di Carlo Benedetti

Il dialogo tra il Vaticano e la Cina sfugge alle interpretazioni tradizionali della diplomazia mondiale, perché su tutta la "vicenda" predomina una componente di misticismo. Valgono poco i testi delle cancellerie e bisogna ricorrere alle sacre scritture, cattoliche o marxiste che siano.
Da un lato c'è la Chiesa di Roma che ritiene che la sua missione divina consiste nel portare il "verbo" nella terra della Grande muraglia; dall'altro lato ci sono i comunisti cinesi che prendono tempo muovendosi con le regole del ping-pong. Un colpo a destra, uno a sinistra, una "schiacciata" e poi di nuovo la pallina sul tavolo.
Intanto il tempo corre. Ma ora, con insistenza particolare, si parla di un reale avvicinamento, di una "disposizione" cinese al dialogo, di possibili aperture che possono far prevedere un viaggio di Papa Ratzinger, dalle mura vaticane alla muraglia cinese. Qualcosa si muove. Ma siamo sempre nel bel mezzo di quelle sabbie mobili delle valutazioni contraddittorie.

di Giovanna Pavani

Già, nemmeno Fidel aveva avuto tanto ardire. E neppure Ortega, neppure Jarusewlsky, in tempi e in condizioni storiche diverse, avevano "osato" disertare l'invito del Papa a prendere parte alla messa durante le visite apostoliche nei rispettivi Paesi. Certo, in quelle occasioni s'erano trovati davanti un pontefice dello spessore e del carisma di Woitjla, uno con cui valeva la pena parlare pur pensandola in modo radicalmente opposto: un'occasione unica, con un papa unico. Zapatero si è invece permesso di dire no al successore, l'integralista bavarese. A ricevere Benedetto XVI come Capo di Stato c'è andato. Ma la messa, a Valencia, il Papa se l'è cantata da solo con i suoi sostenitori, una minoranza di aficionados dei bei tempi andati dell'Inquisizione che, non a caso, ha fischiato il premier spagnolo a pieni polmoni. Zapatero ha tirato dritto, la contestazione si è spenta, lui è uscito vincitore.

di Cinzia Frassi

Henry John Woodcock "Io lavoro e basta, agli attacchi sono indifferente". E' quanto dichiarato dal pubblico ministero potentino Henry John Woodcock, a proposito della segnalazione inviata dal procuratore Giuseppe Galante il 20 giugno al Csm per violazione formale; una strada che può condurre al procedimento disciplinare nei confronti del sostituto.
Il pm Woodcock avrebbe presentato la richiesta di arresto di Vittorio Emanuele di Savoia e degli altri direttamente al gip Iannuzzi, senza attendere la controfirma del suo superiore Galante. La segnalazione appare se non altro curiosa, dato che a richiedere quella controfirma è una parte della riforma Castelli entrata in vigore il 18 giugno scorso e prima di quella data, vale a dire al momento della richiesta formulata dal pm di Potenza, era richiesto il visto del procuratore e l'obbligo da parte del pm di informare preventivamente il capo dell'ufficio per tutte le richieste aventi ad oggetto misure cautelari. Forse si tratta di un segnale.

di Maurizio Coletti

L'opposizione è intransigente e tostissima: le stanze del buco sarebbero il vergognoso segnale che la maggioranza è allo sbando anche sul tema della droga; il neo ministro Ferrero sarebbe un antiproibizionista, legalizzatore e permissivista insopportabile; occorrerebbe, al più presto, riportare tutte le decisioni in merito nell'alveo rassicurante e politically correct della legge Fini Giovanardi.
È bastata una risposta generale ("non sarei pregiudizialmente contrario… ma è compito delle Regioni…) data da Ferrero a radio Radicale, per scatenare una canizza di dimensioni cosmiche.
Sono intervenuti in centinaia, speculando su una proposta inesistente. Sono scesi in campo notissimi esperti e scienziati del settore, tra i quali si sono distinti Gabriella Carlucci, Carlo Giovanardi, Roberto Calderoli, Maurizio Gasparri; non ha fatto mancare la sua autorevole opinione nemmeno Elisabetta Gardini

di Giovanna Pavani

Era al lavoro solo da tre giorni, Antonio Veneziano, 25 anni, l'operaio rimasto schiacciato dal crollo di un intero tratto dell'autostrada dei "miracoli", la Catania-Siracusa, una delle grandi opere volute da Lunardi e i cui lavori sono stati assegnati in sub appalto dall'Anas ad una ditta di Treviso, la "Spic". Nelle tabelle dell'Inail, Veneziano è il morto numero 1256. Dall'inizio del 2005, mica da dieci anni a questa parte. Ma la morte di questo ragazzo, che forse in tempi diversi anche se recenti, sarebbe stata liquidata con il classico, qualunquista e assolutorio, "ci si è messo di mezzo il destino", stavolta ha suscitato per prima l'indignazione dell'intero "triangolo istituzionale", in testa Napolitano, poi Marini e di seguito Bertinotti. Ieri si è aggiunto anche il Papa. Il che, più di altre voci, indica la misura di un'emergenza, quella della sicurezza sul lavoro, che in Italia ha assunto le dimensioni da paese terzomondista non più accettabili.


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