di Mariavittoria Orsolato

Mentre a Montecitorio “l’epocale” e tormentissima riforma Gelmini cadeva per ben due volte sotto il fuoco amico di Futuro e Libertà per poi passare in serata con 307 voti a favore e 252 contrari, l’Italia della scuola e della ricerca mandava in tilt l’intera penisola. A Bologna gli studenti medi ed universitari hanno paralizzato l’autostrada A14, a Roma i manifestanti cercano di irrompere a Montecitorio e a Pisa, Milano, Mestre, Padova e Catania le stazioni ferroviarie sono state occupate.

Il movimento studentesco forte di 450.000 adesioni, alza il livello dello scontro e poco importa se per l’acciaccato Berlusconi “i veri studenti stanno sui libri, quelli in piazza sono i fuori corso e quelli dei centri sociali”: dal variegato mondo dell’istruzione e della ricerca il no alla disarticolazione della scuola pubblica arriva forte e chiaro.

Com’è ovvio e ormai scontato, la rabbia di quella che a tutti gli effetti è una generazione precaria viene etichettata dalle istituzioni come sfacciata pelandroneria, pungolata dall’antagonismo a tutti i costi dei centri sociali e dalla bramosia dei baroni di mantenere i propri privilegi. Certo quella di ieri è stata una protesta forte e a tratti tumultuosa, gli scontri con le forze dell’ordine non sono mancati ed i disagi per la popolazione sono stati evidenti. Ma anche dall’altra parte della barricata, quella che Pasolini difese a spada tratta commentando gli scontri sessantottini di Valle Giulia, la tensione ha portato a forzare la mano nella difesa delle tante zone rosse cui erano preposti a presidiare.

Quarantadue anni dopo non ci sono più i figli dei borghesi a scontrarsi con i celerini proletari, oggi il mondo degli studenti è trasversale per ceto ma quanto mai eterogeneo nel destino di precarietà che attende i neolaureati e i preziosi ricercatori ed è proprio questo disperato bisogno di certezze che spinge un’intera generazione a reclamare diritti e soprattutto attenzione. Un’attenzione che non vuole essere catalizzata sulla meccanica del dissenso ma che è richiesta innanzitutto in merito ai punti voluti dalla riforma di cui Maria Stella Gelmini è evidentemente uno
strumento inconsapevole.

Giusto per rinfrescare la memoria è buona cosa ricordare che il ddl Gelmini-Tremonti consta di tre titoli e 25 miserremi articoli per smantellare l’università a la sua ricerca in tre semplici mosse: una riorganizzazione degli atenei in visione di una stretta collaborazione finanziaria con le aziende private, un’ampia delega al governo per integrare a colpi di decreto un’improbabile corsa all’eccellenza ed infine nuove e più stringenti regole sul reclutamento di docenti e ricercatori.

Dagli atenei in rivolta e dal più vasto mondo della cultura il progetto del Governo viene sezionato punto per punto e si tradurrebbe nella realtà in una deriva aziendalistica delle università, nella definitiva precarizzazione della ricerca universitaria e dei ricercatori e nell'affievolirsi delle attuali misure sul diritto allo studio.

Secondo il testo uscito ieri dalla Camera, le università del futuro saranno infatti guidate da rettori ingombranti che, oltre a diventare rappresentati legali degli atenei e coordinatoi unici delle attività scientifiche e didattiche, presiederanno gli organismi chiave delle istituzioni universitarie, coadiuvati da soggetti privati che la riforma prevede entrare in quelli che saranno veri e propri consigli di amministrazione.

Per far fronte comune alla penuria di risorse data dai tagli indiscriminati imposti dal tesoriere Tremonti, gli atenei potranno federarsi o fondersi e un non specificato "fondo per il merito" arriverà a ad attribuire premi e borse di studio, ma solo attraverso il palcet del ministro stesso. Gli emendamenti sui cui è scivolata la maggioranza prevedono la cosiddetta norma "anti-parentopoli", che dovrebbe impedire la chiamata di parenti fino al quarto grado, e vanno a ripristinare gli scatti meritocratrici per docenti e ricercatori degni. In più grazie al testo presentato da Futuro e Libertà è prevista l'assunzione di 4500 associati nel triennio 2011-2013.

Per quanto le correzioni approvate ieri paiano ripristinare una parte dei finanziamenti, dall'opposizione e dal movimento studentesco si replica che i soldi nelle casse di Stato non ci sono e che l'obolo di 800.000 euro previsto dalla finanziaria di quest'anno, non essendo ancora stata approvata, è solo uno specchietto per allodole.

Sebbene Fli si sia presa il merito di aver emendato un testo inviso a molti, il ribaltone che gli studenti e parte dell'opposizione si erano augurati non si è verificato ed ora il disegno di legge più dibattuto del terzo governo Berlusconi torna per la terza volta al Senato.

La calendarizzazione non è ancora stata indicata, ma vista la verifica di Governo prevista per il prossimo 14 dicembre, i tempi suggeriscono di fissare il voto entro il 13. Il presidente Schifani ha indetto per giovedì una riunione con i capigruppo, ma appare evidente che un'accelerazione dell'iter sarebbe possibile solo nel caso in cui si verificasse il voto unanime di tutte le parti politiche

La riforma Gelmini non sarà quindi ricordata come il provvedimento che fece finalmente cadere il Governo auticratico del Caimano, ma sicuramente rimarrà negli annali come forza motrice della rinnovata partecipazione studentesca alla vita politica. Un sonno che, indotto dai lutti degli anni di piombo e del panciuto benessere degli anni ottanta, viene finalmente interrotto e fa sperare nuovamente in una riscossa del piccolo Davide contro il gigante Golia.

 

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