di Rosa Ana De Santis

La scure di Tremonti, anche se il Ministro prova a rimpallare le responsabilità al Parlamento, ha colpito duramente i fondi destinati al cinque per mille. E’ il terzo settore, la cultura, l’assistenza a bambini e ammalati a pagare il prezzo più alto, rischiando di scomparire. Ancora una volta sono le fasce sociali più vulnerabili a rimanere a piedi. Si ridurranno le attività di assistenza domiciliare destinate ai malati leucemici, sostenute dall’AIL (Associazione Italiana contro le leucemie), e diventerà quasi impossibile proseguire con i protocolli di ricerca avviati.

L’Unicef si vedrà costretta a lasciare fuori dai propri progetti 35.000 bambini africani. Le campagne d’informazione sulla donazione degli organi, sostenute dall’ AIDO, forse non ci saranno più. Le Case famiglie che ospitano i bambini destinati all’affidamento o all’adozione avranno un futuro sempre più incerto. Solo alcuni esempi che testimoniano quello che lo Stato non fa e che ora impedirà di fare ad altri.

Lo strano caso italiano di un welfare appaltato de facto ad associazioni, forme di volontariato e cooperative, si trasforma ora nel bottino utile per il tempo di crisi. E poco importa, a quanto pare, se all’aria andranno progetti necessari alla salute dei cittadini, servizi di assistenza, attività sportive e culturali. Il Senato dovrà rimettere in discussione il pesantissimo taglio che ha portato, dopo la discussione alla Camera dei Deputati, i 400 milioni destinati al 5 per mille a scendere a soli 100. Banca Etica è in prima fila nel denunciare l’errore, non solo etico ma anche economico, che porta lo Stato a colpire proprio un modello di eccellenza ed efficienza economica – quale è il terzo settore in questione - che, non a caso, i contribuenti hanno sempre apprezzato.

I tempi per far tornare il provvedimento in aula ci sarebbero, così come la ricerca dei fondi sarebbe più semplice oggi che non agli inizi del 2011. Ma il governo è troppo impegnato a sopravvivere e la maggioranza troppo lacerata per poter portare a casa un risultato. Così alle associazioni e alle maratone della solidarietà rimane solo un grande punto interrogativo che aggiunge all’incertezza economica la pena dell’umiliazione. Quella di venire dopo. Dopo i capricci del Ministro Carfagna, dopo lo show delle elezioni prossime, vicinisse o da evitare a tutti i costi. Dopo i siparietti folcloristici dell’esecutivo e la ricerca del dna del PDL.

A fermarsi con questi tagli è qualcosa che il nostro paese non può permettersi, senza pagare il pegno di lasciare migliaia di cittadini senza diritti fondamentali. Non è un lusso la salute, non è un lusso la cura, né la ricerca. Non è un lusso l’aiuto ai bisognosi. E’ quel midollo che tiene dritto un paese e che da ossigeno ad una società. La spina dorsale di una democrazia. Fondamentale ancora di più se lo Stato, come il nostro, non ha forze né risorse per occuparsi seriamente di welfare.

Lasciare in asfissia il paese più debole oltre ad essere un atto ignobile, ancora di più se con l’altra mano si fanno rientrare i capitali dei mafiosi, significa generare una ferita pericolosa e insidiosa nella cittadinanza. Un intollerabile seme di ingiustizia. L’altra faccia di una solidarietà obbligata che da anni sostituisce lo stato, colma le sue inadempienze, sana i suoi vuoti che ora negata, si trasforma nella negazione di diritti per tanti.  Il capolavoro di una finanziaria creativa che ha scelto di curare la crisi con gli spiccioli dei più poveri. E che presto tornerà a chiedere voti.

di Ilvio Pannullo

Sono giorni complicati per l’Italia. La crisi politica oramai conclamata e prossima ad essere portata in Parlamento il prossimo 14 dicembre rischia di pregiudicare irrimediabilmente i conti pubblici del paese. Per evitare il peggio il Quirinale ha scelto una linea interventista, dimostrando una certa discontinuità rispetto l’interpretazione data sino ad oggi al settennato di Giorgio Napolitano. Ieri il Presidente invocava "il giusto riserbo", anche se, alla platea riunita al Colle per la consegna dei riconoscimenti ai Cavalieri del lavoro, consegna un suo commento sull'attuale fase politica.

