesta nei confronti della Mayer Ministries. Da allora non si è saputo più nulla. Nel 2009 il Concilio Evangelico si era pronunciato a favore di Meyer Ministries affermando che l’organizzazione rispondeva pienamente ai requisiti di credibilità e solvibilità stabiliti dal Concilio stesso.
Jan e Paul Crouch: fondatori della Trinity Broadcast Network, la più grande catena televisiva cristiana. TBN ha una programmazione che comprende varie religioni. I programmi vengono trasmessi da 287 diverse reti televisive in tutto il mondo. Secondo il Los Angeles Times, nel 1998 Paul Crouch fu denunciato per molestie sessuale da un ex-dipendente. Lui negò dicendo di aver sempre contrastato qualunque forma di omosessualità. Lanciò anatemi contro gli omosessuali augurando loro di finire tra le fiamme dell’inferno. I coniugi Crouch, pur amando presentarsi come persone umili e dallo stile di vita frugale, possiedono un ufficio di mille metri quadri a Costa Mesa (California) con tanto di bar, sauna e palestra privata. Recentemente Crouch è stato denunciato da un giovanissimo ex-tossicodipendente che aveva promesso di aiutare per abusi sessuali.
Oral Roberts: pentecostale ormai defunto ma ancora capace di influenzare l’opinione pubblica e creare ricchezza. Qualcuno lo definì un tempo “campione assoluto della truffa religiosa”. Già negli anni ’40, quando era ancora poco più di un ragazzo, iniziò a viaggiare da un punto all’altro dell’America promettendo guarigioni miracolose in cambio di offerte. In Oklahoma acquistò una fuoriserie ed amava raccontare ai sui discepoli che era stato Dio in persona a suggerirglielo durante un’apparizione. Nel 1979 iniziò i lavori per realizzare un complesso ospedaliero che avrebbe preso il nome di “Città della Fede”. Mancando di circa sessanta milioni di dollari necessari a completarlo inserì nelle sue richieste di aiuto l’esca costituita da una stoffa miracolosa. In pratica, tutti coloro che avrebbero acquistato la stoffa potevano avere la certezza di usufruire di determinati miracoli. L.’ultima pietra della Città della Fede fu posata nel 1981 e cinque anni dopo i debiti ammontavano già a 25 milioni di dollari. Oggi gli edifici dell’ex-Città della Fede ospitano unicamente uffici.
Charles Blake: secondo il Memphis Flyer il telepredicatore afro americano Charles Blake guadagna un milione di dollari tondo tondo l’anno e vive in una villa di oltre tremila metri quadri a Beverly Hills. Gli adepti della sua chiesa vivono invece per lo più nei quartieri diseredati nella zona sud di Los Angeles.
Eddie Long: recentemente è tornato a predicare dal pulpito della New Birth Missionary Baptist Church alla periferia di Atlanta dopo un’accusa di molestie sessuali è un altro assertore del gospel della prosperità, che promette ricchezze materiali ai fedeli. Occultati fra il pubblico c’erano anche i due giovani che Long avrebbe tentato di corrompere al fine di ottenere favori sessuali. Attraverso un portavoce, Long aveva smentito ogni accusa ma ai due accusatori è stato offerto un congruo risarcimento. Sconcertante è che il reverendo pare abbia sottratto migliaia di dollari alla sua comunità per regalare macchine, abiti di lusso e computers ai ragazzi di cui s’invaghiva. La New Birth Missionary Baptist Church è una delle comunità più potenti di Atlanta. Come capo della congregazione Long guadagnava circa un milione e mezzo di dollari l’anno. Attualmente vive in una casa da due milioni di dollari con nove bagni circondata da un terreno di dimensioni impressionanti. Tutto questo nonostante la denuncia per abusi sessuali mossagli dalla ex-moglie Dabara Houston. La sua missione spirituale era iniziata nel 1987, dopo il licenziamento dalla Ford per “irregolarità finanziarie”. Molto vicino a George Bush, che nel 2006 gli fece assegnare dal dipartimento per le Politiche della Famiglia un milione di dollari.
