Da elemento di protezione a principale fattore di rischio: così diventa la famiglia per quattrocentoventimila bambini - che dal 2009 al 2014 - sono stati vittime di violenza assistita. Una forma di maltrattamento (subdola e indiretta) definita come l’esposizione del minore alla violenza, fisica e psichica, di una figura di riferimento per lui significativa.

 

Eppure, osservando le storie riportate nel dossier Abbattiamo il muro del silenzio, redatto da Save the children, appare evidente come sia ancora molto scarsa (in confronto all’ampiezza del fenomeno) la consapevolezza rispetto all’impatto che un clima di violenza dentro casa può avere sui figli. Tante donne, infatti, nonostante riportino ferite o segni inequivocabili e difficilmente nascondibili ai figli, sono restie a dichiarare che quest’ultimi abbaino assistito alla violenza e solo poche (solo quelle che riportano episodi più evidenti) riconoscono in misura maggiore che i figli ne siano stati testimoni.

 

Nonostante quasi una mamma su due abbia seri problemi psichici derivanti dalla violenza subìta dal partner, in poche riescono a lasciarla sia per la mancanza di indipendenza economica sia “per il bene dei figli”. I quali, invece, in quelle condizioni, vengono lesi nello sviluppo fisico, psichico e comportamentale, con conseguenze anche nel lungo periodo.

Sbarchi in calo, discorso chiuso. E, invece, siccome a prescindere dagli sbarchi, il numero di stranieri in Europa, Italia compresa, è in aumento, il discorso deve rimanere aperto. Perché non basta gestire i flussi per governare le migrazioni, bisogna, piuttosto, intervenire sull’integrazione. Cominciando dal basso. Dalle città, quelle più grandi e tecnologicamente più avanzate perché (potenzialmente) offrono migliori opportunità per accedere ai servizi pubblici, a reti sociali più capillari e al mondo del lavoro.

Diminuisce l’intolleranza contro le persone omossessuali ma esplodono xenofobia, islamofobia, antisemitismo e odio contro le donne. Questo è quanto. A dirlo, la Mappa dell’Intolleranza, realizzata da Vox-Osservatorio italiano sui diritti che, da tre anni, rileva la tendenza all’odio on line.

 

Tramite ‘innocui cinguettii’. A scorrere i dati, si nota un’estremizzazione dell’odio: la concentrazione di tweet, con un aumento esponenziale di quelli contro gli islamici, i migranti e gli ebrei, mostra che la comunità on line si sta polarizzando verso specifici gruppi sociali. Atteggiamento certamente predittivo di forte intolleranza verso persone considerate “aliene”, diverse.

 

La seconda (dietro solo alla misoginia) categoria più colpita, i migranti contro i quali si scatena un’intolleranza pervasiva e diffusa che si alimenta con gli sbarchi dei profughi e genera rabbia figlia della paura. Verso i jihadisti, i terroristi e i vu cumprà: così la rete fotografa i musulmani, dilagando verso l’islamofobia che cresce dove è minore la presenza di islamici, in un contesto di polarizzazione dell’odio made in Italy. Da Torino al Veneto, da Firenze a Bari. E, soprattutto, a Napoli e dintorni. Roma e il centro Italia restano, come gli anni precedenti, le zone in cui si concentrano anche i tweet antisemiti che, in quest’ultima rilevazione, hanno invaso pure la Lombardia: strozzini, avari, sionisti.

La macchina sanzionatoria, che ingolfa uffici amministrativi e di polizia, e la legislazione proibizionista con le sue conseguenze penali, sono le basi dell’immobilismo politico sul tema delle droghe. Visto che il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana quando si parla di droga è l’impianto repressivo che ispira l’intero Testo Unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino-Vassalli, vecchio di vent’otto anni.

 

Senza le leggi repressive e carcerarie non si avrebbe il sovraffollamento nelle carceri: quasi il 30 per cento dei detenuti entra in carcere per un articolo di legge e un quarto della popolazione detenuta è tossicodipendente. E la repressione si abbatte sui consumatori tanto che, rispetto al 2015, c’è un più 40 per cento di segnalazioni per consumo di sostanze.

 

Dal lavoro forzato sui pescherecci nel Sudest asiatico ai miseri salari percepiti nelle piantagioni indiane di tè fino alla fame di cui soffrono i lavoratori delle aziende vitivinicole del Sudafrica: violazioni dei diritti umani e dei lavoratori che riforniscono i grandi supermercati, cominciando dalle lunghe filiere di produzione e alimentando la spirale della disuguaglianza.

 

I numeri: nell’Unione europea, solo dieci supermercati gestiscono la metà di tutte le vendite al dettaglio di prodotti alimentari; nel mondo, solo cinquanta industrie alimentari controllano la metà di tutte le vendite di prodotti alimentari; quattro imprese detengono il 70 per cento dei guadagni del commercio globale di derrate agricole e tre imperi industriali dominano quasi il 60 per cento del volume di affari relativo al commercio delle sementi e dei prodotti chimici per l’agricoltura.


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