di Carlo Benedetti

L'Ucraina di Yuscenko (con i suoi quattrocentomila soldati) non molla e continua la marcia d'avvicinamento alla Nato nonostante l'esistenza di un accordo di cooperazione strategica e militare con la Federazione russa.
L'atto più recente, che anticipa lo "strappo" da Mosca, è di poche settimane fa con il presidente ucraino che ha dato il via ad una commissione che avrà il compito di preparare l'ingresso nell'organizzazione militare dell'Ovest. Si riconferma così il corso strategico della politica di Kiev volta all'integrazione nelle strutture europee con una conseguente e più stretta cooperazione transatlantica. Un corso che coinvolge quasi tutti i paesi del continente, in particolare le nuove realtà del centro ed est Europa. Yuscenko, pertanto, tratta direttamente con gli americani ribadendo l'importanza che avrà la partecipazione del paese nell'emergente sistema di sicurezza paneuropeo dove organizzazioni come l'Osce, la Nato e l'Ueo sono componenti di base. Chiara, di conseguenza, la strategia sociale e politica.

di mazzetta

Le Corti Islamiche hanno ormai il controllo della capitale e di quasi tutto il paese, l'Alleanza Contro il Terrorismo è sconfitta e ormai allo sbando.
No, non state leggendo un bollettino di Bin Ladin, ma un ragionevole sunto degli eventi somali degli ultimi mesi, avvalorato anche dalle cancellerie occidentali e negato solo dal Dipartimento di Stato americano, casualmente impegnato a finanziare l'Alleanza Contro il Terrorismo che, dicendola tutta, era l'alleanza tra due signori della guerra i quali, fidando sull'appoggio USA, hanno pensato bene di rompere l'anarchico equilibrio somalo. Forse l'intervento americano è paradossalmente stato benefico: per la prima volta dal 1991 la Somalia sembra finalmente avviata alla formazione di un vero governo. Le Corti Islamiche, nella persona del loro portavoce Sharif Sheikh Sharif Ahmed, hanno reso noto di non aspirare ad uno stato islamico e di essere pronte ad accordarsi con lo pseudo-governo transitorio (Governo Federale Transitorio), dal quale nel frattempo sono stati cacciati i filo-americani . La sconfitta dei signori della guerra ha galvanizzato l'IGAD (gruppo di paesi confinanti che hanno svolto la funzione di tutoring per la formazione del GFT) e anche le diplomazie internazionali.

di Alessandro Iacuelli

Mentre gli occhi del mondo occidentale si focalizzano sul programma atomico iraniano e sul ventesimo anniversario della sciagura di Chernobyl, un velo di silenzio e di oblio è caduto sul nucleare pakistano e sui danni che ha già causato soprattutto sul fronte interno.
Il programma nucleare pakistano ha le sue radici nel perenne conflitto contro l'India, una guerra dimenticata, antica quanto i due stati. Iniziò ad essere sviluppato nel 1972, in assoluta segretezza.
Nell'area di confine tra i due stati ci sono state in tutto 11 esplosioni nucleari, tutte dovute a test di armi atomiche: cinque test indiani e sei pakistani.
Nella provincia di Pandzhab, a 350 Km da Islamabad, in un luogo dove nel 1988 ci fu una delle esplosioni atomiche di test, ha sede il deposito di stoccaggio delle scorie nucleari pakistane. Non si tratta di un deposito sicuro e se ne vedono le ragioni, generando dubbi sulla sicurezza del programma atomico del Paese.

di Carlo Benedetti

Agim Ceku Dopo l'addio a Belgrado - sancito dal Montenegro del premier Milo Djukanovic - ecco che si stacca un'altra tessera del mosaico dell'ex Yugoslavia. Tocca al Kosovo che, sotto la leadership di Agim Ceku, lascerà ora la Serbia di Vojislav Kostunica. Ed è la fine annunciata - questa volta ufficiale - di quella che un tempo era definita "Repubblica Socialista Federativa di Yugoslavia", organizzata e difesa dal leggendario Josip Tito, ma sempre osteggiata da stati come la Germania e il Vaticano. E, da ultimo, vittima dei nazionalismi più sfrenati e di una Nato che ha camuffato come "intervento umanitario" una sua guerra volta ad affermare una nuova egemonia politica e militare occidentale sull'Europa sud-orientale, infierendo nuove sofferenze alle popolazioni locali e violando sempre il diritto internazionale. Una guerra, in sintesi, che è stata l'ultimo effetto collaterale (si spera, almeno…) della Grande Guerra.

di Giovanna Pavani

Adesso, solo adesso, Gorge W. Bush dice di essere "profondamente turbato". E adesso, sempre e solo adesso, la sua preoccupazione è che i corpi dei tre primi suicidi del carcere di Guantanamo, due detenuti sauditi e uno yemenita, siano trattati secondo quanto prevede la legge islamica, nel massimo rispetto, dunque, della loro religione.
Rispetto. Una parola che oggi risuona come un'ingiuria postuma a chi non ha avuto il privilegio di vedersi riconoscere questo primario diritto umano da vivo. Ma è un insulto anche per i vivi, per quelli che non possono far a meno di leggere nelle parole di Bush l'ennesimo, goffo tentativo dell'Amministrazione Usa di frenare l'inevitabile risposta che questo atto di apparente, estrema disperazione di tre uomini detenuti in modo arbitrario e definitivo nel "gulag dei tempi moderni", potrebbe scatenare a livello internazionale. Perché c'è soprattutto una domanda che aleggia indiscreta su questa vicenda, più che su altre maturate in seguito a fatti recenti: si sono uccisi davvero o li hanno ammazzati alla fine di un classico "confronto all'americana" tipico dell'unico carcere off shore del mondo? Bush, ovviamente, conosce la risposta. E sa che stavolta la pioggia di critiche internazionali sarà ancora più acida e corrosiva di sempre per la stabilità del suo governo e per la tenuta dell'asse anti-islamico occidentale.


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