Ed Young: fondatore della Fellowship Church di Dallas. Pare fosse solito sottrarre soldi alla comunità per raggiungere località esotiche a bordo di un jet privato. Fellowship Church ha conosciuto una grande espansione negli ultimi venti anni. Oggi ha numerosi filiali sparse in tutto il Texas. Nel febbraio del 2010 i giornali hanno attaccato Young accusandolo di condurre uno stile di vita da nababbo.
Joel Osteen: fondatore della Lakewood Church che mette sullo stesso piano Dio e dollari. Osteen e la moglie hanno acquistato una casa da dieci milioni di dollari a River Oaks, il quartiere chic di Houston. Osteen è convinto che negli Stati Uniti la religione può essere usata come mezzo per la massimazione dell’interesse individuale. Nutrito di un’ideologia confusa, che mescola un orientamento politico populista con visioni dell’apocalisse. Il primo raduno organizzato da Osteen nel 2004 ad Atlanta richiamò circa novantamila persone. Il 14 dicembre 2006 il Christian Post lo ha inserito nella lista degli uomini più affascinanti dell’anno assieme ad Andrea Agassi e al rapper Jay-Z.
Benny Hinn: telepredicatore nato in Israele da una famiglia ebrea poi emigrata negli Stati Uniti conosciuto per le sue energiche “crociate energetiche”, che avrebbero guarito migliaia di ammalati, non ama parlare delle sue ricchezze. Precursore del cosiddetto “gospel della prosperità”. Con l’appoggio di Paul Crouch è riuscito a mettere su un vero e proprio impero finanziario. Afferma di essere dotato di poteri sovranaturali conferitigli direttamente dal Creatore. Nel 1999 dichiarò durante un’intervista che presto avrebbe fatto risuscitare centinaia di persone. Nel 2006, grazie alle offerte dei suoi devoti sostenitori, ha acquistato un aereo privato da 36 milioni di dollari. Il velivolo è stato battezzato “Colomba Uno”. Un’inchiesta della rete televisiva NBC ha permesso di accertare che non esistono prove delle guarigioni millantate da Hinn e dai suoi collaboratori. Attualmente il suo programma televisivo, “This is Your Day” viene trasmesso in duecento paesi. Secondo il Colorado Spring Gazette è titolare di un tesoro valutato attorno ai 90 milioni di dollari. Nel 2010 era stato fotografato mentre passeggiava mano nella mano con una donna che non era la moglie nelle strade di Roma. Giornalisti e autori di satira lo avevano fatto letteralmente a pezzi. Ignorando tutti i commenti negativi, Hinn aveva lanciato una campagna per raccogliere due milioni di dollari tra i suoi fedeli. D’altra parte, il connubio tra lo zelo religioso e la capacità imprenditoriale è sempre stata la principale caratteristica di Hinn. Benchè prossimo ai 60 anni è considerato un vero e proprio “tombeur des femmes”. Il conto in banca intanto continua a crescere di pari passo con la sua fama.
Rick Warren: fondatore della Saddleback Church, una mega-chiesa evangelica situata a Lake Forest, in California. Barack Obama lo scelse in veste di rappresentante religioso ufficiale per la cerimonia dell’inaugurazione del mandato presidenziale. Tante le proteste da parte dei movimenti pro-choice. Ha dato un contributo decisivo all’approvazione di una legge che vieta i matrimoni tra persone dello stesso sesso in California. Da vari anni promette che restituirà il 90% dei soldi guadagnati alla comunità religiosa da lui fondata ma finora questo non è ancora avvenuto. Ha appoggiato Bill Clinton nella nascita della Global Initiative che ogni anno raccoglie milioni di dollari libro. Warren ha guadagnato circa dieci milioni di dollari con i diritti di un libro intitolato”Scopri che scopo ha la tua vita”.
Diceva Marck Twain che avere fede significa credere in qualcosa pur sapendo che non esiste. Forse alla base dell’avanzata di questi cialtroni imbellettati e cotonati c’è proprio il bisogno che tante persone hanno di credere a quel qualcosa che non esiste. Quanto alla cosiddetta intellighenzia di sinistra, da tempo rintanata nella sua casa, non avendo nulla da opporre alle teorie farneticanti dei telepredicatori, si limita a considerarli solo dei fenomeni da baraccone abili nello spillare denaro a degli sprovveduti. Senza accorgersi che la loro nefasta presenza è ormai arrivata a condizionare tutti gli aspetti della vita collettiva degli Stati Uniti ad iniziare dalla campagna elettorale attualmente in corso, dominata dal moralismo più bigotto e dall’intolleranza.