"Sono soddisfatto per il senso di responsabilità dimostrato ieri da parte di tutte le forze politiche" che hanno deciso di dare la precedenza al varo della legge di stabilità. "Avremo bisogno di altri segni di questo senso di responsabilità - ha aggiunto il capo dello Stato - nei tempi a venire". Il tutto dopo che il giorno precedente sempre il Presidente della Repubblica aveva incontrato Gianfranco Fini e Renato Schifani.

Fonti vicine al Colle, raccontano di un Capo dello Stato piuttosto indispettito per le parole del Cavaliere nel chiedere la fiducia solo a Montecitorio. Insomma, il Presidente della Repubblica sembra convinto nel seguire la strada dello strappo finale. Intanto, i finiani prefigurano alleanze con Rutelli, Lombardo e la stessa sinistra. Non va meglio al Pd.

Questo il quadro politico. Frastagliato, caotico, curvo e ingessato sulla triste quotidianità politica, del tutto incapace di immaginare una visione comune e responsabile per portare il paese in una condizione di sicurezza, lontano dalle nubi che aleggiano sui suoi conti pubblici. Ecco dunque l’altro fronte d’intervento - quello dell’economia - su cui il Colle non ha lesinato parole anche dure.

Più chiaro di così il Presidente Giorgio Napolitano non poteva infatti essere: "C'è una grande confusione, un grande buio, il vuoto sulle nostre scelte, sulle priorità nella destinazione delle risorse pubbliche". Al Quirinale, insomma, la finanziaria (ora denominata legge di stabilità), proprio non piace. Era il 12 novembre e Napolitano parlava davanti all'assemblea del Cuamm, l'associazione dei medici per l'Africa, quindi lo spunto fu la riduzione delle risorse per la cooperazione internazionale: "Non sono concepibili - disse - sordità e assurdità così che con un tratto di penna si cancellano gli aiuti allo sviluppo".

Ma la critica del Capo dello Stato non si limita a questo, l’accusa mossa al governo e al ministro del Tesoro Giulio Tremonti è di muoversi senza una vera politica economica, senza cioè una logica generale, una visione, un’idea che innervi i procedimenti proposti e votati a ranghi serrati dall’esecutivo. Ma c'è una domanda legittima da porsi: perché Napolitano interviene così duramente adesso se il momento dei tagli è stato quello della manovra estiva, approvata a luglio?

La tempistica risulta più comprensibile mettendo in fila i provvedimenti di politica economica del governo. Già a maggio, quando diventa evidente che la crescita dell'Italia non sarà quella prevista dall’esecutivo e che la crisi della Grecia impone di accelerare il risanamento, Napolitano avverte: "Tutta l'Europa sta vivendo gravi difficoltà ed è questo il tempo dei sacrifici, che devono essere distribuiti equamente tra i cittadini".

Poi Tremonti e il governo confezionarono tra maggio e luglio la manovra che anticipò la legge di bilancio per il 2011-2013: una manovra finanziaria che vale 25 miliardi di euro. Un risanamento dei conti deciso per contenere il rapporto deficit/Pil, che prevede soprattutto una drastica riduzione dei trasferimenti agli enti locali ed il taglio ai costi del pubblico impiego realizzato attraverso il blocco dei pensionamenti e del turn-over.

E di Napolitano si ricordano almeno due interventi piuttosto espliciti. A fine maggio s’indigna per il modo "rozzo" e "pedestre" (secondo quanto riferiscono i quirinalisti) con cui il governo ha individuato gli enti inutili da tagliare, soprattutto quelli culturali. Il 27 luglio farà poi sapere di approvare la protesta dei diplomatici della Farnesina, mobilitati contro i tagli al Ministero degli Esteri, e ribadisce che il rigore nei conti "non deve modificare funzioni e strutture portanti" dello Stato. La replica del governo, soprattutto di Tremonti, non si fa attendere ma rimane velata per evitare lo scontro istituzionale.

Nella sostanza si diceva che con la manovra votata si erano realizzati tagli di spesa lineari (cioè riduzioni secche: -10% a tutti i dicasteri) perché era l'unico modo per far passare tagli senza perdersi in negoziati senza fine. Poi, in un secondo momento, si sarebbe corretto il tiro restituendo con provvedimenti di spesa un po' di risorse a chi avrebbe dimostrato di meritarsele. E quali siano le priorità Napolitano l’ha fatto capire anche di recente, il 18 ottobre, alle celebrazioni per i duecento anni della Normale di Pisa: la necessità di risanare il bilancio non deve causare una "miopia temporanea" che porta a trattare Università e ricerca come voci di spesa qualsiasi. Proprio in quei giorni, infatti, la riforma dell'Università saltava per assenza di copertura finanziaria.

