Cronica mancanza di soluzioni per l’accoglienza dei migranti di passaggio nella Capitale d’Italia. E’ quanto emerge dal terzo Rapporto elaborato dalla Rete legale per i migranti in transito. “Dal primo luglio di quest’anno, i posti per i richiedenti asilo e rifugiati nel sistema SPRAR di Roma Capitale sono stati ridotti di 786 unità. Dei 2774 posti disponibili, la Giunta attuale è riuscita ad affidarne, attraverso procedura pubblica, soltanto 1988, quasi il 30 per cento in meno”, dicono i dati finali del report, tutt’altro che confortanti.

Sebbene gli sbarchi sulle coste italiane siano passati da 63mila del 2011 ai 117mila del 2017, non siamo di fronte a un’invasione. E sebbene gli sbarchi siano diventati l’emergenza dell’agenda politica italiana e abbiano caratterizzato il dibattito pubblico, a tranquillizzare gli animi degli italiani restii agli ingressi nel Belpaese, i dati dell’ultimo Rapporto ISMU sulle migrazioni, il XXIII, non sembrano svelare dinamiche e prospettive preoccupanti.

Un paese sfaldato, impaurito, impoverito, dagli aspetti contraddittori; da una parte la numerologia - forse addirittura concreta - che indica una crescita economica; dall’altra la percezione (e non solo la percezione) di non farcela, in un declino verticale che, come ripetono, sembra duro a morire. Scomponendo gli ultimi dati del rapporto Censis ci sarebbero in dicotomia, un sistema produttivo che si mostrerebbe in ripresa (ma solo grazie al manifatturiero) di pari passo a un senso generale di sfiducia nelle istituzioni, nei partiti politici (potrebbe essere altrimenti?).

In un sistema universalistico di protezione sanitaria tra i più avanzati al mondo in cui la tutela della salute è molto inclusiva e garantita a tutti, permangono grosse sacche di cittadini italiani e stranieri che rinunciano alle cure per ragioni legate al proprio reddito, alimentando un pernicioso circolo vizioso che conduce a un generale peggioramento delle condizioni di salute. Si chiama povertà sanitaria.

 

Che non è solo una piaga aperta nel tessuto sociale ma è origine di un malessere che ha conseguenze epidemiologiche e cliniche che possono protrarsi nel tempo. Se continuano a persistere sensibili difficoltà di accesso alle cure e ai farmaci anche per chi non è povero in senso assoluto, interessando venti famiglie su cento, figurarsi la limitazione della spesa sanitaria per i più indigenti, fra cui spiccano gli stranieri, chi ha un basso titolo di studio, chi ha più figli, chi vive al Sud, casalinghe, pensionati e giovani minorenni.

 

Nel complesso, secondo quanto si legge nel “Rapporto 2017 Donare per curare”, redatto da Banco Farmaceutico, un individuo su tre è stato costretto a rinunciare, almeno una volta, ad acquistare farmaci o ad accedere a terapie e a visite mediche, soprattutto odontoiatriche, e spesso anche perché impossibilitato al pagamento del ticket.

 

Ma al di là del ridotto budget di cui dispongono i cittadini residenti bel Belpaese, l’accesso alla sanità è limitato anche da tre ordini di motivi: molte prestazioni non sono coperte dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza); una parte della spesa personale è generata dal problema diffuso delle liste d’attesa che spinge alla sanità privata; la generosità a macchia di leopardo del Sistema Sanitario Nazionale, molto variabile a seconda dei contesti regionali, che genera profonde disuguaglianze.

 

E’ in atto un rapido e intenso mutamento di composizione della popolazione residente in Italia del quale “si deve tenere conto nel pianificare interventi sanitari di cura e prevenzione”, si legge nel Rapporto, includendo il fenomeno dell’immigrazione come elemento strutturale e non più transitorio ed emergenziale.

 

Considerato ciò, soprattutto per gli stranieri non in regola con le norme sull’immigrazione, i principali deterrenti nel rivolgersi alle strutture pubbliche sono il timore dell’identificazione, della scarsa conoscenza delle procedure e le barriere linguistiche, culturali, psicologiche e religiose.

 

Di importanza pari a quella esercitata dall’appartenenza etnica e dalla migrazione, i determinanti socio-economici rappresentano, sempre, un sostanzioso fattore di rischio per le malattie croniche, che faticheranno a essere trattate adeguatamente se si pensa che i più poveri per curarsi possono spendere solo centosei euro all’anno. Ventinove centesimi al giorno.

Sembrerebbe una realtà lontana anni luce dall’evoluto contesto culturale italiano, eppure il fenomeno dei matrimoni precoci nel Belpaese ha un tasso percentuale pari al 77 per cento, superiore al record mondiale (detenuto dal Niger, del 76 per cento). Nel corso degli ultimi due anni, su una popolazione di circa tremila abitanti nelle baraccopoli situate nella città di Roma, i matrimoni contratti con un coniuge ancora minorenne sono stati settantuno.


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