di Giuseppe Zaccagni

Sembra superato lo stallo dei colloqui tra Pyongyang e Seul: sarà per i risultati ottenuti al recente vertice di Pechino sul nucleare, oppure per il clima che si sta creando in vista del compleanno del leader del Nord, ma il fatto è che si annuncia ora la ripresa dei contatti ufficiali fra i due paesi. Le delegazioni governative si incontreranno infatti nella capitale nordista dal 27 febbraio al 2 marzo. L’agenda del vertice è già stata fissata con una riunione preparatoria, che si è svolta nella città di frontiera di Kaesong, situata a nord del 38° e nota per essere una zona economica speciale. Distensione, quindi, su quella linea segnata dal famoso parallelo, ultimo baluardo “caldo” della guerra fredda? Distensione, ma non soluzione. La strada è ancora lunga e gli uomini del Nord hanno una linea di condotta che, certamente, non facilita i processi di avvicinamento. Resta un contenzioso epocale segnato dallo scetticismo. Perché il Nord parla di riunificazione delle due realtà nazionali, ma prevede che il processo debba svolgersi secondo le regole dettate dal governo di Pyongyang sempre più prigioniero di un labirinto economico di cui non riesce a liberarsi. Tutto comincia con quella tragica “guerra di Corea” che segnò la fase più acuta del conflitto tra l’Est e l’Ovest. Correva l’anno 1950 quando, in seguito all’invasione del Sud da parte delle forze nordcoreane, gli Stati Uniti – aiutati da altri paesi dell’Onu - intervennero sostenendo di essere obbligati ad ostacolare il “comunismo”. Una sorta di difesa della “civiltà occidentale” nell’Asia estrema. Il risultato della guerra – dopo alterne vicende – fu la divisione in due della penisola. E la linea di demarcazione fu, appunto, quella del 38° parallelo, caratterizzata dalla firma a Panmunjeom dell’armistizio. Con al Nord un governo comunista guidato da Kim Il Sung e al Sud con un governo nazionalista e filoamericano presieduto da Syngman Rhee.

E da allora è tensione. Con una “baracca” collocata a metà, sulla linea di demarcazione. Un lungo tavolo di legno grezzo sul quale sistemare i dossier di una resa dei conti carica di avvertimenti minacciosi. Da una parte i soldati del Nord e dall’altra gli americani. Tutti si controllano a distanza e in silenziosa attesa che accada qualcosa. Ed ora si è di nuovo ad un giro di boa. La trattativa sulla eventuale riunificazione riparte proprio a Pyongyang che da poco ha festeggiato i 65 anni del suo “Caro leader compagno Kim Jong Il, Comandante supremo dell'Armata Popolare Coreana, Presidente della Commissione di Difesa Nazionale, membro del Presidium dell'Ufficio Politico, Segretario del Comitato Centrale del Partito del Lavoro di Corea”.

Il leader coreano, comunque, non molla. Utilizza i concetti come un prestigiatore. Accetta i colloqui ma resta sul piede di guerra. Mostra denti d’acciaio e una volontà di ferro. Rende noto di voler mantenere la mobilitazione contro un eventuale attacco americano. E così, tra i messaggi per il suo compleanno, mette in evidenza quello che più gli ha fatto piacere. Viene dai capi dell'apparato militare i quali si dicono pronti a "schiacciare senza pietà il nemico e raggiungere lo storico obiettivo dell'unificazione nazionale".

Si evidenzia, ancora una volta, la doppia faccia di Pyongyang. Con Kim Jong Il che cerca di presentarsi all’altezza del “Grande Leader”, cioè suo padre Kim Il Sung, fondatore dell’organizzazione comunista rivoluzionaria, l'Unione anti-imperialista dei coreani. E padre, di conseguenza, della nazione del Nord. Il figlio, comunque, non ha né il carisma del genitore né è in grado di sfornare successi dal sistema ereditato. Si trova a dover gestire una situazione di completo isolamento. Con una Russia (post-sovietica) che non vuole sentir parlare di esperimenti socialisti e di una Cina comunista che punta alla transizione accettando molte regole dell’economia di mercato. E così ognuno urla in faccia all’altro il proprio disaccordo.

Kim Jong Il punta, invece, sulla distanza dal mondo occidentale. Fa del 38° parallelo un confine che è sempre più un vero Muro di divisione. E gestisce così la situazione di isolazionismo come un’arma contro tutti. Annuncia continui riarmi, e spaccia una potenza nucleare che, forse, non ha. Ma una cosa è certa: ha bisogno di aiuti. Non vuole ammetterlo, ma l’Asia sa bene che la realtà coreana è sempre più sconvolta da una economia che non è mai decollata. Il Sud, intanto, punta sul dialogo e sugli scambi, in particolare economici per ridurre le disparità, prevenire i conflitti e preparare un'eventuale riunificazione su base paritaria.

