di Lidia Campagnano

Le città muoiono, una dopo l'altra, nei campi delle guerre non dichiarate: a questo servono le perfezionate armi della guerra infinita in corso da oltre un decennio. Adesso tocca al Libano. Mentre noi incominciamo a guardare con apprensione alle nostre città europee (perché no?). Mentre l'unico dato che informa della distruzione in corso, il numero dei morti (non i loro nomi, meno che mai le loro biografie) crea assuefazione ovvero ci rende tutti stupidi. Mentre crollano Beirut e Tiro…
Città: polis, in greco. Radice della parola politica. Culla della democrazia. Spazio dell'architettura, cioè dell'arte di dare forma, riparo, abitabilità alla convivenza umana. Che altro bisogna mandare a mente per comunicare la barbarie dei bombardamenti in corso?

di Giorgio Ghiglione e Matteo Cavallaro

Si fa un gran parlare, in questi giorni, dei possibili interventi che il neoministro dell'economia Tommaso Padoa Schioppa ha deciso di attuare per risanare una finanza pubblica giudicata da più parti allo sbando; nonché di un paese che, a detta degli economisti, rischia di subire una crisi simile a quella argentina.
Si parla di tagli alla spesa pubblica sui quattro grandi comparti - sistema pensionistico, servizio sanitario, amministrazioni pubbliche, finanza degli enti decentrati - che ne rappresentano circa l'80 per cento. La "scure" del ministro colpisce anche i privilegi dei ministeri, in un'opera di risanamento che pare muoversi a 360 gradi.
Anche il settore bellico non è esente da tagli. Il ritiro dall'Iraq permette infatti un risparmio di quasi cento milioni di euro solo nel prossimo semestre, che salgono a duecento una volta terminato il rischieramento. Nonostante ciò però, i costi per le truppe all'estero rimangono altissimi, il decreto-legge di rifinanziamento prevede infatti per il prossimo semestre una spesa pari a 488.039.565 euro.

di Giovanni Gnazzi

Più di sessanta i morti, tra i quali 37 bambini. Questo bilancio, ancora provvisorio, è il prezzo pagato dalla popolazione libanese al 19° giorno dell'aggressione israeliana al Paese dei cedri. "Da lì partivano molti razzi", ha detto un portavoce dell'esercito israeliano per giustificare il bombardamento degli aerei con la stella di David su Cana, aggiungendo che Hezbollah "si nasconde dietro i civili". Come dire che si può radere al suolo una città e azzerare la sua popolazione, fare il tiro a segno su tutto ciò che appare all'orizzonte per riuscire a colpire, eventualmente, un nemico che si nasconde. Tesi che evoca pratiche che proprio a Tel Aviv dovrebbero ricordare con orrore. La strage, determinata dal crollo della palazzina raggiunta dalle bombe israeliana, ha avuto luogo mentre a Gerusalemme erano riuniti Condoleeza Rice, il premier israeliano Olmert e il ministro della Difesa Peretz.La Rice, che si diceva pronta a recarsi a Beirut ci ha ripensato. Molto probabilmente non aveva niente altro da proporre ai libanesi ed è chiaro che la responsabile della diplomazia USA sarà disposta a recarsi a Beirut solo per offrire l'accordo israeliano sulla cessazione, almeno temporanea, dei bombardamenti; magari davanti alle telecamere di tutto il mondo che potranno così definirla negoziatrice risoluta e capace, in modo da dare un'altra spintarella alle sue ambizioni politiche per il dopo Bush.

di mazzetta

Che i politici israeliani siano ormai vittima di una pericolosa isteria, o di un ancor più pericoloso senso d'impunità derivato dalla protezione degli USA, si è potuto verificarlo al di là di ogni ragionevole dubbio poche ore dopo la Conferenza di Roma sul Medio Oriente. Il Ministro della Giustizia israeliano, dopo che il suo paese aveva anche schivato l'ennesima condanna dell'ONU (questa volta per aver bombardato una sua postazione uccidendo quattro caschi blu che per dieci volte avevano chiamato gli israeliani per dire che erano sotto il loro bombardamento), non ha trovato di meglio che dire che la dichiarazione rilasciata al termine del vertice era una autorizzazione per Israele a continuare l'aggressione al Libano. Un successo che Israele ha festeggiato bombardando anche Gaza, tanto perché i palestinesi non pensassero a un calo d'attenzione nei loro confronti.

di Carlo Benedetti

Quattromila chilometri di binari per dire al mondo che il Tibet non è più un territorio collocato oltre le colonne d'Ercole. Vince, così, la politica del "conduttore" Hu Jintao e va in deposito quella del "gran timoniere" Mao. E', in sintesi, quanto avviene nella nuova Cina dove entra in funzione la ferrovia che da Pechino arriva nella capitale del Tibet, Lhasa. La tecnica batte la politica. Il progresso sconfigge i fautori dell'isolamento. E così il Tibet - con più di un milione di chilometri quadrati e circa tre milioni d'abitanti - viene di fatto compreso nella grande Cina che spinge qui i suoi confini sino alla Birmania, l'India, il Bhutan e il Nepal. E la capitale Lhasa - situata a circa 4000 metri sul livello del mare a nord della dorsale principale himalayana - diviene più vicina non solo al mondo cinese, ma a tutti coloro che vogliono conoscere da vicino la culla del buddismo.


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