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di Bianca Cerri
Per le persone a rischio di arresto cardiaco i defribillatori sono stati una vera e propria benedizione. Si calcola infatti che con la defribillazione è possibile salvare l’80% delle persone anche due minuti dopo che cuore si è fermato, il 70% dopo tre minuti e così via. Già nel lontano 1947, un ragazzo fu salvato in extremis dai medici dell’Università di Cleveland grazie ad un prototipo di defribillatore realizzato proprio pochi giorni prima. Tuttavia, fino agli anni ’70 gli apparecchi erano troppo pesanti e ingombranti e per impostare lo shock era necessaria la presenza di un operatore munito di oscilloscopio.
L’avanzare della tecnologia ha poi cambiato radicalmente le cose. All’inizio degli anni ’80 arrivarono i primi defribillatori grandi come una radiolina impiantabili all’interno del corpo umano. Tuttavia non è sempre detto che la tecnologia sia un beneficio per le persone sofferenti. Almeno negli Stati Uniti, dove la classe medica è abituata a selezionare i pazienti non in base ai loro bisogni ma a seconda delle disponibilità finanziarie.
Non a caso migliaia di persone continuano a morire perché non possono permettersi di acquistare un defribillatore mentre altre migliaia ne hanno ricevuto uno senza averne assolutamente alcun bisogno. Si calcola che nelle strutture ospedaliere statunitensi almeno il 25% dei defribillatori sia stato impiantato su soggetti che avrebbero potuto tranquillamente farne a meno.
Un articolo pubblicato il 4 gennaio scorso sul Journal of the Medical Association parla addirittura del 40%. Per contro, con l’inizio della recessione, gli impianti sono scesi da centosessantamila a centoquarantamila l’anno perché molti pazienti non sono in grado di sostenere i costi della procedura.
La stessa Meditronic, la più grande azienda produttrice di defribillatori al mondo, ammette che almeno quattrocento persone muoiono ogni giorno per l’impossibilità di farsi impiantare un defribillatore. “Troppe”, ha detto un portavoce della Duke University che ha realizzato un’indagine statistica sull’uso della defribillazione negli Stati Uniti.
Alla Duke University escludono però che tutto dipenda dall’avidità dei medici e delle aziende produttrici di apparecchiature elettromedicali. “Veramente non ci aspettavamo che le cose fossero giunte a questo punto ma siamo certi che i medici abbiano fatto quanto ritenevano giusto per i pazienti” ha detto testualmente Sana Al Khatib, che ha condotto l’indagine per conto dell’Università.
E’ chiaro che l’inesperienza del medico e la difficoltà di arrivare ad una diagnosi nei casi di aritmie ventricolari possono in alcuni casi portare ad una valutazione errata delle condizioni cliniche del paziente. Tuttavia, basta fare un po’ di conti per rendersi conto che questa storia non ha nulla a che fare con la medicina.
Il costo di un impianto di defibrillatore negli Stati Uniti si aggira attorno ai cinquantamila dollari. Di questi, 2-3 mila vanno al medico che effettua l’intervento. La degenza di circa due notti può arrivare fino a 11-12 mila dollari. Infine, la spesa più grande riguarda il defibrillatore stesso il cui costo è di oltre trentamila dollari. Il dispositivo ha però bisogno di una batteria speciale per funzionare correttamente per almeno sette anni e qui si arriva facilmente a ottantamila dollari.
Nel 2008, con l’inizio della recessione economica, gli impianti di defibrillatori negli Stati Uniti diminuirono fortemente passando da circa centosessantamila a centoquarantamila. Meditronic ed altre aziende hanno ripreso quota grazie agli interventi su pazienti erroneamente convinti che la loro sopravvivenza dipendesse dall’impianto di un defibrillatore. Ben diverso il discorso per coloro che invece ne avrebbero effettivamente bisogno ma non dispongono di mezzi finanziari adeguati.