Ieri è arrivato in commissione bilancio della Camera il maxiemendamento alla finanziaria. L'ultima occasione per il governo di affinare gli interventi di risanamento di luglio, visto che la cosiddetta legge di stabilità (quel che resta della legge finanziaria d'autunno) non muove praticamente un euro. La vecchia finanziaria d'autunno ormai é infatti soltanto una scatola vuota che non ha effetti sostanziali sui saldi di finanza pubblica rilevanti, cioè non incide sui parametri deficit/Pil e debito/Pil definiti con l'Unione Europea. Sul 2011 ha un effetto pari a soltanto un miliardo di euro, che salgono a 3 per l’anno 2012. Non è più lo strumento principale di politica economica. L'unico strumento che il governo ha per distribuire risorse è dunque un emendamento governativo alla legge di stabilità.

Per l’appunto quel maxiemendamento, depositato in commissione Bilancio alla Camera, che perde alcune agevolazioni, come la proroga del 55% sulle ristrutturazioni, e ne rimanda di alcuni mesi altre, come l’abolizione del ticket sanitario per le visite specialistiche e diagnostiche o l’assegnazione del 5 per mille. Sono state confermate, invece, la proroga per gli ammortizzatori sociali, la detassazione dei premi produttività, i fondi per i Comuni e le Regioni e per il trasporto pubblico locale.

Per quanto riguarda l'Università i fondi saranno comprensivi di altre voci, come il credito d'imposta (voucher fiscale) a favore delle imprese che affidano attività di ricerca e sviluppo agli atenei o ad altri enti pubblici di ricerca, i prestiti d'onore e l'erogazione di borse di studio. Il quantum delle misure, però, lascia a desiderare. Confermati anche i fondi per l'edilizia sanitaria (l'85% andrà al Sud) che saranno coperti dal Fondo per le Aree Sottosviluppate (FAS).

La copertura del maxi emendamento, calcolata in circa 5,5 miliardi di euro, si prevede verrà dalle entrate dei giochi, dalla vendita delle frequenze del digitale e dal fondo Gianni Letta, ossia la cassa di palazzo Chigi, nonché dalla sempre presente lotta all’evasione (con un inasprimento delle sanzioni per il “patteggiamento” con il Fisco) e dall’imposta sostitutiva per le tasse ipotecarie e catastali sul leasing immobiliare.

Il Quirinale ha visto subito che poco cambiava nella sostanza: addio alle detrazioni per l'efficienza energetica, niente soldi per la cooperazione internazionale, soltanto 1 miliardo per l'Università (mentre le risorse si trovano per le scuole cattoliche, i comuni che non rispettano il patto di stabilità e per l'editoria). Quindi Napoletano è stato ancora più esplicito, denunciando l'assenza di una linea politica dietro queste scelte. Il governo replica, ma il messaggio è arrivato e si vedrà nei prossimi giorni se verrà recepito, magari con qualche correzione al maxiemendamento.

Di certo le parole di Napolitano sono state ascoltate anche dai mercati finanziari, sempre più pessimisti sulle sorti dell'Italia. La settimana scorsa la differenza di rendimento tra i buoni del tesoro decennali e i titoli di Stato tedeschi, parametro che misura quanto l'Italia è considerata a rischio bancarotta più della Germania, è arrivato al massimo da quando esiste l'euro.

Con un governo oramai allo sbando, un Parlamento svilito nelle sue funzioni ed umiliato dalla presenza di personaggi impresentabili, rimane solo il Presidente della Repubblica a difendere la credibilità del nostro paese e l’interventismo decisionista recentemente dimostrato lasciano almeno viva la speranza.

 

di Giuliano Luongo

Una delle prerogative di ogni amministrazione incompetente, che sia nazionale o locale, è quella di perseverare in una gestione solo attenta al detrimento degli interessi pubblici a favore di quelli di pochi privati che, “casualmente”, risultano collocati nei centri di potere o nel loro entourage. Ogni pessima amministrazione è particolarmente abile a concentrare la propria brama di profitti proprio quando l’area di cui è responsabile versa in condizioni peggiori.

