di Agnese Licata

D’immigrazione si scrive e si discute ormai ogni giorno. Spesso, perché è la cronaca a richiederlo, con i centinaia di volti e corpi segnati da indescrivibili “viaggi della speranza”, con i casi d’intolleranza e razzismo che colpiscono chi è considerato un intruso da scacciare (si pensi alle violenze contro i romeni nella Capitale, ai primi di ottobre). Quello invece di cui si discute poco è uno degli aspetti peggiori dell’inserimento: quello relativo agli immigrati nel rapporto con datori di lavoro che, approfittando di una legge che riduce i migranti a braccia da sfruttare, arrivano a violare anche i più elementari diritti umani. Uno dei nodi più difficili da sciogliere consiste proprio nel riuscire a sconfiggere quei criminali che costruiscono le loro fortune attorno alla facile ricattabilità degli immigrati, in particolare di quelli clandestini. In molti casi gli immigrati vengono sottoposti a questo ricatto due volte: prima nel loro Paese, per riuscire a varcare l’agognata frontiera del ricco Occidente; poi in Italia, nei centri di permanenza temporanea (come documentato un mese fa da La Repubblica sul caso di Caltanissetta) e anche sul posto di lavoro.

di Alessandro Iacuelli

Ghedi è vicino Brescia. E' una base particolare, perché completamente italiana, quindi non è una delle "solite basi NATO", di cui è cosparso il nostro Paese. Una volta, a dire il vero, era una base NATO, poi è stata declassata. Ora ci sono 1.600 soldati italiani, 200 civili e 180 militari USA di un battaglione che si occupa una sola cosa: di armamenti biologici e atomici. I due comandi sono divisi, ma tutta la struttura è comunque sotto comando italiano. Alcuni volontari dell'area del Brescia Social Forum hanno cominciato a lavorarci qualche anno fa, facendo pressione sul problema della sicurezza militare, ambientale e sanitaria. Ci sono state diverse ispezioni parlamentari senza esito, a Brescia però sanno che ci sono bunkers per 400-500 militari e il comando non spiega a cosa servono.

di Mazzetta

Dalla caduta del muro di Berlino la politica mondiale ha dovuto affrontare l’urto del trionfo americano, presto cavalcato da quanti hanno pensato di sfruttarlo per diffondere il liberismo sfrenato come modello unico dello sviluppo planetario. L’urto è stato possente e non privo disastrose conseguenze ed ha portato al dilagare di una “nuova politica” anche in Europa, tracimando poi senza grosse resistenze anche in Russia e Cina, fino a corrodere l’India. La “nuova politica” è praticata su basi non ideologiche (perché si fonda sul superamento delle ideologie, inteso come annichilimento di qualsiasi teoria diversa dal “money first”) ed ha determinato lo storico sorpasso del potere economico su quello politico. Non è che prima della caduta del muro la politica non dipendesse dall’economia, ma erano ancora tempi nei quali gli interessi economici dei singoli o dei gruppi d’interesse potevano essere condizionati da superiori interessi politici.

di Alessandro Iacuelli

L’esercito a Napoli non è un tabù, dice il Ministro di Grazia e Giustizia, sollevando cori di assenso e di dissenso. C’è chi si chiede se sia utile, o risolutiva, una missione a Napoli delle Forze Armate. Che sia utile sul breve termine, per tamponare in qualche modo l’emergenza criminalità, potrebbe esser vero, che sia risolutiva ci sono molti dubbi. Da più parti, anche nella stessa Napoli, si sta confondendo spesso - e non sempre in buona fede - l'emergenza microcriminale che dilaga in città ed in provincia, con la cosiddetta "emergenza-camorra". Di sicuro una massiccia presenza militare nelle strade può scoraggiare alcuni microcriminali, ma non è certo una missione delle Forze Armate che può sanare il problema sociale di una metropoli che, compresa la cintura dei comuni di periferia, tocca i 3 milioni di abitanti.

di Elena G.Polidori

E’ un’angoscia sottile, per lo più inespressa, quella che ancora oggi si diffonde piano tra i fiorentini ogni volta che la pioggia batte ininterrottamente per giorni e ti sembra un castigo di Dio senza fine. C’è ancora chi, in giorni come quelli, si alza di notte e raggiunge uno dei tanti ponti di Firenze per controllare che, sotto, il fiume ribollente e limaccioso non sia salito oltre il limite di guardia segnato bene in vista ai lati delle sponde. E non c’è mai una volta che l’Arno ti faccia tornare indietro verso casa senza averti trasmesso il timore di risvegliati, la mattina, con quella medesima acqua verdastra che scorre veloce sotto le tue finestre portandosi via tutto ciò che hai. E se possibile anche di più. Era il 4 novembre del 1966, quando l’alba mostrò una Firenze livida di acqua, di fango e di nafta, devastata fin nel suo cuore più antico e medioevale, con la gente sui tetti che urlava e i soccorsi che non riuscivano ad arrivare. Sono passati quarant’anni, eppure l’Arno potrebbe sommergerla ancora, con conseguenze ben peggiori di allora. Un’alluvione come quella del ’66 rappresenterebbe un costo sconvolgente per il sistema-Paese: trenta miliardi di euro. Una intera Finanziaria, insomma. In tanti anni, però, si è fatto ancora troppo poco per impedire che accada di nuovo.


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