Nonostante l’hotspot rappresenti il sistema ordinario con il quale le autorità italiane gestiscono l’accoglienza dei migranti, a tre anni dalla loro istituzione, manca una disciplina organica. E a regolarlo sono le Procedure operative standard (SOP) che, però, hanno permesso, troppo spesso, numerose e rilevanti violazioni.

 

In un documento, indirizzato al ministero dell’Interno, Indiewatch, Cild, ASGI, Cledu Palermo, Arci e Actionaid rilevano delle incongruenze con la normativa vigente. Per esempio, per quanto attiene ai profili della limitazione della libertà personale: è illegittima la previsione contenuta nelle SOP secondo la quale è necessario il fotosegnalamento dei migranti prima di uscire dall’hotspot o il trasferimento in un’area dedicata dell’hotspot in caso di avvenuta impossibilità di rilevare le impronte digitali.

Sei italiani su dieci sono “preoccupati”; il 58 per cento è “abbastanza preoccupato”. A una manciata di giorni dalla Giornata internazionale della tratta di esseri umani, il 30 luglio, questo è l’atteggiamento generale degli abitanti del Belpaese nei confronti del fenomeno dell’immigrazione.

 

Secondo il sondaggio effettuato da Doxa, a incidere sul livello di preoccupazione degli italiani sono i temi dell’ordine pubblico e della sicurezza: lo sostiene il 48 per cento degli intervistati, raggiungendo picchi del 54 per cento tra gli over cinquantaquattro e del 55 per cento tra gli abitanti del Nord Est, i quali chiedono che si distingua tra profughi, immigrati regolari e clandestini. Lo chiede l’83 per cento degli abitanti del Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto contro il 77 per cento della media nazionale, e l’82 per cento di chi pretende la (assurda) differenziazione appartiene alla classe di età dei 35-cinquantaquattrenni.

 

A parte questa classificazione per fascia d’età, la preoccupazione rispetto all’immigrazione è trasversale sia in relazione alla situazione anagrafica sia rispetto all’area geografica. Unica eccezione: nelle città con oltre centomila abitanti, la preoccupazione interessa il 63 per cento, registrando cinque punti in più della media nazionale.

 

A fronte di un titolo di studio più alto decresce il grado di pericolo percepito cosicché solo un laureato su due si dice preoccupato mentre tra i possessori di licenza media, la soglia tocca il 60 per cento; il livello di istruzione gioca, anche, un ruolo chiave rispetto all’idea che gli immigrati rappresentino una minaccia per l’occupazione: a pensarlo, infatti, solo l’11 per cento dei laureati contro il 39 per cento di coloro che non sono andati oltre la terza media.

 

Nonostante qualche peculiarità, dunque, i dati del sondaggio mostrano che lo spirito d’accoglienza degli italiani risulta elevato; per loro, chi scappa da guerre e terrorismo “va accolto”: è così per il 75 per cento degli italiani, l’85 per cento dei millennials, l’83 per cento del Centro Italia, l’81 per cento dei laureati, il 69 per cento dei residenti nelle grandi città.

 

Percentuali più alte rispetto a dicembre 2017; era al 70 per cento il livello di accoglienza, al 45 per cento il livello di preoccupazione (oggi sceso al 33 per cento) di fronte a una eventuale richiesta da parte delle istituzioni di ospitare i migranti nel proprio quartiere; e la soglia generale di preoccupazione era superiore di venti punti così come è superiore di otto punti – 44 per cento a dicembre 2017 versus il 52 per cento a luglio 2018 – il numero di italiani , uno su due, che pensano che “gli immigrati rappresentano una risorsa per il Paese”.  A dicembre dello scorso anno, gli italiani preoccupati erano otto su dieci. Due in più.

Premesso che i livelli di istruzione più alti sono associati a migliori opportunità lavorative, a retribuzioni più elevate, a migliori condizioni sanitarie e maggiore impegno sociale, la quota di popolazione italiana con almeno un diploma è molto inferiore alla media europea.

 

Lo svantaggio dell’Italia rispetto all’Europa è marcato, prima di tutto, fra le generazioni: il 74,8 per cento dei 25-43enni ha almeno il diploma di scuola superiore contro il 47 per cento dei 60-64enni mentre permane il divario territoriale all’interno del Belpaese dove rimangono livelli di istruzione più bassi nel Mezzogiorno, anche fra i giovani.

Secondo le autorità italiane, sarebbero 125 i foreign fighters legati all’Italia e nonostante se ne contino solo 2 ogni milione di abitanti - pochi sia in termini assoluti sia in relazione all’intera popolazione - il Belpaese, storicamente, ha giocato un ruolo importante nelle prime mobilitazioni jihadiste. Basti pensare alla centralità di network egiziani e maghrebini basati in Lombardia durante il conflitto bosniaco o alla partenza dalla moschea di viale Jenner a Milano verso l’Iraq contro il neonato governo iracheno dell’immediato post Saddam.

Con 538 ordinanze di custodia cautelare, il 2017 è stato l’anno in cui sono stati effettuati tanti più arresti per crimini contro l’ambiente e tante più inchieste sui traffici illeciti di rifiuti che in tutta la storia italiana. Più 139 per cento rispetto al 2016. I numeri: 158 arresti per delitti di inquinamento ambientale, disastro e omessa bonifica, 614 procedimenti penali avviati, 76 inchieste per traffico organizzato, 177 arresti, 992 trafficanti denunciati, 4,4 milioni di tonnellate di rifiuti sequestrati - settore dove si concentra la percentuale più alta di illeciti.

 

Predilette dai trafficanti per finte operazioni di trattamento e riciclo ci sono i fanghi industriali, le polveri di abbattimento fumi, i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, i materiali plastici, gli scarti metallici, carta e cartone. Più di 6mila le persone denunciate per reati contro la biodiversità e circa 7mila sono state le infrazioni.

 

Crescono i reati nel settore agroalimentare: 37mila, con 22mila persone denunciate, 2773 sequestri e 196 arresti: ittico, vini e alcolici, cosmesi, ristorazione. Una media di 10 infrazioni al giorno nel ciclo illegale del cemento, sebbene in diminuzione: secondo le stime del Cresme, riportate sul dossier Ecomafia 2018 di Legambiente, in Italia solo nel 2017, sarebbero state costruite circa 17mila nuove case abusive.


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