di Luca Mazzucato


E' finalmente finita la guerra nella Striscia di Gaza. Domenica mattina, a sorpresa, il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen hanno dichiarato il cessate-il-fuoco, con decorrenza immediata. Dopo cinque mesi di feroci combattimenti casa per casa, le truppe israeliane si sono ritirate, lasciandosi dietro una scia di quasi cinquecento morti e cinquemila feriti palestinesi. L'IDF ha ceduto le posizioni a tredicimila uomini dell'esercito palestinese, legati a Fatah, che avranno il compito di sorvegliare i confini interni della Striscia per imporre a tutti i gruppi armati il rispetto della tregua. La rioccupazione di Gaza era iniziata in Giugno, dopo la cattura del caporale dell'IDF Gilad Shalit da parte di Hamas e portata avanti con lo scopo ufficiale di fermare il lancio dei razzi Qassam dalla Striscia verso le cittadine israeliane di Sderot e Ashkelon.

di Neri Santorini

Battuta d'arresto per i negoziati sull'ingresso della Turchia nell'Unione Europea a causa di Cipro. Tanto che l'11 dicembre i 25 capi di stato e di governo decideranno di congelarli. Per ora lo stop riguarda solo i capitoli commerciali, ha suggerito oggi la Commissione Ue,visto che Ankara continua a violare con Cipro i principi elementari di libero scambio. Ma il Consiglio Europeo potrebbe andare oltre e "punire" Ankara anche sul piano politico, fermando tutto il processo negoziale. Proprio adesso che Papa Ratzinger, tra mille difficoltà, compie un faticoso gesto di distensione con la sua visita in Turchia. "La Chiesa non fa politica", ha detto il Papa al premier turco Erdogan, che si è degnato di riceverlo in aeroporto per pochi minuti solo quando ha capito che gli islamici nelle piazze turche non sono poi tanti. E' vero che il Vaticano non prende decisioni a Bruxelles. Ma proprio la Chiesa di Ratzinger ha insistito molto, e invano, affinché la Costituzione europea sottolineasse le radici cristiane d'Europa.

di Bianca Cerri

Il giorno della sua nomina a responsabile della Difesa, Robert Gates era stato definito da Bush “un uomo nuovo” ma la definizione rischia di apparire sarcastica, visto che Gates ha fatto parte della CIA per oltre 26 anni. Lo hanno messo sotto inchiesta varie volte per stabilire quale fosse stato il suo ruolo nella vicenda Iran-Contras e risulta che fosse perfettamente al corrente sia della vendita di armi all’Iran che dei finanziamenti ai Contras del Nicaragua, così come sapeva che le attività della CIA in Nicaragua venivano finanziate con il ricavato di un fiorente traffico di cocaina. Secondo Rodney Stich, autore di “Defrauding America” ogni operazione ruotava attorno agli stessi personaggi: oltre a Gates, William Casey, Edwin Meese (oggi a capo del complesso industrial-carcerario) ed altri.

di Carlo Benedetti

E’ una rumorosa e tragica campagna elettorale quella che ha preso avvio in Russia in vista delle presidenziali fissate per il 2008. Non si svolge secondo le regole classiche della dialettica politica. Volano colpi bassi in un mare di retorica. Ma, soprattutto, esplodono colpi di pistola, si alternano raffiche di kalashnikov ed attentati. Nessun dialogo a distanza, ma scontri ravvicinati tra bande rivali. Restano sul campo oligarchi e portaborse, banchieri e manager, politici e giornalisti, amministratori e membri di consigli d’amministrazione… Le parole che più ricorrono nei rapporti di polizia sono “mafia” e “massoneria”, “lobby” e “clan”. E i dibattiti che annunciano le battaglie cominciano nelle strade, nei night-club o nei ristoranti di maggior lusso per poi finire nel freddo delle stanze degli obitori. I cimiteri sono così l’ultimo palcoscenico come avviene a Mosca dove quello di “Vaganskoie” - che vede la tomba del poeta Esenin - ha già una via di croci ortodosse o di stelle di David con su scritti i nomi dei ladri e dei corrotti raggiunti dalla “giustizia” delle cosche. E' in questo mondo stravolto dalla violenza che si svolge la corsa per la presidenza del Cremlino. Qui non sono in gioco ideologie o schieramenti geopolitici. Nessuna operazione intellettuale per una eventuale trasmissione delle idee, nessun percorso politico. Nessun laboratorio sociale. La lotta all’ultimo sangue è per il bottino economico.

di Fabrizio Casari

Rafael Correa, quarantatrè anni, economista, candidato della sinistra, è il nuovo Presidente dell’Ecuador. Ha sconfitto, con quattordici punti di scarto, il candidato filostatunitense Alvaro Noboa, imprenditore agricolo dotato di scarse idee e, per giunta, confuse. Tanto gli exit-poll quanto il “conteggio rapido”, hanno confermato il sentire generale del paese andino, che senza i brogli del primo turno avrebbe avuto già da alcune settimane il suo legittimo, nuovo Presidente. Correa è l’ottavo presidente a far ingresso nel Palazzo di Carondelet a Quito. Dopo il boomerang nicaraguense, dove l’ambasciata Usa con le sue ingerenze pesanti, oltre ogni legittimità, ha contribuito alla vittoria di Daniel Ortega, anche l’Ecuador si è rivelato una pagina disastrosa per la propaganda statunitense. Ad Alvaro Noboa, infatti, non è bastato l’appoggio degli Stati Uniti: anzi, forse proprio il sostegno sfacciato offerto al “bananero”, è stato il colpo di grazia per le stesse aspirazioni statunitensi. Una volta di più gli Usa, incapaci di concepire una politica rispettosa del diritto ed improntata sulla multilateralità, hanno scelto un fantoccio locale per fermare l’onda lunga indipendentista e democratica e, nell’illusione che bastasse, si sono consegnati a quella sorta di Calderoli ecuadoriano di Noboa, che ha distribuito parole in libertà e minacce a piene mani circa il rischio di “consegnare il Paese a Chavez”.


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