Stiamo facendo riferimento all’ennesimo caso di abuso del territorio aquilano, questa volta tramite un’azione concertata tra le amministrazioni locali e la SNAM, per la costruzione di un gasdotto di 167km sulla tratta Sulmona-Foligno: questa struttura, oltre ad avere un impatto ambientale notevolissimo che già di per sé ha scatenato le ire della popolazione del luogo, percorrerebbe inoltre con lucida follia l’intera area colpita dal recente terremoto.

Il “coraggioso” progetto riguarda la costruzione di un nuovo ramo del gasdotto, parallelo ad una linea già esistente che percorre un’area più vicina all’Adriatico. In questa vicenda bizzarramente ignorata dal grosso dei media, mainstream e non, ci sono parecchi punti oscuri, partendo dal ruolo delle amministrazioni locali a quello della SNAM stessa.  E’ perciò interessante cercare di ricostruire il percorso, ormai giunto alle sue fasi conclusive, di questo ennesimo delirio gestionale quasi totalmente ignorato dai media.

Nel 2004 il Ministero delle Attività Produttive decretò l’approvazione di un progetto di massima della SNAM, dichiarando la pubblica utilità dell’opera assieme a urgenza ed indifferibilità sulla realizzazione del metanodotto Sulmona-Foligno e della centrale di compressione di Sulmona. Ai primi del 2005 la SNAM avviò le procedure di compatibilità ambientale: copie di questi studi vennero consegnate agli uffici regionali di Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria. Stesso iter per i comuni presenti nelle aree interessate: in particolare, ricordiamo che a febbraio 2005 il Comune di Sulmona si era impegnato ad attivare la Giunta regionale per discutere il tema, senza ottenere risposta.

A luglio dello stesso anno la SNAM iniziò le procedure VIA (Valutazione Impatto Ambientale), i cui risultati furono inviati ai comuni dell’area interessata. La zona del Comune di Sulmona veniva definita come “ideale” per la costruzione della struttura, in apparente dimenticanza dei rischi geologici e dei vincoli ambientali/paesaggistici. Sia la Giunta del Comune di Sulmona che la 4° Commissione Consiliare espressero parere negativo sulla costruzione della struttura, ma come conseguenza di ciò il Vice Sindaco Manasseri decise di rinviare ogni deliberazione in merito a causa di una “trattativa” con la SNAM. A fine 2006, a seguito di una sollecitazione del Ministero dell’Ambiente, la SNAM effettuò delle analisi per eventuali percorsi alternativi del gasdotto: vennero tutti scartati, vista la presenza di vincoli ambientali e paesaggistici e per la diseconomicità di tale percorso.

Nel 2007 la SNAM si impegnò a fornire al Ministero dell’Ambiente ulteriori integrazioni per giustificare la costruzione di queste strutture. Impiegò il doppio del tempo richiesto, avviando le procedure solo a gennaio 2008. Nonostante il temporeggiare dei rappresentanti eletti, la popolazione iniziava ad organizzarsi per fermare la “fortunatamente lenta” macchina governativa: i neo-formatisi comitati civici chiesero formalmente la possibilità di consultare gli atti della VIA.

Neanche a dirlo, la SNAM si oppose fortemente a tale richiesta. Ai primi del 2009 il Comune concesse una seduta del Consiglio sul tema della localizzazione delle strutture legate al metanodotto: contrariamente alle aspettative, si deliberò solo per concedere poteri decisionali definitivi al sindaco e la possibilità di ottenere ulteriori compensazioni pecuniarie. A metà 2009, la SNAM produsse uno studio di fattibilità tecnica, che confermava la scelta dell’area di Sulmona: gli eventi del sisma sembravano non aver colpito minimamente i pianificatori del progetto. Da queste date ai giorni nostri, l’attività dei comitati è andata sempre più contrapponendosi a quella dell’amministrazione locale. Mentre i cittadini insistevano - e tuttora continuano tramite proteste e sit-in - per una legge regionale che blocchi di fatto la costruzione di impianti in zone sismiche comprovate, l’ufficio del Sindaco continua a limitarsi a chiedere indennizzi dando di fatto il benestare alla costruzione di simili installazioni.