Molti non sanno nemmeno che gli scompensi cardiaci possono essere gestiti attraverso un dispositivo elettromedicale. “Non è mica obbligatorio per i medici spiegare ad un cardiopatico privo di mezzi che esistono apparecchi utili a trattare aritmie. Tanto anche lavorando giorno e notte per anni non potrebbero permetterseli”, ha detto con spavalda noncuranza il dottor James Mold, direttore del dipartimento di Ricerca Medica dell’Università dell’Oklahoma ai giornalisti dell’ABC.
Nell’impietosa logica di Mold, i medici devono accertarsi che i pazienti possano sostenere i costi di un eventuale intervento anche solo per fornire delle semplici informazioni. Ma cosa accade se una persona operata da anni perde il lavoro e non può permettersi di rimpiazzare le batterie necessarie al funzionamento del defribillatore sottocutaneo?
Nel 2003, William Kohler, un uomo di 51 anni sofferente di aritmia cardiaca fu improvvisamente licenziato dall’azienda presso la quale lavorava come tecnico elettronico. Oltre al lavoro, Kohler perse anche l’assistenza sanitaria perché l’assicurazione rifiutò di farsi carico delle spese mediche relative alla sua patologia.
Sei anni più tardi, la batteria del defibrillatore iniziò a perdere i colpi. Kohler aveva ormai 57 anni e per campare si era messo a fare il fattorino per una pizzeria che consegna pizze a domicilio. Non era assicurato e guadagnava meno di otto dollari l’ora. I famigliari e gli amici cercavano di aiutarlo come potevano ma nessuno era in grado di prestargli i diecimila dollari necessari a cambiare la batteria del suo defibrillatore.
Un giorno si era sentito male e i colleghi avevano dovuto trasportarlo di corsa all’ospedale. I medici erano stati categorici: senza una nuova batteria, il defribillatore avrebbe smesso di funzionare e sarebbe stata la morte. L’otto marzo del 2009, Kohler si sentiva esausto e chiese al principale di poter andare a casa. Salì in macchina e dopo aver percorso 400 metri si fermò al primo segnale di stop. Stremato cadde con la testa riversa sul volante. Gli impulsi troppo deboli del defribillatore non riuscivano più a dare al suo cuore la scossa sufficiente a permettergli di riprendersi. Un uomo che stava portando a spasso il cane avvertì la polizia ma quando lo trovarono Kohler era già morto. Per salvarlo ci sarebbe voluta una batteria da mezzo grammo, ma per impiantarla erano necessari diecimila dollari e lui non li aveva.
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di Rosa Ana De Santis
Come un gigante di ferro poggiato su un fianco, a pochi chilometri dall’Isola del Giglio, la Concordia concede, quasi con fascino, tutta l’immagine della tragedia: un abisso di errore umano che conta le sue vittime, gli eroi e tutte le meschinità umane. La scena di morte sembra uscita da un libro e ieri notte, mentre la Costa Serena sfilava dietro allo scheletro abbandonato del transatlantico, è diventata quasi il simbolo assoluto della fine e della pietà.
I naufraghi scampati hanno una sola storia da raccontare. La cronologia di un allarme dato in ritardo, l’evacuazione disorganizzata affidata alla buona volontà dei singoli, la fuga del Comandante Schettino, inciampato in una scialuppa come ha raccontato sotto interrogatorio e insieme a lui, pare, di troppi ufficiali dell’equipaggio. Cuochi, camerieri, disperazione, generosità e sacrificio di uomini come il musicista Giuseppe Girolamo, ancora nella lista dei 24 scomparsi, hanno guidato il lancio in mare di scialuppe e salvagenti e la messa in fila delle formichine, come apparivano dalle riprese ad infrarosso, i passeggeri accodati sulla pancia strappata della nave.
Il duello tra il Comandante che molla i suoi passeggeri e l’altro, l’ufficiale De Falco della Capitaneria di Porto, intervenuto a supplire la fuga vergognosa, ha fatto il giro del mondo. I toni ovattati, quasi addormentati di Schettino, si perdono nei comandi risoluti di un Comandante che proprio non ci sta a diventare eroe della tragedia, come titolano troppo facilmente i quotidiani, solo per aver fatto il proprio dovere.
