Il comandante della portaerei americana Theodore Roosevelt, capitano Brett Crozier, è risultato positivo al Coronavirus un paio di giorni dopo essere stato bruscamente rimosso dal proprio incarico dal segretario della Marina militare USA dell’amministrazione Trump, Thomas Modly. La vicenda ha sollevato un polverone politico a Washington e una valanga di polemiche per la reazione della Casa Bianca alla clamorosa denuncia dello stesso ufficiale per la possibile diffusione incontrollata dell’epidemia tra i soldati sotto il suo comando.

In sostanza, Crozier è stato fatto fuori per avere cercato di portare l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica americana sulle condizioni venutesi rapidamente a creare sulla Roosevelt nelle ultime settimane. Il capitano della Marina USA aveva deciso di scrivere un “memorandum” per sollecitare misure volte a garantire la salute dei quasi 5 mila marinai a bordo della portaerei. Il documento era apparso la scorsa settimana sul San Francisco Chronicle, provocando le ire dell’amministrazione Trump.

La situazione, aveva scritto il comandante, “richiede una soluzione politica… Non siamo in guerra e ai marinai non è richiesto di dare la vita”. Nella lettera di quattro pagine venivano anche sottolineate le pericolose condizioni di vita a bordo della nave da guerra, con spazi per forza di cose limitati e quindi senza la possibilità di assicurare il distanziamento necessario a fermare l’epidemia. La Roosevelt è attraccata nell’isola di Guam, nell’Oceano Pacifico, e qui, sempre secondo la richiesta del capitano Crozier, avrebbero dovuto essere predisposte stanze per mettere in quarantena i soldati contagiati.

Ufficialmente, al momento sono circa 155 i marinai della Roosevelt risultati positivi al COVID-19, ma meno della metà dei 4.800 che compongono l’equipaggio sono stati finora sottoposti al test. Un migliaio sarebbero invece quelli già evacuati. Come ha fatto sapere il dipartimento della Marina USA, altrettanti dovranno comunque rimanere a bordo per garantire il mantenimento e la “sicurezza” della nave a propulsione nucleare e degli armamenti che trasporta.

Per i marinai della Roosevelt e buona parte dell’opinione pubblica americana, la condotta del capitano Crozier è stata impeccabile, dal momento che ha messo la sicurezza dei propri uomini davanti alle formalità previste dai vertici militari. Il governo di Washington è stato però di diverso avviso, perché il 50enne capitano originario della California è stato appunto destituito dal suo incarico.

Le motivazioni offerte dal dipartimento della Marina, dal segretario alla Difesa, Mark Esper, e dallo stesso presidente Trump sono apparse contorte, a testimonianza del fatto che il capitano ha in definitiva perso il suo incarico e visto svanire brillanti prospettive di carriera per avere smascherato l’incompetenza dei vertici militari e politici degli Stati Uniti.

La ragione ufficiale della rimozione del comandante della portaerei Roosevelt è che quest’ultimo ha mostrato una “scarsa capacità di giudizio” nell’esprimere le lamentele per la situazione provocata a bordo dal Coronavirus. Con una dichiarazione a tratti confusa, il segretario della Marina Modly ha spiegato che Crozier non ha seguito la “catena di comando”, dal momento che ha indirizzato la sua lettera, oltre che ai suoi superiori, a “20 o 30 altre persone”, provocando un “putiferio”.

Modly e la Casa Bianca hanno escluso che Crozier sia stato punito a causa della pubblicazione sulla stampa della sua denuncia, anche se è estremamente probabile che sia stata proprio l’apparizione del “memorandum” di protesta sul San Francisco Chronicle a provocare l’ira dei suoi superiori e di un’amministrazione Trump già oggetto di durissime critiche per la gestione complessiva della crisi provocata dal Coronavirus negli Stati Uniti.

Lo stesso presidente ha condannato pubblicamente il comportamento del capitano Crozier, mentre allo stesso tempo ha negato qualsiasi responsabilità per il licenziamento, a suo dire deciso in maniera autonoma dal segretario della Marina. Per Trump, il comandante della Roosevelt avrebbe anche commesso un errore imperdonabile quando nel mese di febbraio decise di fare attraccare la portaerei nel porto di Da Nang, in Vietnam, nel pieno di una pandemia. In quel momento nel paese del sud-est asiatico risultavano tuttavia pochissimi casi di COVID-19 e gli stessi vertici del Pentagono hanno definito del tutto giustificata la scelta di Crozier.

