di Sara Nicoli

La Corte Suprema ha condannato il Presidente, George W. Bush, e la sua Amministrazione per la violazione della Convenzione di Ginevra e delle stesse leggi degli Stati Uniti nei confronti dei detenuti del carcere di Guantanamo, illegalmente detenuti in regime di massima sicurezza senza aver subito un regolare processo. Le oltre 460 "tute arancioni" sono dunque da considerarsi uomini "sequestrati" dal governo Usa senza valide ragioni processuali, men che meno a fronte di condanne definitive e giuridicamente fondate. Si tratta, oltre ogni ragionevole dubbio, della più poderosa spallata all'aggressiva strategia della Casa Bianca nel trattamento dei detenuti e della personale guerra al terrorismo del presidente texano. Pesanti, pesantissime, le motivazioni della sentenza: il presidente è andato al di là della propria autorità nel negare ai detenuti le garanzie previste dal sistema giudiziario americano.

di Carlo Benedetti

Il Generale Giap Il colpo di grazia è venuto da un uomo della vecchia guardia. Il leggendario generale Giap, 94 anni, contemporaneo di Ho Chi Minh, eroe delle guerre vietnamite e fenomenale stratega che a Dien Bien Phu umiliò l'esercito francese. Nei mesi scorsi, ad Hanoi, dopo un silenzio di 25 anni era salito alla tribuna del congresso comunista. E qui, prendendo la parola in qualità di "consigliere speciale", si era lanciato all'attacco contro i corrotti e la corruzione. Aveva insistito - applaudito per minuti e minuti dai delegati - sulla necessità di trasparenza e democrazia nel Partito e d'azioni decise come in tempo di guerra. "Un partito che nasconde i suoi difetti è in rovina - aveva detto Giap - e un partito che ammette e fa chiarezza sui suoi errori è coraggioso, forte ed onesto". E da quel momento nel Vietnam, che fu di Ho Chi Minh, quel yankee, come back non va più tanto di moda, perché il rischio è che prendano il sopravvento capitalismo e corruzione, mentre dilaga una tangentopoli che coinvolge - come uno tsunami politico - il vertice del Paese. Insorge una questione morale.

di Daniele John Angrisani

La sede dell'attuale ambasciata Usa Tra i vari segreti che il governo americano non riesce a tenere nascosti, uno dei più grandi (circa 42 ettari di terreno) e più costosi (spesa prevista pari a 592 milioni di dollari) è l'Ambasciata americana che è in fase di costruzione a Baghdad. Circondata da mura alte 15 metri, larga quasi quanto il Vaticano, non si tratta certo di un oggetto semplice da nascondere. Per quale motivo questa costruzione è così importante? Presto detto. Negli ultimi giorni circola voce di una grossa riduzione delle truppe americane nel 2007 in vista di un ritiro completo negli anni seguenti. Ma se credete che gli americani vogliano davvero abbandonare l'Iraq sbagliate di grosso. Il Chicago Tribune infatti riporta che "la struttura inizia a prendere forma. In un momento nel quale la gran parte degli iracheni soffre di blackout energetici 22 ore su 24, il sito dove sorgerà la più grande ambasciata del mondo, è illuminato notte e giorno per permettere la continuazione dei lavori senza sosta".

di Carlo Benedetti

Tra Georgia e Russia punto e a capo. E tutto come prima: guerra fredda carica di pericoli "caldi". Perché dall'incontro del 13 giugno svoltosi a San Pietroburgo tra i leader dei due paesi - Vladimir Putin per Mosca e Michail Saakashvili per Tbilissi - non si è giunti né ad un armistizio né ad una pausa di riflessione. Tutto è rinviato alle prossime pagine di una storia che già si prevede complessa e tormentata. Non è chiaro quale sarà l'atteggiamento che Mosca e Tbilissi adotteranno nei confronti dei movimenti separatisti filo-russi che agitano le regioni georgiane dell'Abchasia, dell'Ossezia meridionale e dell'Adzaristan. Nel frattempo - come già avviene da alcuni anni - valgono solo le supposizioni, con le maggiori diplomazie mondiali che segnano nelle loro agende gli interrogativi relativi alle vicende del Caucaso.

di Daniele John Angrisani

Turki Al Faisal Quando nel luglio 2005 il sistema di sicurezza dell'aeroporto Dulles International aveva dato l'allarme non appena il figlio di undici mesi di Sarah Zapolsky aveva cercato di imbarcarsi su un volo per Phoenix, nessuno se ne era meravigliato più di tanto. Il bimbo era infatti nella lista dei sospetti terroristi e non era neppure il primo caso del genere. Ciò che più fa impressione è però che in tale lista invece non era presente il primo finanziatore dei talebani, che, a distanza di soli due mesi da questo increscioso incidente, sarebbe stato accolto con tutti gli onori da tappeti rossi e Segretari di Stato americani proprio all'aereporto Dulles. Stiamo parlando ovviamente del principe saudita Turki, l'ex direttore dell'intelligence saudita, che poche ore dopo essere sbarcato avrebbe ricevuto le credenziali come nuovo Ambasciatore saudita negli Stati Uniti d'America dalla Rice e dal presidente Bush. Sapeva Bush di stare dando le credenziali di Ambasciatore a colui che, assieme all'arcinemico Osama Bin Ladin, aveva partecipato alla creazione ed al finanziamento del movimento dei talebani, un vero e proprio Frankestein creato ad arte dai sauditi?


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