di Mazzetta



Ancora una volta la Turchia bussa alla porta dell’Europa e non vi trova dietro una posizione unitaria. Molti sono i motivi che hanno spinto le più diverse formazioni politiche europee ad opporsi, con alterne fortune, all’ingresso della Turchia nella UE. Le destre più o meno integrate nel neoconservatorismo occidentale e quelle inclini alla xenofobia, basano il loro rifiuto soprattutto sulle differenze culturali e sull’inconcepibile (per alcuni) associazione di un paese privo delle “comuni radici giudaico-cristiane” alla carovana con la testa a Bruxelles, ma con il cuore e le viscere divisi da mille localismi. Al contrario i sinceri democratici sono più preoccupati per l’assetto istituzionale turco, nel quale i militari godono di status, potere e libertà d’azione inconcepibili nel resto del continente. Poi ci sono gli interessi nazionali.

di Fabrizio Casari

La prima vittima del terremoto politico annunciato che si è rovesciato sull’Amministrazione Bush, è Donald Rumsfeld, il potente quanto contestato Segretario alla Difesa. Non si era mai vista tanta rapidità. Nancy Pelosi, la nuova Speaker del Congresso aveva appena detto, nel corso della sua prima conferenza stampa che “dopo il voto occorre un cambio di direzione da parte del presidente. E un cambio di leadership al Pentagono é qualcosa che non hanno chiesto solo i democratici, che viene anche dalle stesse gerarchie militari”. Il presidente Bush ha obbedito. Una telefonata, solo il tempo di una telefonata e Donald Rumsfeld è diventato l’ex Segretario alla Difesa. Un fulgido esempio di licenziamento-lampo per il teorico della guerra-lampo, unitamente ad una certificazione d’impotenza emessa via telefono da parte dell’uomo più potente della terra verso il suo braccio militare.

di Daniele John Angrisani

Come era ampiamente prevedibile, dati i sondaggi pre elettorali, le elezioni di mid-term si sono trasformate in un vero e proprio tsunami per la politica americana. I democratici hanno conquistato con un deciso margine la maggioranza della Camera dei Rappresentanti e, per la prima volta, una donna, Nancy Pelosi, diventerà Speaker della Camera Bassa, ovvero la terza autorità del Paese. Al Senato invece il risultato finale del voto dipenderà da un possibile riconteggio in Virginia, dove il candidato democratico James Webb conduce al momento per circa 8.000 voti rispetto al senatore repubblicano uscente George Allen. Voci dell'ultima ora vorrebbero Allen pronto a concedere la sconfitta ed evitare lo stillicidio di un ennesimo riconteggio, ma staremo a vedere se sarà davvero così o meno.

di Daniele John Angrisani


Si sono finalmente aperte le urne in tutti gli Stati Uniti d'America, dopo settimane di forti polemiche politiche e di campagna elettorale decisamente accesa nonostante si tratti di una elezione di mid-term solo in apparenza secondaria. E i problemi non si sono fatti attendere. In molti seggi infatti, soprattutto in aree a maggioranza democratica, o abitate prevalentemente dalle minoranze etniche, le macchine usate per il voto elettronico hanno causato problemi e ciò ha portato forti ritardi nelle operazioni di voto che in alcuni casi sono iniziate solo dopo qualche ora e con l'uso di tradizionali schede cartacee al posto delle macchinette supertecnologiche che avrebbero dovuto essere il fiore all'occhiello di questa America che si appresta a rinnovare il Congresso. Ma qual è il problema esattamente? Perchè ad ogni elezione importante negli Stati Uniti d'America ci sono problemi di questo genere?

di Bianca Cerri

In queste ore gli americani stanno scegliendo 435 nuovi congressisti, 33 nuovi senatori e 36 governatori. Gli exit-poll sono ancora oscillanti e non consentono previsioni, bisognerà aspettare le proiezioni ufficiali. Durante la campagna elettorale, i notiziari hanno alternato gli spots dei candidati ad allarmanti notizie di scandali sessuali, raggiri politici e tresche varie ed esiste il serio rischio che il pubblico decida di disertare in massa le urne. In ogni caso, non si verificheranno cambiamenti epocali. Votare per un partito solo per fare dispetto all’altro non sarà sufficiente a ripristinare la giustizia sociale negli Stati Uniti, una delle nazioni più sfortunate del mondo per quello che riguarda la scena politica. Molti vedono nelle elezioni di medio-termine solo un referendum che sarà vinto da chi avrà saputo sfruttare meglio la dabbenaggine degli elettori. Non è escluso che la vera vittoria sarà quella dei media, che durante la campagna elettorale hanno guadagnato circa il 15% di quanto avevano incassato con elezioni presidenziali del 2004. Tradotto in soldoni si parla più o meno di un miliardo e seicentomila dollari per le sole emittenti televisive.


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