di Domenico Melidoro

Periodicamente la cronaca sottopone all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale casi complessi riguardanti le difficoltà che la convivenza di differenti culture determina nelle società multiculturali dell’Occidente. Che in esse sia presente una pluralità di concezioni religiose e morali è ormai la constatazione di un dato di fatto. Il problema (sia di natura pratica che teorica) è quello di rendere possibile la coesistenza pacifica di diverse posizioni a proposito di ciò che è giusto e doveroso, senza che il potere politico sia vissuto da alcune comunità come estraneo o addirittura ostile, come nel caso di alcune minoranze etniche o religiose che potrebbero trovarsi a disagio in una società che non condivide il loro stile di vita. Gli ultimi casi che hanno fatto discutere anche nel nostro Paese arrivano dalla Gran Bretagna. Una hostess cinquantacinquenne è stata sospesa dalla British Airways perché indossava un piccolo crocifisso.

di Fabrizio Casari

A tutti noi, padri o madri, genitori consapevoli o distratti, sarà capitato di pensare, almeno una volta, a cosa sarà il futuro dei nostri figli. Ma forse non sarà mai capitato di pensare che, quali che saranno le difficoltà che si troveranno davanti, potranno comunque crescere dal lato fortunato del mondo; quello dove la lotta è per un futuro migliore ma dove, almeno, il futuro esiste. Difficilmente, invece, ci si sofferma a pensare a chi, del futuro - se lo avrà - dovrà averne paura; a tutti coloro, cioè, che vivono nella parte del mondo che con le sue piaghe finanzia il nostro benessere. Sono i minori senza volto e senza nome, quelli sulle cui sofferenze si fondano profitti indegni che marciano di pari passo con silenzi ipocriti. Basta leggere i dati contenuti nel “Rapporto sulle violenze contro i minori”, presentato dal brasiliano Paulo Sergio Pinheiro al Segretario Generale dell’Onu Kofi Annan, che contiene cifre sulle quali il mondo cosiddetto “sviluppato” dovrebbe riflettere a fondo.

di Giorgio Ghiglione e Matteo Cavallaro

In un intervista rilasciata di recente al quotidiano La Repubblica il presidente della Confindustria Piemontese si dichiarava pronto a organizzare una marcia Pro Tav. Scopo della manifestazione quello di sensibilizzare la popolazione sull’importanza strategica della Linea ad Alta Velocità. Parole condivise dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino e da Emma Marcegaglia, vicepresidente di Confindustria. Il primo si dichiara addirittura pronto a incatenarsi al ministero dei lavori pubblici nel caso il progetto non dovesse partire. La seconda, pragmatica come tutti gli industriali, si limita a pensare ad una iniziativa per informare i cittadini dei comuni toccati dal progetto. Queste dichiarazioni ovviamente non arrivano a caso, ma precedono la conferenza del 16 Ottobre tra i rappresentanti delle regioni interessate e il successivo calendario di attività del governo sulla questione.

di Sara Nicoli

Nel loro quarto giorno di sciopero dall’inizio dell’autunno, i giornalisti italiani, aprendo le pagine del quotidiano crumiro "Libero", hanno appreso, non senza un comune senso di sconcerto, di avere nel capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, il principale nemico delle regole che sottendono alla libera informazione. E, di riflesso, dei giornalisti che le seguono. Niente di nuovo, si direbbe. Mai però - almeno a nostra memoria - Berlusconi si era esposto così vivacemente nella difesa di chi ha commesso quella che, per i giornalisti per bene, è la colpa più grave: fare lo spione per i servizi segreti mascherandosi dietro il tesserino dell’Ordine. Stiamo parlando di Renato Farina, vicedirettore del medesimo “Libero”, più noto come “agente Betulla”, a libro paga del Sismi, reo confesso e recentemente sanzionato dall’Ordine con un anno di sospensione dal mestiere, invece di essere radiato come sarebbe stato auspicabile e necessario vista la gravità della colpa.

di Elena G. Polidori

Solo oggi i quotidiani sono tornati in edicola dopo due giorni di sciopero dei giornalisti. Siamo a quota 13 giorni complessivi di sciopero che i giornalisti hanno dovuto sostenere nel tentativo di rinnovare il contratto di lavoro della categoria, scaduto da 586 giorni. E’ una vertenza difficile, la più complicata degli ultimi dieci anni, forse la più dura di sempre. In gioco non ci sono i privilegi di pochi giornalisti a contratto a tempo indeterminato e garantiti dalla solidità della testata di appartenenza. In gioco c’è la sopravvivenza della libertà di informazione che passa anche attraverso quella dei suoi operatori, che gli editori vorrebbero sempre più sottomessi e sottopagati. In gioco, ancora, c’è la possibilità di molti giovani aspiranti giornalisti a diventare tali, vedendosi riconosciuta la dignità di una professione che è una delle travi portanti della democrazia del nostro Paese, se non la principale. E non solo.


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