di Lidia Campagnano

Nessuna banalità del Natale, quest’anno: lievita lo scontro ideologico sull’uso pubblico dei simboli (il presepio, che minaccia di diventare un’ingiunzione) e per giunta, proprio alla vigilia, una Chiesa, quella cattolica, che si considera l’unica erede legittima di Gesù di Nazareth, tiene fuori dalle sue porte un uomo che è morto scegliendo, per amore di altri, di pubblicizzare la sua volontà di interrompere una sopravvivenza per lui insensata. Simboli di vita e simboli di morte domandano a chiunque una severa interrogazione: succede quando i simboli si inaridiscono invocando urgentemente altra vitalità di pensiero, nuova creazione simbolica. Per una volta sarebbe giusto che tutti e tutte, indipendentemente dalla loro posizione religiosa o culturale o politica, festeggiassero questo Natale come segno di una necessità e di una speranza: quella di farsi creatori e creatrici responsabili della nascita di un’orizzonte umano più grande, grande quanto la Terra e insieme più intimo, più radicato nelle ragioni profonde e personali.

di Cinzia Frassi

Piergiorgio Welby è morto. Aveva 61 anni. Qualcuno ha esaudito le sue volontà staccando la spina, dopo la sedazione somministrata dal medico anestesista Mario Riccio, membro della Consulta di Bioetica di Milano. Poche ore fa in una conferenza stampa, Riccio ha dichiarato che “Welby ha accettato la sedazione per via venosa così gli abbiamo somministrato un cocktail di medicinali. L'operazione è durata quaranta minuti. Contemporaneamente abbiamo staccato il respiratore. Tengo a precisare che le due operazioni sono avvenute simultaneamente". La notizia arriva nel pieno delle polemiche più accese e ci lascia con il fiato sospeso. Marco Pannella, Presidente dei Radicali, ha dato la notizia dai microfoni di Radio Radicale. Lascia sconcertati questo evento, nonostante le attese, la volontà di Piero, le sue richieste di staccare quella spina che gli permetteva di respirare. Fin dalla sua lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la battaglia personale di Piergiorgio, era diventata politica, nel tentativo di richiamare questo paese, cittadini e istituzioni, alla responsabilità più che alla necessità di trovare una soluzione chiara e praticabile per chi come lui vuole decidere liberamente della propria vita, di smettere di soffrire, di addormentarsi senza dolore. Così è stato e qualcuno quindi gli avrebbe consentito di arrivare proprio là dove aveva chiesto inutilmente di arrivare. "Oggi il silenzio, domani le parole" è stato il solo, commosso commento di Pannella.

di Sara Nicoli

Non ci voleva certo un giudice, nello specifico Angela Salvio del Tribunale Civile di Roma, a ricordare che, in Italia, non esiste il diritto legislativo di chiedere l’interruzione di “cure” che nulla hanno a che vedere con la salvaguardia della salute di un paziente, ma insistono solo su un accanimento terapeutico privo di qualsivoglia speranza. Era dunque quasi attesa quella sentenza di inammissibilità che ieri è stata depositata in cancelleria, dopo quattro giorni di camera di consiglio, e che ha respinto la richiesta di interruzione del trattamento terapeutico presentata da un Piergiorgio Welby. Un uomo ancora capace di intendere e di volere al punto da costruire sulla sua sofferenza fisica una battaglia lacerante per le coscienze di tutti e, allo stesso tempo, impossibile da eludere ancora a lungo per convenienze politiche o dubbie esigenze confessionali e di palazzo. Coraggiosamente, tuttavia, i giudici del Tribunale Civile di Roma hanno inserito tra le righe del dispositivo anche una forte chiamata di correità nei confronti della politica, la cui inettitudine pregressa, unita alle recenti fiammate teodem, non è stata capace di colmare con una forte iniziativa legislativa, un abissale vuoto normativo in materia di un diritto non meno importante di quello legato alla vita: quello di morire con dignità.

di Cinzia Frassi

Il giudice monocratico Angela Salvio si riserva di decidere sull’istanza presentata da Pergiorgio Welby. Questo il risultato dell’udienza presso il Tribunale di Roma, prima Sezione Civile, dopo il parere della procura della Repubblica che riconosce il diritto di Welby di staccare la spina ma, aggiunge, “se il malato soffre, i medici possono ripristinare le cure”. Sono cauti alla Procura e lo è pure il giudice Angela Salvio, che avrà ancora qualche giorno per prendere una decisione definitiva. La sentenza dovrebbe essere emessa entro una settimana, in base ai termini di legge. Ha preso tempo, ma gli elementi per decidere ci sono tutti, a parte il dibattito acceso che si consuma fuori dall’aula. Welby è nato nel 1945 e dall’età di 20 anni soffre di distrofia muscolare, una malattia che lo costringe da troppo tempo ad una vita che lui definisce “inaccettabile”.

di Fabrizio Casari

C’erano tutti gli ingredienti. La strage atroce, la furia omicida scatenata contro un bambino e quattro adulti. Solo uno è ancora vivo, pur in condizioni gravissime. Persone innocenti d’ogni peccato, anzi; lei, impegnata nell’assistenza agli anziani, forse uno dei lavori più nobili tra la nobiltà del lavoro. Un bambino che, innocente e puro lo è per definizione, giustamente. E poi due persone, innocenti e nobili anch’esse, intervenute a difesa di quegli inermi. Poi il fuoco, a distruggere prove e tracce, indizi e certezze. Ma non quelle degli inquirenti e dei cronisti che fungono da prolunga dei microfoni. Persino lo scenario sembrava ideale ad una ricostruzione d’appendice. Erba, un paesino isolato in provincia di Como, a dieci chilometri dal confine con la Svizzera. Pronte tutte le analogie e le analisi da psichiatri da quattro soldi sull’impossibilità e l’inafferrabilità delle dinamiche criminose, socio-patologiche, insite in tutte le piccole comunità. Ma, su tutto e sotto tutto, il colpevole giusto, nemmeno fosse stato disegnato con cura. Tunisino. Immigrato. Feroce, come un novello Saladino. Condannato per droga e rapina. Incarcerato. E, pena massima di questi tempi, uscito dal carcere con l’indulto. Pennivendoli a un tanto al chilo si sono lanciati sull’osso da spolpare. Solleticare la pancia dei benpensanti fa notizia, suscita indignazione, crea morbosità. Insomma, tira copie.


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