Il danno di immagine per cui l’amministrazione Trump intendeva punire il comandante della Roosevelt rischia prevedibilmente di ritorcersi contro la Casa Bianca. La stampa americana ha dato ampio spazio alla storia, rilanciata nel fine settimana dalla già accennata positività al Coronavirus di Crozier. Il San Francisco Chronicle ha ad esempio pubblicato un lungo profilo dell’ormai ex comandante, citando anche alcuni marinai della portaerei che hanno elogiato senza riserve il suo comportamento tenuto dopo che erano stati accertati i primi casi di COVID-19.

Anche sul fronte politico, la situazione potrebbe trasformarsi in un’altra grana per la Casa Bianca. Deputati e senatori del Partito Democratico hanno criticato la decisione del segretario della Marina, anche se in molti si sono detti concordi nel definire inappropriato il tentativo di bypassare i propri superiori da parte di Crozier. Al Congresso, i democratici hanno chiesto al Pentagono di istituire una speciale commissione d’inchiesta sia sulle modalità della rimozione del capitano sia sulla gestione dell’epidemia sulla nave da guerra di stanza a Guam.

Il caso della “USS Roosevelt” rischia di non essere l’unico che minaccia l’amministrazione Trump nell’emergenza Coronavirus. Il diffondersi dell’epidemia sulle navi da guerra USA è infatti favorito dalle condizioni di convivenza forzata in spazi angusti a cui devono sottostare i marinai a bordo. Altre situazioni critiche potrebbero già essere state segnalate, anche se l’esempio della punizione somministrata al capitano Crozier potrebbe scoraggiare la pubblicazione di ulteriori notizie imbarazzanti.

Secondo quanto riportato dalla stampa, in ogni caso, almeno un altro caso potenzialmente esplosivo sta interessando la Marina militare americana. Sulla “USS Ronald Reagan”, all’ancora nella base navale di Yokosuka, in Giappone, già una settimana fa erano stati registrati due casi di marinai positivi al Coronavirus. Come la situazione si sia evoluta da allora è però difficile stabilirlo, non essendo apparsa nessun’altra notizia in proposito sui media d’oltreoceano.

Invece di dedicare energia e attenzione alla micidiale pandemia da coronavirus che, al pari di altri irresponsabili leader dell’Occidente ha sottovalutato e che ora minaccia di devastare gli Stati Uniti, Donald Trump torna a riproporre piani di invasione e di ingerenza negli affari interni venezolani.

Si tratta evidentemente di un pretesto per deviare l’attenzione della propria opinione pubblica sempre più avvilita e preoccupata per gli effetti della pandemia, e di quella internazionale, che assiste incredula al dilagare del virus nelle metropoli statunitensi.

Il sistema sanitario degli Stati Uniti, debilitato al pari di altri del mondo occidentale dalle politiche neoliberiste e dove ancora non esiste un’assicurazione sanitaria degna di questo nome per l’insieme della popolazione, non è evidentemente in grado di proteggere i cittadini statunitensi dalla pandemia.

Visto il fallimento della strategia seguita finora per rimuovere con la forza il legittimo presidente venezuelano Nicolas Maduro, l’amministrazione Trump ha sfoderato questa settimana un’offerta di stampo mafioso che la leadership del paese sudamericano dovrebbe accettare per mettere in moto un nuovo “piano di transizione” politica. La “proposta” del segretario di Stato USA, Mike Pompeo, è in realtà un’altra manovra per provare a dividere il governo e i vertici militari del Venezuela, nel tentativo di sfruttare la crisi sanitaria in atto per imporre finalmente a Caracas un regime filo-americano.

Un voto del parlamento di Budapest nella giornata di lunedì ha assegnato poteri di fatto dittatoriali al controverso primo ministro ungherese, Viktor Orbán, ufficialmente per combattere il diffondersi dell’epidemia di Coronavirus. Il colpo di mano di Orbán è finora il più estremo dei provvedimenti adottati dai governi di tutto il mondo impegnati nella crisi sanitaria in atto. Molti altri anche in Occidente, tuttavia, si stanno muovendo o si sono già mossi in questa direzione autoritaria, inclusi quei paesi da dove sono arrivate alcune delle critiche più ferme nei confronti della deriva anti-democratica ungherese.

Indifferente ad ogni decenza e in spregio al Diritto Internazionale, certamente influenzato dalla sua passione smodata per il western, il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato di essere disposto ad offrire 15 milioni di dollari per la cattura del Presidente venezuelano, Nicolàs Maduro. Trump accusa Maduro ed altri dirigenti bolivariani di commerciare droga, o meglio di esportarla negli Stati Uniti. Che sia una infamia destinata ad alzare il livello della minaccia militare lo si intuisce facilmente. Che sia una bugia colossale lo si ricava anche solo dal fatto che il Venezuela é bloccato via mare, via terra e nei corridoi aerei verso gli USA; dunque si deve dedurre che il transito che denuncia Trump sia in realtà immaginifico.


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