di Fabrizio Casari

Pare che Bush dormisse mentre il raìs iracheno moriva. L’amico di un tempo, promosso a tiranno da nuovi equilibri, deve avergli dato l’ultima seccatura, svegliandolo nel cuore della notte. L’uno, il rais, un tempo alleato poi promosso a tiranno, scalciava nella botola del nuovo Iraq. L’altro, il tiranno di oggi e amico di un tempo, sbadigliava, costretto ad una alzataccia. Le ultime parole del rais assunto a vittima devono averlo rassicurato: non parlavano della famiglia reale statunitense, la dinastia Bush. Parlavano dell’Iraq. Non citavano il Brent o l’indice Dow Jones, stringevano il Corano. Pronto, il tiranno di oggi e l’amico di un tempo, sonnolento quanto gaudente, ha definito l’uscita di scena del nemico di oggi “un atto di giustizia”. Di più, “una pietra miliare nella costruzione della democrazia”. Ma Saddam l’ha battuto sul tempo ancora una volta: ha incitato gli iracheni all’unità contro gli invasori, prima ancora che il dormiente texano potesse proclamare la sua vittoria in Iraq. Il rais è morto da presidente, il texano ha parlato da proconsole.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Tutto è alle spalle. Quel 25 dicembre 1991 è solo la rapida sequenza di una ripresa notturna con un fascio di luce che illumina una bandiera rossa che scende e una vecchia bandiera di stampo zarista - bianca, blu e rossa - che sale sul pennone del Cremlino. Poco prima un Gorbaciov con gli occhi puntati sui telespettatori annuncia, con voce ferma: “Pongo fine alle mie funzioni di presidente dell’Urss”. E l’Unione Sovietica, che era già ridotta male, chiude la sua storia. Scompare. Si dissolve. Si autodistrugge con Eltsin e Jakovlev che si accingono a riscrivere la storia. Tutto avviene con brindisi e lacrime, tra rievocazioni tragiche e ricordi di lotte e sconfitte, di successi e vittorie, di repressioni ed umiliazioni. Comincia un nuovo anno, ma è l’anno zero.Ognuno si pone dinanzi alla storia e comincia a riflettere sulle tante vicende che hanno segnato la vita del Paese sin dall’Ottobre del 1917. E le domande investono la vita dell’intera società e dei tanti popoli che erano inclusi nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

di Sara Nicoli

Saddam Hussein è stato impiccato all'alba, quando a Baghdad erano le 6 del mattino (le 4 in Italia), all’interno di uno dei centri utilizzati dal deposto regime per torturare i dissidenti. È stata la televisione di stato “Al Iraqiya” la prima a dare la notizia e, poco dopo, ha trasmesso le macabre immagini dell’impiccagione “perché il popolo - ha detto uno speaker in diretta - non abbia più dubbi sulla fine del tiranno”. “E' stato rapido, è morto subito”, aveva già raccontato uno dei funzionari iracheni presenti all’esecuzione. Saddam aveva il volto scoperto e appariva calmo. Il consigliere per la sicurezza nazionale Moaffaq al-Rouba ha tenuto a precisare che il condannato aveva le mani legate ed era vestito con i soliti abiti di sempre, pantaloni e giacca nera, camicia bianca. “Saddam è montato con calma sulla forca, appariva deciso e coraggioso” ha ancora detto al Roubai, aggiungendo: “Ad un certo punto Saddam ha girato la testa verso di me come per dirmi “non ho paura”. E' stata una sensazione strana”. Le ultime parole di Saddam Hussein sul patibolo sono state un monito agli iracheni. “Spero che siate uniti e vi esorto a non credere a un’alleanza con l’Iran, perchè gli iraniani sono pericolosi. Io non ho paura di nessuno”. Il riferimento all’Iran è stata lultima bordata dell’ex rais alla coalizione a maggioranza sciita guidata dal premier Nuri al-Maliki, che molti sunniti accusano di essere strumento dell’Iran. Parole che sono state ascoltate da sette testimoni presenti all’esecuzione tra i quali, tuttavia, non c’era nessun funzionario Usa.

di Luca Mazzucato

Il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese Abbas si sono incontrati a cena sabato scorso, ponendo fine a quasi due anni di boicottaggio da parte israeliana dell'Autorità Palestinese. La svolta si inserisce all'interno del drammatico scontro militare tra Hamas e Fatah nei Territori Occupati. Con questo incontro Israele prende parte attiva negli scontri, appoggiando apertamente il partito di Abbas, anche se secondo fonti palestinesi, l'incontro è servito principalmente a Olmert: in crisi di consenso e di leadership dopo la guerra in Libano, il premier cerca di riciclarsi frettolosamente da falco in colomba. Quel che è certo è che questo incontro dimostra il fallimento della strategia israeliana di isolamento dell'ANP, attuato da un anno a questa parte.I passi che hanno portato a quest'ultima svolta segnano un percorso di sangue lungo un anno e mezzo. Nel 2005, l'allora premier Ariel Sharon decise di ammettere Hamas alle elezioni legislative palestinesi, confortato da uno studio dell'amministrazione americana che dava Fatah vincente.

di Sara Gauna e Marco Pignochino

Un miliardo e mezzo di dollari per compensare i danni ambientali causati. E' a quanto una sentenza della Nigerian Federal High Court del febbraio scorso condanna la Shell Nigeria a versare al popolo Ijaw. La sentenza, ultima di una lunga serie, non fa altro che confermare quanto già stabilito in altre sedi giudiziarie ma, come le precedenti, rimasta del tutto disattesa. Allo stesso tempo però è servita da vessillo al MEND, il Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger (i cui membri sono appunto di etnia Ijaw) che dal gennaio 2006 ha iniziato a operare nell'area incriminata, portando a un rapido incremento della violenza.L'ultimo caso che ha catturato l'attenzione dei media italiani è stato l'ennesimo rapimento di quattro tecnici dell'Agip (tre italiani e un libanese) il sette dicembre scorso, ma da allora non si sono fermati gli atti di sabotaggio e gli attacchi alle piattaforme, senza contare i numerosi scontri a fuoco dei guerriglieri contro l'esercito nigeriano, la polizia e le varie milizie armate di vigilantes assoldati dalle compagnie petrolifere.


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