Risiede qui tutta l’anormalità italiana: il dovere di un Capitano si trasforma in un’ eccellenza di spirito e umanità, mentre Schettino, il principe degli inchini a bordo costa, ritorna a casa, a Meta di Sorrento, protetto da un’assoluzione incondizionata, in nome della tradizione marinara, dei meriti passati o, più banalmente, del campanilismo di paese. La virata della salvezza avrebbe evitato la tragedia in mare alto e questo basterebbe a dimenticarsi il resto. Chiarirà la giustizia nel merito quello che però la deontologia, la morale e la legge degli uomini del mare hanno già chiarito. Schettino, nel momento del naufragio, non è rimasto a fare il comandante, a coordinare evacuazione e soccorsi, a istruire i suoi uomini, a mettere in salvo fino all’ultimo bambino della nave.
Per questo la sua scarcerazione suona come uno schiaffo ai sopravvissuti, ancora increduli mentre ci restituiscono le loro storie piene di terrore. Gli errori più grandi il Comandante Schettino li fa tutti dopo la collisione: sottovalutando l’entità dei danni e l’urgenza di evacuare la nave, forse - come chiarirà la magistratura - con una corresponsabilità di altri e della stessa Costa Crociere, rinunciando alla responsabilità delle sue funzioni, mettendosi in salvo non per ultimo, come vorrebbe il codice d’onore a bordo, ma per primo.
All’incommentabile gesto di vigliaccheria supplisce un Comandante che svolge onorevolmente la sua funzione, il suo bravissimo sottocapo Tosi, che per primo quella notte ha notato sui monitor la minaccia e l’insidia di quella bassa velocità del puntino verde Concordia, il giovane ragazzo dell’elisoccorso che si è lanciato dentro il relitto senza pensiero per la propria incolumità. Uomini perbene di dovere e di assoluto rigore.
Supplisce infine un popolo di anonimi santi che si spendono, questi si, senza dovere di ruolo e uniforme. Passeggeri generosi che aiutano i bambini a ritrovare i genitori, mariti che lasciano il salvagente alla moglie, posti in scialuppa lasciati agli anziani, ai bambini o ai disabili. Personale non qualificato che si dispera, ma rimane in mezzo alla gente.
Nel naufragio la stampa inglese ha visto la scena di un declino nazionale, forse di tutto il Vecchio Continente. Ma questa tragedia è tutta dei singoli e delle loro vite, così il valore simbolico è solo quello dei protagonisti e dei diversi ritratti di umanità che si avvicendano. Le vite perdute, quelle sopravvissute, quelle dei fuggitivi e delle stellette disonorate in una farsa tutta italiana che ha già incoronato eroi e incensato santi.
La nave è rimasta, proprio come scriveva Dante nel suo canto politico del Purgatorio “sanza nocchiero e in gran tempesta”. A due passi dalla terra, lì dove sarebbe bastato, come vuole il romanticismo tutto italiano, un Comandante degno a trasformare il racconto della viltà nella notte di un eroe.
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di Mariavittoria Orsolato
“Non studio, non lavoro, non guardo la tv” cantava Giovanni Lindo Ferretti prima della sua crisi mistica con conseguente trasmutazione in hooligan di Giuliano Ferrara. Era il 1985, al governo c'era Craxi, al Quirinale arrivava Cossiga e il disagio sociale giovanile aveva a che fare soprattutto con le pere. Anche allora l'Italia era il fanalino di coda westeuropeo quanto a disoccupazione ma alla fine, vuoi il parente, vuoi la conoscenza, vuoi il partito, un posto “a 'sti poveri ragazzi” lo si trovava sempre.
Forse allora i CCCP non lo immaginavano - o forse si dato il background socialista - ma la loro “Io sto bene”, da cui è tratta la strofa sopra riportata, è diventata una sorta di inno generazionale dei giovani italiani degli anni zero, quelli sfigati s'intende.
Li chiamano NEET - acronimo che in inglese sta per "not in education, employment or training” e che nella nostra lingua può essere tradotto come “nè, nè” - sono giovani tra i 16 e i 29 anni che non hanno un'occupazione, non vanno all'Università e non seguono corsi di formazione. Una nuova categoria sociale coniata in tempi non ancora sospetti - era il 1999 - dal report della task force anti-esclusione sociale del governo britannico e che nel 2010 comprendeva ben 2,2 milioni di giovani italiani.
