Sebbene con qualche acciacco, il sistema sanitario italiano gode, tutto sommato, di discreta salute. E la diagnosi, riportata nel I° Rapporto sul sistema sanitario italiano, effettuata dall’Enpam e dall’Eurispes, è relativa al suo funzionamento: a parte i disagi conseguenti al mancato turn over, sostanzialmente fermo da sette anni, alla sempre più invasiva precarietà del lavoro a chiamata per periodi anche brevissimi o secondo la logica interinale, e malgrado l’Italia si attesti fra i primi sette paesi europei a ritenersi “insoddisfatti” delle cure mediche ricevute, il sistema sanitario italiano, pur con qualche carenza, non si può certamente dire inadempiente.

 

 

Fatto salvo un andamento incostante della spesa sanitaria nell’ultimo venticinquennio, gli ultimi anni, a fronte della crisi economica internazionale, sono stati caratterizzati da una stabilizzazione determinata da un minore trasferimento di fondi da parte dello Stato agli enti locali e con la manovra di revisione, da tagli lineari alla spesa sanitaria, che ha registrato variazioni positive sul Prodotto Interno Lordo imputabili, però, anche all’incremento di questa a carico delle famiglie, obbligate a sostenerla, pure, dall’introduzione di misure di compartecipazione (in soldoni, il ticket) alla spesa farmaceutica.

 

Ma di fronte alle ristrettezze dei bilanci e come conseguenza di un sistema impoverito e caratterizzato da bassi investimenti, sorprende la presenza di dotazioni strumentali innovative e tecnologiche che cozza, sembrerebbe, con una tendenziale riduzione del ricorso alla diagnostica strumentale da parte dei medici di famiglia, primo anello del sistema.

 

Sempre più investiti da una crisi di ruolo, i medici di medicina generale sono sempre meno – uno ogni mille e duecento abitanti, in media – e sempre più vecchi (colpa dell’immobile turn over). Ma anche sempre più costretti, non solo loro, a esercitare la qualifica all’estero: negli ultimi dieci anni, su cento dottori europei che lasciano il paese d’origine, cinquantadue sono italiani.

 

A impoverire, poi, le alte potenzialità del sistema, l’intramoenia. Nata per accorciare le liste d’attesa e per interrompere il distorto meccanismo del doppio binario – stipendio fisso elargito dal servizio pubblico e reddito individuale derivante dall’esercizio in strutture private – la pratica dell’intramoenia ha finito per aumentare le disparità di trattamento nell’erogazione del diritto alla salute, a portata di mano per quei pazienti in grado di pagare una fattura di importo, in genere, più che doppio rispetto al costo del ticket. Di cui, per ogni prestazione di intramoenia, la struttura pubblica perde il valore, difficilmente valutabile nella giungla di regole e percentuali proprie e differenti per ciascuna azienda ospedaliera, la quale per rendere più prestante il servizio di intramoenia, investe, inoltre, in ‘abbellimenti’ che gravano sul bilancio del sistema e di cui godono in pochi.

 

Sul sistema pesano, inoltre, i costi aggiuntivi, stimabili in tredici milioni di euro l’anno che l’Ordine dei medici del Lazio quota come indebito riflesso economico, che produce la medicina difensiva a cui fanno ricorso, sia nella prescrizione dei farmaci sia con l’abuso di visite specialistiche ed esami del sangue sia tramite i ricoveri ospedalieri ingiustificati, i medici terrorizzati da eventuali iniziative giudiziarie a opera di potenziali pazienti insoddisfatti. In effetti, stando alla relazione conclusiva del 2013 della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, il numero di denunce al vaglio dell’attenzione parlamentare – in quattro anni, cinquecentosettanta – è sproporzionato (per difetto) rispetto alla percezione di persecutorietà strisciante tra i medici.

 

A più di un miliardo di euro, poi, ammonta la spesa per i servizi quali lavanderia, riscaldamento, pulizie, vigilanza e a tredici miliardi il costo delle inefficienze e degli sprechi nell’acquisto di beni e servizi da parte di Asl e aziende ospedaliere, a cui si aggiunge una quota che assorbe il 20 per cento delle risorse del sistema sanitario, sulla quale incide il fronte della corruzione. Malgrado i limitati esiti giudiziari e l’esiguo numero di condanne, per gli italiani la corruzione negli ambienti sanitari dilaga.

 

Certo, sull’onda della constatazione dei tanti casi di corruzione scoperti nel settore sanità, il fare di ogni erba un fascio è dietro l’angolo ma esistono, senza dubbio, erbe infestanti che agiscono illecitamente: dalla gestione delle liste d’attesa alle procedure che portano al rinnovo automatico e reiterato degli appalti per l’acquisizione di beni e servizi fino alle complicità nella falsificazione dei riscontri documentali. E arrivando fino agli obitori, con il business del ‘caro estinto’. Il peggio non è ancora morto.

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