Ora, comunque, sembra proprio che siano gli americani a voler rallentare i processi distensivi. Cia e Pentagono non hanno ancora le idee chiare sui programmi delle due Coree. Sanno che le parti hanno trovato anche punti di contatto che, pur non avendo toni politici e diplomatici, si riferiscono ad un minimo comune denominatore di valenza economica. E’ il caso del collegamento ferroviario Seul-Pyongyang che potrebbe sbloccare la posizione della Corea del Sud. Ma gli Usa, appunto, hanno subito cercato di deteriorare la situazione perché il Tesoro americano ha adottato una serie di misure finanziarie contro Pyongyang, accusando il “Banco Delta Asia” (una banca di Macao in Cina) di riciclare somme di denaro per conto della Corea del Nord: una “tesi” che nessuna inchiesta internazionale ha mai suffragato. Ma la banca si è vista costretta a congelare 24 milioni di dollari di provenienza nordcoreana. Pyongyang, non potendo rispondere con strategie economiche, ha reagito riaffermando il proprio diritto di possedere la bomba atomica.

E non è tutto. Perché Kim Jong Il cerca anche di imporre ai suoi concittadini precise regole di comportamento. Fissa un suo decalogo (proibisce il baciamano perché non igienico, bandisce gioielli e braccialetti d’oro e d’argento; proibisce ai turisti di fotografare da vicino persone e palazzi, vieta l’uso dei cellulari e limita “Internet” alla sola rete interna) e, nel frattempo, comincia a pensare anche alla successione. In questo senso la sua monarchia socialista ha già una forte tradizione.

L’attuale leader è arrivato al posto di comando sulla base della eredità lasciatagli dal padre. Ed ora si profila un nuovo Kim, il suo figlio primogenito, Kim Jong-Nam di 35 anni. E qui cominciano i guai per la grande famiglia. Il “giovane” delfino vive da almeno tre anni a Macao, ha un passato tempestoso, passa la maggior parte del suo tempo in un albergo a cinque stelle. Per ora cerca di tenersi fuori dal giro di Pyongyang pur avendo “diritto” alla successione. E lontani dai giochi anche gli altri due figli minori: Jong-chol, 23 anni, e Jong-woon, 20 anni. Tutti e tre, tra l’altro, non hanno rapporti con la struttura portante del sistema nordcoreano: l’esercito, che è l’unica struttura stabile capace di controllare la vita dell’intero paese.

Ora, comunque, arriva per Kim Jong Il una nuova prova. Il 27 febbraio i suoi negoziatori si troveranno a parlare con i delegati del Sud. E sarà sicuramente un discorso duro ed aperto. Stessa lingua e nessuno spazio ad affermazioni demagogiche. E sul tappeto dell’incontro c’è anche un significativo “particolare”: la Corea del Sud, infatti, non vuole inasprire le sanzioni contro la Corea del Nord. Non vuol cedere alle pressioni di Washington, e aspira a conservare un'autonomia decisionale. A Seul si dice che il potere del Sud non vuole perseguire la riunificazione con la forza come nel Vietnam, non vuole una riunificazione come quella tedesca. Tutto in un clima di continue contraddizioni fra la retorica degli obiettivi e la realtà dei fatti.

Ma nella prossima agenda delle due Coree c’è anche una nuova pagina che riguarda solo il Nord. L’annuncia il ministro degli Esteri giapponese Taro che rende noto l’avvio di un round di colloqui tra Tokio e Pyongyang allo scopo di rilanciare le relazioni dopo un periodo di relativa tensione. Gli incontri sono previsti a breve scadenza. Secondo Aso, che è stato in passato molto critico nei confronti del regime nordcoreano, il nuovo faccia-a-faccia con gli uomini di Kim dovrebbe servire a preparare il terreno per la formazione di un gruppo di lavoro bilaterale previsto dall'accordo stipulato da poco a Pechino sul disarmo nucleare nordcoreano. Al momento della firma il Giappone si era chiamato fuori dalla fornitura di assistenza energetica a Pyongyang citando una complessa controversia inerente il rapimento di alcune persone risalente a una trentina di anni fa.

Ma la Corea del Nord ritiene chiusa la questione con le scuse e i chiarimenti già forniti e ha rilanciato a sua volta il problema dei risarcimenti per i 35 anni di occupazione nipponica nella penisola. Ora al futuro tavolo delle trattative tra i due mondi – coreano del Nord e giapponese – si dovrebbe trovare una intesa per lo sviluppo del dialogo. Per dirla in gergo diplomatico..


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