Molti sono gli interrogativi aperti sul perché la SNAM sia così convinta del voler costruire in questi luoghi: sarebbe più logico concentrare le condotte più grandi su di una sola arteria, idem per l’installazione della centrale. Sembrerebbe impossibile che una compagnia simile, che può permettersi i migliori esperti, edifichi coscientemente su di una faglia instabile (l’ultima scossa risale alle scorse settimane) nell’ambito di un’area ove già abbondavano vincoli ambientali. Questo ennesimo “passo avanti del progresso” sembra onestamente un po’ più lungo della stessa “gamba del progresso” e fondato su un terreno instabile di studi e convergenze di interessi carenti di trasparenza. Infatti, la compagnia si è dichiaratamente opposta alla pubblicità di atti d’interesse generale.

Nonostante la vicenda sia molto lontana dall’essersi conclusa, la SNAM ha già inviato le notifiche di sfratto ai residenti delle zone interessate. Tra i diversi aspetti, c’è poi quello dell’informazione. Salta all’occhio il modo inquietante in cui l’intera faccenda, lunga sei anni, sia stata totalmente snobbata dai media: dal glamour dei grandi network alle telecamere “al servizio del cittadino” di Report, nessuno si è preso nemmeno la briga di fare qualche domanda, o almeno di riprendere il cronista locale o il blogger sporadico che hanno avuto il coraggio di parlare di qualcosa di un impatto mediatico apparentemente minore.

Non resta che raccontare il più possibile la vicenda per far capire come una compagnia che in teoria lavora per offrire un servizio pubblico agisca solo per l’ennesima convergenza d’interessi privati, incurante del danneggiamento dei malcapitati che involontariamente si trovano sulla sua strada. Bisogna far conoscere questo ennesimo sberleffo alla volontà popolare: la creazione di un simile precedente sarebbe dannosa per qualsiasi cittadino residente in aree “appetibili” per il prossimo caimano delle risorse energetiche.

(ha collaborato Diana Pizzi)

 

di Mariavittoria Orsolato

Lui non si dimetterà mai, ma la fronda finiana, sempre più forte e volitiva, proclama in diretta tv la fine di quello che è stato il quarto Governo Berlusconi. L'annuncio lo da il capogruppo alla Camera di Futuro e Libertà, Italo Bocchino, mentre siede come ospite nell'arena di Annozero: "Aspetteremo lunedì, solo per garbo istituzionale, poi ritireremo la nostra delegazione dal Governo".

Mentre Padron' Silvio è a Seoul per l'inutile G20, nel Transatlantico si preparano le polveri per quella che aspira ad essere la congiura definitiva: dal prossimo lunedì i quattro ministri vicini alla nuova formazione del Presidente della Camera rassegneranno le dimissioni, con loro anche Giuseppe Reina, sottosegretario alle Infrastrutture in quota al Movimento Per le Autonomie del siciliano Raffaele Lombardo.

C'è però di più: sempre Bocchino, incalzato da Santoro ha buttato sul tavolo quelle che saranno le carte deputate a decretare l'agognata morte politica del Caimano: senza scadere nel cattivo gusto di una sfiducia plateale, cosa che invece Berlusconi spera vivamente, i futuristi si asterranno dal voto sulla Finanziaria - oggi nota come legge di stabilità e necessaria al mantenimento dei tassi d'interesse dei titoli azionari nazionali - riservandosi la possibilità di rispedire il cerino al mittente votando contro nel caso in cui, come annunciato ieri da Cicchitto, si dovesse procedere alla verifica parlamentare.

"Faremo una verifica parlamentare, al Senato e alla Camera, e lì si vedrà quale sarà l'orientamento della maggioranza di deputati e senatori, spiega il capogruppo Pdl a Montecitorio, se sarà un orientamento favorevole al Governo si andrà avanti. Qualora ci fosse un atteggiamento diverso - aggiunge - per noi è chiaro che l'unico sbocco democraticamente possibile è tornare davanti al popolo sovrano".

Le urne fanno gola agli ultimi kamikaze berlusconiani e perciò non sembrano la soluzione più adatta a scongiurare un Berlusconi quinto: in 16 anni di controllo pressoché totale sul Paese, il premier ha plasmato a sua immagine e somiglianza un'intera categoria di cittadini che anche oggi, nonostante i troppi bagordi sessuali e non del minuscolo Cesare, sono pronti a difendere a spada tratta il leader che ha riempito d'ovatta il loro piccolo mondo. In più, il porcellum elettorale a firma di Calderoli impedisce la formazione di strutture parlamentari stabili e, in caso di elezioni anticipate, regalerebbe di nuovo la maggioranza a Pdl e Lega a Montecitorio, mentre lascerebbe orfano di maggioranza il Senato.

