di Daniele John Angrisani

Hiba Abdullah è sopravvissuta al massacro di Haditha dello scorso 19 novembre. Non così altre sette persone che si trovavano in quel momento nella casa di suo padre. Hiba ha visto con i suoi occhi i marines entrare in casa sua e sparare per uccidere prima suo marito, Rashid Abdul Hamid, e poi suo padre, Abdul Hamid Hassan Ali, di 80 anni, costretto sulla sedia a rotelle per una malattia. La sorella, Asma, è letteralmente crollata al suolo quando ha visto suo marito ucciso dinanzi ai suoi occhi. Asma aveva un bambino di 5 anni, che è stato portato miracolosamente fuori dalla casa da Hiba per sfuggire alla furia criminale dei marines. Quando Hiba ed il bambino sono rientrati dopo che i marines avevano abbandonato la casa, avrebbero scoperto che anche Asma era stata uccisa.

di mazzetta

Gli Stati Uniti invasero l'Iraq dopo aver preso accordi con tutti i paesi confinanti. Lunghi colloqui preliminari coinvolsero non solo i paesi mediorientali tradizionalmente alleati, ma anche Siria ed Iran, che collaborarono con gli americani attraverso lo scambio di informazioni e le convenzioni di frontiera, affidate completamente alla loro benevolenza poiché gli americani rinunciarono fin da subito a controllare le frontiere irachene. In quel momento gli Usa che attaccavano Saddam sembravano spingere per accordi storici con Siria, Libia ed Iran, affermando di voler stabilizzare la regione con le buone o con le cattive. La Rice trovò buona accoglienza, la Siria fece di tutto per accondiscendere alle richieste americane, un cammino che poi ha portato anche allo storico ritiro dal Libano, la Libia concluse un accordo-quadro per il quale ora è un paese rispettabile e anche l'Iran mostrò di ambire a una soluzione anche a costo di concedere contropartite non scontate.

di Bianca Cerri

Saddam Hussein, ieri davanti ai giudici per crimini contro l'umanità, avrà sicuramente provato un moto d'invidia apprendendo che i liberatori dell'Iraq sono riusciti a fare molte più vittime di quelle attribuite al suo regime. All'obitorio di Baghdad, nella zona nord della città, arrivano centinaia di cadaveri che recano ancora visibili i segni della violenza e della tortura portate all'estremo. Nell'infernale Iraq di oggi, dove ormai non esiste più nulla, questa è la meta finale per i civili innocenti uccisi a tradimento nelle strade. Per quelli che non hanno nome, se nessuno verrà ad identificarli, ci sarà solo una fossa con sopra un numero. Parenti e amici in cerca di persone scomparse arrivano quando è ancora buio e aspettano in silenzio di varcare il pesante cancello di ferro ed effettuare eventuali riconoscimenti. Rischiano di morire anche loro come tutti, perché anche fuori dall'obitorio impazzano bande di rapitori, cecchini, vendicatori che sparano a caso sulla gente. Una volta all'interno si coprono la bocca e il naso con stracci di fortuna per evitare di respirare aria satura di morte. Tra poco, con l'arrivo del grande caldo, la situazione peggiorerà, perché non ci sono celle frigorifere sufficienti a contenere i tanti corpi ammassati e quelli che continuano ad arrivare. Ogni tanto arriva un furgone a prelevare i cadaveri che devono essere sottoposti ad autopsia. Le bare di legno leggero vengono appoggiate in bilico addosso al muro per mancanza di spazio. In ogni angolo ci sono persone che piangono.

di Carlo Benedetti

Ratzinger lo sapeva sin dai tempi del papa polacco, ma ora ha toccato con mano la realtà, scoprendo che, realmente, l'ordine non regna a Varsavia. Non può quindi ripetere la famosa espressione che nel settembre del 1831 il ministro degli Esteri francese pronunciò alla Camera dopo la durissima repressione russa in terra polacca: "L'ordine regna a Varsavia". Ora i russi non c'entrano, ma Ratzinger dovrà pur sempre trovare un "nemico" sul quale far ricadere i problemi del momento. E così il suo pellegrinaggio - tra memoria e preghiera - nei luoghi più significativi della storia della fede polacca (Czestochowa, Kalwaria Zebrzydowska, Lagiewniki) non può essere consegnato a quelle cronache agiografiche dell'Osservatore Romano che ricordano, tra l'altro, le descrizioni che riempivano la Pravda brezneviana quando il segretario del Pcus andava all'estero. Perché il teologo Ratzinger (memore degli insegnamenti dati e ricevuti a Bonn, Münster, Tubinga e Ratisbona) si è trovato a dover svolgere nella Polonia di oggi un ruolo "esterno" di pastore ed un ruolo tutto "interno" di dottore della Chiesa concentrato sulla lotta al relativismo e a una certa tentazione di fornire interpretazioni soggettivistiche e selettive alla Sacra scrittura. Si è impegnato in una azione tesa a superare le divisioni del passato e a fuggire dalle tentazioni del relativismo. Tutte derive, queste, antieuropee e nazionaliste.

di Fabrizio Casari

Tutto come nelle previsioni, percentuali comprese. La vittoria di Alvaro Uribe nelle elezioni presidenziali in Colombia non ha rappresentato una novità nel quadro politico colombiano né, più in generale, in quello latinoamericano. E' il secondo mandato presidenziale quello che ha avuto ieri l'inossidabile amico di Washington, che ha potuto ricandidarsi solo grazie ad un emendamento alla Costituzione che si era regalato con la complicità del Congresso durante il primo mandato. Solo Raphael Nunez, nel 1892, aveva governato il Paese latino per due mandati successivi. Il cinquantatreenne pupillo della Casa Bianca e dei paramilitari di destra, appena confermato, ha detto di voler tendere ad <<una democrazia moderna, con sicurezza democratica, con libertà, trasparenza e rispetto>> aggiungendo di voler lavorare <<per la costruzione di una nazione pluralista, multicolore, in un dibattito permanente ma in una permanente costruzione di consenso>>. Doveva essere ebro di vittoria il riconfermato presidente, perché il suo primo mandato si è caratterizzato proprio per una politica che ha letteralmente abbandonato l'idea della costruzione del consenso in ragione dell'affermazione dell'autoritarismo.


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