I numeri, com'è ovvio, sono però destinati a crescere: l'Istat ha già lanciato l'allarme, indicando che tra gli under 25 la disoccupazione è al 30,1% e che il 72% delle giovani donne rinuncia a trovare un'occupazione nel breve periodo per dedicarsi alla casa e alla famiglia.
Bamboccioni spesso loro malgrado, i NEET sono persone che non hanno titoli di studio sufficienti o che al contrario hanno fin troppe lauree e specializzazioni, pronte ad inserirsi nel mercato del lavoro ma invano, perché intrappolati nel vicolo cieco della crisi e delle innumerevoli porte sbattute in faccia. Ragazzi che non vanno né avanti né indietro ma fluttuano in un mortificante limbo, con la terribile sensazione di non saper far nulla, di essere inutili. Il risultato è che in molti vengono svuotati a tal punto da questa condizione imposta da arrendersi alla disoccupazione, rinunciando a immaginare il futuro prospettatogli dai genitori quando i tempi erano migliori.
Stando al rapporto di Bankitalia sull’economia delle regioni italiane il nostro paese è il secondo in Europa per popolazione NEET, con un 24,2% di “nullafacenti”, ma gli esimi censori non tengono in debito conto che in questo particolare momento storico “cercare lavoro” è a tutti gli effetti un lavoro, full time e non retribuito tanto quanto i cosiddetti stage o tirocini formativi che l'istruzione propone agli studenti e che le aziende sfruttano come manodopera a costo zero.
Eurostat nel dossier “Methods Used for Seeking Work” ha rilevato come in Italia oltre due persone su tre in cerca di lavoro si affidano a un intermediario che può essere un parente o anche un sindacato, mentre le agenzie interinali e gli annunci sul web vengono snobbati in quanto “contatti a distanza”.
I dati riguardano il secondo trimestre del 2011 ma evidentemente non sono aggiornati. Basta andare in qualsiasi agenzia di collocamento, privata o pubblica che sia, per rendersene conto. Fino a poco tempo fa queste, soprattutto quelle private, scontavano la fama di essere fabbriche di precari malpagati con contratti al limite della legalità ed erano frequentate per lo più da immigrati o studenti alla ricerca del lavoretto per pagarsi i vizi: il 18% della popolazione secondo Eurostat.
Ora invece a compilare moduli e a consegnare curricula ci sono distinte signore, giovani italianissimi e soprattutto c'è un affollamento tale che spesso sulla porta compaiono cartelli in cui ci si scusa per il disagio ma “la consegna di cv è momentaneamente sospesa per eccesso di candidature e conseguente impossibilità di gestione”.
Delle due l'una: o le agenzie hanno degli archivi veramente striminziti oppure le persone non sanno davvero più a che santo votarsi pur di lavorare. Sempre secondo Eurostat la seconda via scelta per trovare un'occupazione consiste nel chiedere direttamente al datore di lavoro, stando alle tabelle del sondaggio oltre sei persone su dieci in cerca di occupazione si rivolge al principale.
Dato il “nanismo imprenditoriale” italiano, è normale che da Bruxelles considerino molto più semplice arrivare direttamente al capo, ma anche in questo caso la crisi, e soprattutto le cosiddette “manovre a contrasto”, hanno imposto le loro condizioni e per quanto sia facile presentarsi al datore di lavoro il passo successivo, ovvero farsi assumere in un qualche modo, è reso quasi impossibile.
Eppure l’eterogeneo popolo dei NEET costituisce un'immensa forza lavoro sprecata che, in congiunture economiche come quelle in cui sta affondando l’Italia, sarebbe fondamentale per uscire dalla crisi, ma si preferisce abbandonare questa forza a se stessa o peggio ancora la si convince, come provano a fare Ichino e Boeri, che la colpa sia di quelli che il lavoro già ce l'hanno e non vogliono rinunciare al tanto discusso articolo 18 che in realtà i lavoratori li tutela tutti, sia quelli di oggi che quelli che verranno.
Una gioventù castrata, disarmata e imbelle di fronte al sovvertimento di quella normalità generazionale che vorrebbe i figli vivere meglio dei loro padri. “Io sto bene, io sto male, io non so come stare” cantava nell'85 Ferretti. Sempre attuale.