Ricorrere alla consultazione popolare non prima che vengano approntate le necessarie modifiche alla legge elettorale è infatti il leitmotiv di tutte le altre formazioni politiche: lo invoca Fini, lo sottoscrivono Casini e Di Pietro, si accoda anche l'evanescente Pd, comprensibilmente terrorizzato da quello che potrebbe uscire dalle urne.

Lo scenario politico attuale è infatti fin troppo fumoso e giocare alla Sibilla sembra quantomai passabile di clamorosi errori di valutazione. Stando però a quelli che sono i nostri meccanismi democratici, costituzionalmente indicati, i futuri possibili per la politica del paese sono in buona sostanze tre e corrispondono rispettivamente alla crisi di governo con rimpasto, a quella con elezioni e all'incidente parlamentare.

Il primo caso sembra ormai già accantonato: la mediazione di Bossi per un Berlusconi bis con maggiori poteri e ministeri ai finiani è stata un clamoroso buco nell'acqua, allo stesso modo non sono valse a nulla le promesse dei Lumbard di portare su piatto d'argento le teste di La Russa e Gasparri, colpevoli di non aver defezionato dal Pdl per seguire il leader di sempre Gianfranco Fini.

I futuristi vogliono il cambio a tutti i costi e, nonostante in altre occasioni avessero propeso volentieri per il baratto di incarichi e poltrone, dopo Mirabello la linea da seguire è quella dell'etica e del rigore morale. Al rimpasto pare non volersi affidare nemmeno Berlusconi, disposto ad allargare la maggioranza all'Udc di Casini ma irremovibile per quanto riguarda l'atto delle dimissioni. Come ha giustamente sottolineato Luca Telese sul Il Fatto, l'atmosfera crepuscolare della fine del berlusconismo impone un manicheismo ostentato e dal retrogusto fascista: "O con me, o contro di me", il compromesso non è cosa onorevole per gli egoarchi agonizzanti.

Nel caso in cui il futuribile corrispondesse invece alla crisi con annesse elezioni, il calendario delle attività parlamentari non lo fisserebbe prima di venti giorni, quando la manovra finanziaria verrà approvata, previa fiducia, da entrambe le Camere. Nel caso (molto probabile) in cui il Cavaliere venisse sfiduciato, la salita al Quirinale non si trasformerebbe nello sperato riaffido del mandato ma è probabile che Napolitano preferirebbe affidare il Governo ad una personalità interna alla maggioranza.

Una maggioranza che prevede sempre l'ingresso dell'Udc ma che non potrebbe annoverare il Pd, come auspicato da i fautori del "governo tecnico di transizione": l'ipotesi di formare un Esecutivo con quelli che nel 2008 uscirono sconfitti alle urne non può essere presa in considerazione dal Capo dello Stato. Né potrebbe essere contemplata da Fini, che in questo modo offrirebbe il fianco alle accuse di abile artefice di ribaltoni che già in molti tra i banchi del Pdl gli oppongono.

Il presidente della Camera non potrebbe quindi essere il "papa nero" cui molti commentatori alludono per descrivere efficacemente la paradossale situazione di vuoto di personalità: il nuovo premier sarebbe comunque un pidiellino e sono già in molti a scommettere sullo lo yes man Giulio Tremonti, vicino quanto basta a Futuro e Libertà ma formalmente impeccabile nel ruolo di superministro dell'era Berlusconi.

La carta dell'outsider ma non troppo è auspicabile per entrambi gli schieramenti: se a Fini fa indubbiamente comodo riorganizzare le fila in vista del prossimo turno elettorale, a Berlusconi il compromesso farebbe gola in seno a quello che si vocifera sarà un salvacondotto giudiziario. Il legittimo impedimento e il Lodo Alfano non hanno più ragione di esistere se una delle cariche da scudare non è Berlusconi, ma sono ancora diversi i processi in cui il futuro ex premier dovrà sottoporsi ed un'eventuale interdizione dagli uffici pubblici per la condanna al processo Mills - che dopo la prescrizione del corrotto dovrà occuparsi del conclamato corruttore - manderebbe in fumo il progetto di Berlusconi di arrivare alla massima carica dello Stato.

