di Sara Nicoli

Nel loro quarto giorno di sciopero dall’inizio dell’autunno, i giornalisti italiani, aprendo le pagine del quotidiano crumiro "Libero", hanno appreso, non senza un comune senso di sconcerto, di avere nel capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, il principale nemico delle regole che sottendono alla libera informazione. E, di riflesso, dei giornalisti che le seguono. Niente di nuovo, si direbbe. Mai però - almeno a nostra memoria - Berlusconi si era esposto così vivacemente nella difesa di chi ha commesso quella che, per i giornalisti per bene, è la colpa più grave: fare lo spione per i servizi segreti mascherandosi dietro il tesserino dell’Ordine. Stiamo parlando di Renato Farina, vicedirettore del medesimo “Libero”, più noto come “agente Betulla”, a libro paga del Sismi, reo confesso e recentemente sanzionato dall’Ordine con un anno di sospensione dal mestiere, invece di essere radiato come sarebbe stato auspicabile e necessario vista la gravità della colpa.

di Elena G. Polidori

Solo oggi i quotidiani sono tornati in edicola dopo due giorni di sciopero dei giornalisti. Siamo a quota 13 giorni complessivi di sciopero che i giornalisti hanno dovuto sostenere nel tentativo di rinnovare il contratto di lavoro della categoria, scaduto da 586 giorni. E’ una vertenza difficile, la più complicata degli ultimi dieci anni, forse la più dura di sempre. In gioco non ci sono i privilegi di pochi giornalisti a contratto a tempo indeterminato e garantiti dalla solidità della testata di appartenenza. In gioco c’è la sopravvivenza della libertà di informazione che passa anche attraverso quella dei suoi operatori, che gli editori vorrebbero sempre più sottomessi e sottopagati. In gioco, ancora, c’è la possibilità di molti giovani aspiranti giornalisti a diventare tali, vedendosi riconosciuta la dignità di una professione che è una delle travi portanti della democrazia del nostro Paese, se non la principale. E non solo.

di Sara Nicoli

E' successo come in altre occasioni, ma stavolta, se possibile, con maggior forza e arroganza. Non appena il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha invitato il parlamento ad aprire il dibattito sull'eutanasia, provocando un'accellerazione dell'iter politico per gli otto disegni di legge presenti in Senato sull'argomento, ecco che subito, da Oltretevere, la Chiesa ha rivendicato la propria esclusiva nel dire l'ultima parola su tutto ciò che attiene alla vita e alla morte.
Stavolta, invece del solito Ruini, è sceso in campo il ministro della "Salute" di Benedetto XVI. E se, nei casi precedenti, quando i temi erano variati dall'aborto alla legge 40, il monito del Vaticano si era fermato ad un semplice "invito" alla coerenza da parte dei cattolici, nel caso dell'eutanasia le parole usate dal cardinal Javier Lozano Barragan non hanno lasciato adito a dubbi. Nessun riferimento al "popolo cattolico", nel senso più ampio del termine. Il messaggio era mirato ai "parlamentari cattolici". Che hanno "l'obbligo morale di esporre il Magistero e la posizione del Vangelo facendo presente che l'eutanasia è morte, che è un assassinio".

di Sara Nicoli

Piergiorgio Welby "Signor presidente, mi aiuti a morire; questo mio grido non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese". Con la forza che gli resta, Piergiorgio Welby, co-Presidente dell'Associazione Luca Coscioni, malato di distrofia muscolare progressiva, ha registrato un video contenente una lettera aperta al Presidente della Repubblica. E' una supplica, non il testamento di un malato terminale che non ha più speranze e si augura solo di non svegliarsi la mattina: Welby chiede al Capo dello Stato di farsi promotore della riapertura del dibattito politico sull'eutanasia. "Perchè, signor presidente, io vorrei che anche ai cittadini italiani fosse data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi e olandesi; Montanelli mi capirebbe, se fossi in un altro Paese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo, ma sono italiano e qui non c'è pietà".

di mazzetta

Voglio porgere un invito ai commentatori che domani affronteranno l'ingrato compito di riferire della manifestazione in programma a Ferrara per chiedere che sia fatta luce sulla morte di Federico Aldrovandi.
Quasi tutti quelli che conoscono la sua storia lo devono alla sua famiglia, che ha trovato la forza di reagire a una situazione che nessun cittadino italiano dovrebbe mai affrontare.
Una mattina di un anno fa, il 25 settembre, Federico non è tornato a casa. E' morto a pochi metri dalla sua abitazione, all'alba, in una tranquillissima zona di Ferrara, dopo un serata con gli amici.
La polizia, che ha disgraziatamente incrociato il destino di Federico quella mattina, riferì che il giovane diciottenne era stato sorpreso a picchiare la testa contro i pali della luce. Dice che ci fu chi telefonò al centralino per avvertire di questa bizzarria di Federico e che gli intervenuti si adoperarono per contenerlo e soccorrerlo.
Qui comincia una vicenda che sarebbe surreale se non chiamasse in causa l'onorabilità delle istituzioni e non traesse spunto dalla morte di un ragazzo.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy