Per la prima volta dal dopoguerra esiste il serio rischio, in molte economie avanzate, che i figli “finiscano la loro vita più poveri dei propri padri”. E l’Italia è già sulla buona strada: dal 2012, infatti, la povertà nel Belpaese tende a crescere con il diminuire dell’età per cui, da circa un lustro, la categoria più svantaggiata è quella dei giovani, in una condizione decisamente più allarmante di quella vissuta un decennio fa dagli ultrasessantacinquenni.

 

E, così, se nel 2007, a essere in uno stato di povertà assoluta era un giovane su cinquanta, oggi se ne conta uno su dieci e quelli a rischio di povertà sono passati da 732mila del 2010 a quasi due milioni del 2015, interessando il 33,7 per cento dei giovani italiani (con sei punti percentuali in più rispetto ai coetanei europei ed essendo, il loro paese, il terzo dell’Unione europea ad aver incrementato il numero dei ragazzi in difficoltà).

 

Accanto all’entità oggettiva della povertà, messa in evidenza dai dati del Rapporto Futuro Anteriore, redatto dalla Caritas, esiste un insieme di variabili soggettive e di contesto che definisce il disagio sociale: il divario generazionale in termini socio-economici a tutto sfavore dei giovani, la povertà culturale, la disoccupazione, il difficile accesso alla casa.

 

I divari di ricchezza tra giovani e anziani, a partire dagli anni novanta, si sono progressivamente ampliati producendo uno svantaggio evidente sia in termini di stipendio sia in quelli di carriera professionale con l’esito di procrastinare la costruzione di una vita autonoma fatta di indipendenza economica, uscita dalla casa di origine, acquisto di una casa, creazione di un nucleo famigliare, genitorialità.

 

Quella abitativa è una delle emergenze sociali di maggiore portata: essendo un problema trasversale da cui deriva la scarsa possibilità a elaborare statistiche basate su categorie anagrafiche, la difficoltà a ottenere un accesso alla casa a costi ragionevoli determina tra i giovani ostacoli aggiuntivi legati, appunto, al differimento sine die dell’autonomia personale, facendo dell’Italia uno degli stati europei con la quota più alta (pari al 65 per cento della popolazione giovanile) di ragazzi tra i diciotto e i ventinove anni che vivono ancora con i genitori.

 

E fra quelli che riescono ad affrancarsi dalla condizione di dipendenza, il 12,8 per cento non ha un regolare contratto d’affitto, il 13 per cento non riesce ad accedere all’alloggio popolare pur avendone fatto richiesta, il 33 per cento non ha avuto diritto a misure economiche di assistenza nel settore abitativo, il 18,7 per cento vive sotto sfratto, il 20,6 per cento impegna più del 70 per cento delle proprie risorse per le spese abitative.

 

E’ una ‘lost generation’: impossibilitati a lavorare, nonostante sia la generazione più istruita di sempre, i giovani rischiano di disperdere il loro capitale umano e sociale, sprecando tempo, opportunità e vitalità e rimanendo immobili in un limbo sempre più indefinito.

Chi presenta domanda d’asilo in Italia e viene trasferito nel territorio di competenza della sottosezione della Commissione territoriale di Siracusa1/Caltanissetta, ottiene una decisione positiva nel 64 per cento dei casi. Se però la stessa viene depositata nel territorio di competenza della Commissione di Siracusa, a una manciata di chilometri di distanza, le possibilità di ricevere una forma di protezione o permesso scendono al 35 per cento.

Non solo è uscito dalla lunga recessione ma ha anche consolidato la ripresa oltreché aver portato a casa risultati superiori (pure se non di molto) al resto del Paese. Certo, il Mezzogiorno fa ancora i conti con bassi salari, bassa produttività e bassa competitività ma, per le dinamiche di ripresa, non gli si può negare di essere “reattivo”: nel biennio scorso, infatti, stando a quanto si legge nel Rapporto SVIMEZ 2017 sull’economia del Mezzogiorno, ha contribuito alla crescita del PIL nazionale per circa un terzo con un notevole sforzo, ben superiore al suo peso produttivo.

di Tania Careddu

Oltre che la più grave ingiustizia sociale e uno degli indicatori chiave della salute e del benessere dei bambini, la mortalità infantile rappresenta, anche, il livello dei progressi (umani) compiuti per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030. Che, nello specifico, consistono nell’impegno di porre fine alle morti prevedibili di almeno venticinque bambini ogni mille sotto i cinque anni, e a quelle neonatali, riducendole ad almeno dodici decessi ogni mille neonati.

Su 3570 casette richieste ne sono state consegnate 995. Su 108 scuole da ricostruire, una è stata realizzata e un’altra è ancora in cantiere. E le restanti? A un anno dal sisma (e al secondo inverno), la ricostruzione nel Centro Italia è ancora in alto mare. A giustificare il ritardo generalizzato ci sono, certamente, cause oggettive come il susseguirsi degli eventi sismici che ha allargato l’area del cratere e allungato i tempi per la verifica dei danni sugli immobili, ma si riscontrano anche ostacoli di matrice umana.


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