Una semplice legge ordinaria, magari un riciclo bello e buono del famigerato processo breve, tutelerebbe Berlusconi, andando a incidere sui processi in corso e scansando l'etichetta di legge ad personam. Fini, dalla sua posizione di presidente della Camera, ha sempre ribadito di non voler cedere a quest'uso personalistico dell'attività parlamentare, ma se questa fosse l'unica possibilità di spodestare il vecchio sire è probabile che l'ex delfino ci penserebbe su almeno un paio di volte prima di porre il suo veto.

Il terzo ed ultimo futuro possibile contempla quello che viene chiamato "incidente parlamentare". In pratica, un conflitto giudicato insanabile all'interno delle istituzioni che si espleta nella reiterata sconfitta della maggioranza in termini di numeri: nel caso in cui il Governo andasse sotto più volte su provvedimenti di evidente rilievo economico e sociale, oppure nel caso in cui fosse formalmente sfiduciato da membri della sua stessa maggioranza in merito a provvedimenti su cui è stata apposta la fiducia.

Questa sembra essere la strada più probabile dopo le dichiarazioni di guerra di Bocchino e l'indubbio trionfo personale che Fini ha abilmente raccolto al meeting di Perugia. I tempi però non saranno così fulminei come in molti li vorrebbero: l'approvazione della Finanziaria è una priorità sottolineata da più fronti, primo fra tutti quello del Quirinale. Il testo approderà alla Camera il prossimo 16 novembre, mentre la calendarizzazione e il conseguente via libera da parte del Senato dovrebbero attestarsi tra gli ultimi giorni di novembre e i primi di dicembre.

Di fronte alla sfiducia, Berlusconi sarebbe costretto a rimettere il suo mandato a Napolitano che comunque potrebbe optare per le elezioni anticipate. Queste non potrebbero però svolgersi prima di 45 giorni dallo scioglimento delle Camere, si arriverebbe perciò a febbraio 2011 ed è a quella data che sono rivolti i pensieri e le imprecazioni degli strateghi politici nostrani.

Con l'attuale legge si riprodurrebbe lo scenario che ha già visto scendere a compromessi le maggiori forze politiche tedesche e inglesi: un governo tecnico a maggioranza allargata, a questo punto, rimarrebbe l'unico salvagente a cui appigliarsi per sperare di cambiare la legge elettorale ed affrontare finalmente gli enormi scogli economici che stanno affondando il Titanic Italia.

Resterebbe però il paradosso del governo tecnico dopo le urne e non prima, come la logica suggerirebbe; ma dopo 16 anni in balia del più stralunato circo equestre, la caduta e la fine all'insegna del paradosso sono una tappa praticamente obbligata. 

 

 

 

di Rosa Ana De Santis

E’ in corso in questi giorni la seconda conferenza nazionale “Famiglia: storia e futuro di tutti”, organizzata dal Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, guidato dal Sottogretario Giovanardi. L’ouverture a questo importante appuntamento istituzionale sembrava esser iniziata già nei giorni scorsi, quando il Papa, dalla Basilica della Sagrada Familia, aveva ricordato la sacralità del legame matrimoniale uomo-donna come unica e immodificabile forma di famiglia naturale. Oggi da Milano è invece lui, Giovanardi, il padrone di casa, a rincarare il messaggio del conservatorismo, del rifiuto delle differenze e della chiusura culturale a ogni trasformazione apportata dal progresso della scienza e dall’evoluzione del costume.

Nel centro del mirino ci sono le biotecnologie, la tecnica della fecondazione in vitro in modo particolare, disciplinata in Italia da una legge incompleta e punitiva, la deriva delle separazioni e dei divorzi. Un minestrone di argomenti che ha come unico fine quello di creare un’opposizione tra la scienza e la relazione d’amore su cui deve essere fondata la famiglia. Gli interventi della scienza, secondo Giovanardi, nel modo di concepire e mettere al mondo figli, potrebbero danneggiare la comunità d’amore in cui i figli vengono a nascere.

Non è chiaro il legame secondo il quale due persone animate dal desiderio di diventare genitori, che ricorrono alla scienza per riparare o superare limiti o deficit naturali, dovrebbero, in questo modo, inficiare la relazione d’amore e di valore che li lega e li guida in questo progetto di genitorialità. E’ così, evidentemente, che si vuole instillare terrore e sospetto tra i comuni cittadini, nei riguardi dei progressi scientifici e dei cambiamenti. Sennò la Chiesa come campa? Ogni mercantilismo di geni, ogni rischio di eugenetica non ha a che vedere con la legge 40, basta leggerla per rendersene conto. E non è in ogni caso con il divieto che si preverranno certi scenari. Anche perché a pochi chilometri dai nostri confini, basta avere un po’ di soldi, per fare tutto.

Al Dipartimento della Famiglia dovrebbe interessare piuttosto il monitoraggio delle novità scientifiche, lo studio e le analisi dei rischi, la salute delle donne madri (così duramente danneggiate dai criteri d’impianto della legge 40), le strategie di educazione e sensibilizzazione al corretto modo di usare le tecniche e non il ricorso al divieto come unico strumento di educazione culturale. Ma ve lo immaginate Giovanardi alle prese con questi problemi?

Si è parlato anche di quoziente familiare per aiutare le famiglie più numerose, teorema del fisco, che da Parma a Roma, é di recente molto in voga, almeno nei buoni propositi dei tavoli regionali. Ma basterebbe non togliere di continuo soldi dalle casse del welfare e non svuotare i servizi e i diritti assistenziali per aiutare le famiglie. I figli non si fanno perchè costano troppo e la precarietà da condizione solo economica si è trasformata in una categoria di vita individuale e sociale. A fare il resto ci pensa la crisi economica dilagante e un governo inerte.

Questo lo scenario di paralisi che questa Conferenza non ha il coraggio di denunciare, preferendo i capri espiatori delle tecniche e delle derive immorali. Il generale per non parlare del particolare, o meglio l’ideologia reazionaria per non parlare del progresso. Quel quotidiano e sistematico insieme di ostacoli che impedisce a due giovani di metter su casa e famiglia.

Tornando ai massimi sistemi sociali e culturali sarà il caso che, prima o poi, siano le Istituzioni, come è loro dovere fare, a riconoscere le nuove famiglie. Non bisogna inventarsi una nuova idea o un modello fantasioso, surreale. Esistono già. Separati, genitori single, omosessuali, famiglie allargate, unione miste. Bisognerà attrezzarsi per il duro lavoro di tradurre in riconoscimento di diritti qualcosa che esiste già. Cioè la relazione di cura e di amore, la responsabilità di guidare i figli, la tutela del loro bene e la ricerca della loro felicità, a prescindere dal proprio stato di famiglia, dai propri gusti sessuali e dalla presenza o meno di un contratto di matrimonio. Ma bisognerà aspettare un nuovo governo e un uomo che non sia Giovanardi.

Quanto al tormentone delle biotecnologie, viene da chiedersi come si faccia a non capire che utilizzare le tecniche e la scienza per evitare che un figlio nasca con una malattia o con un deficit invalidante è lo stesso amore che durante tutta la vita una madre e un padre provano nel proteggere il figlio dai rischi e curandolo dalle malattie. Perché questo amore diventa sacro solo dopo la nascita? Perché questo dice la Chiesa e perché la famiglia della Presidenza del Consiglio è quella di Nazareth.

Perché allora, non vietare l’amniocentesi, questo “abuso” della scienza ormai diffuso tra le donne, che porta molte a decidere di non far nascere figli down o affetti da gravi patologie genetiche? Quale altro miglioramento della nostra vita finirà sotto processo nella prossima agenda di questa inquisizione delle relazioni e degli affetti?

Proponiamo a Giovanardi una visita ad Avetrana. Nel cuore della famiglia normale. Quella delle garanzie e degli affetti sicuri, benedetta dal Papa e dalle Istituzioni. Basta andare lì, nella galleria degli orrori, per vedere che non solo la famiglia non esiste, ma che non è mai esistita. Ad esistere sono i sentimenti e i valori. Le madri e i padri. I padri che fanno le madri. Le madri sole che fanno tutto. Le loro scelte e i loro gesti d’amore. Solo questo rende riconoscibili le famiglie reali e i buoni genitori. Non ci sono tabelle, né garanzie. Le relazioni autentiche sono per definizioni fatte di libertà.
Una benedizione l’assenza del presidente Berlusconi. Ha tolto almeno ai poveri Tettamanzi e Giovanardi l’imbarazzo di non poter usare lo stesso rigore morale con il papi nazionale. Che si sa, è caritatevole ed attento alle parentele.


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