di Carlo Benedetti

Putin questa volta parte all’attacco. Senza ambiguità e sottintesi. Annuncia che i “diritti” del nemico sono sospesi. E dice a Bush: “Non potete continuare a voler dominare il mondo imponendo sempre la vostra visione politica”. Questa sua affermazione segna un momento di svolta, perché evidenzia che è in atto una profonda trasformazione degli equilibri internazionali. Le parole del presidente russo cadono come pietre sulla platea della conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera, in quella Germania che vide il giovane Putin in veste di super agente dei servizi di sicurezza dell’Urss. Ora è lui che sfodera le nuove armi del Cremlino. Che non sono quelle della contrapposizione ideologica, ma quelle dell’orgoglio nazionale. E così mette nel conto le contraddizioni vecchie e nuove accusando l’amministrazione Bush. "Il diritto internazionale - dice - viene da voi rispettato sempre meno, mentre troppo spesso vengono violati i sistemi legali o addirittura le costituzioni di interi paesi. Gli Stati Uniti – insiste – valicano i confini politici quasi ovunque”. E l’accusa va ancora più a fondo con una domanda che è al tempo stesso una risposta in favore di Mosca: “Chi sarebbe disposto ad accettare tutto questo?"

di Daniele John Angrisani

Solo pochi giorni fa, la Procura di Roma ha deciso di procedere con il rinvio a giudizio del militare americano, Mario Lozano, reo di aver sparato il colpo che ha ucciso Nicola Calipari sulla strada per l'aereoporto di Baghdad, mentre riportava a casa la giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena, da poco liberata. Come c'era da aspettarsi il Pentagono, per bocca di un suo portavoce, ha rifiutato sdegnosamente qualsiasi ipotesi di estradizione del militare, in quanto afferma che per quanto riguarda loro "l'indagine è chiusa". C’è da dire che, nonostante questo atteggiamento di chiusura totale nei confronti delle autorità italiane, ben altro è stato l'atteggiamento del nostro governo nei confronti degli americani per quanto riguarda la vicenda del Dal Molin. Eppure c'è chi, nell'opposizione, riesce ad affermare che questo governo è "antiamericano" e rovina "l'immagine del nostro Paese a livello internazionale". Bene ha fatto, a questo proposito, il ministro degli Esteri Massimo D'Alema a rispondere, su Repubblica, affermando che a volte capita di essere definiti antiamericani anche se si è d'accordo, su molte cose, con il 60% degli americani, che, come dimostrano tutti i sondaggi di opinione resi noti negli ultimi mesi, sono sempre più contrari a questa guerra.

di Bianca Cerri

Qualcuno ha definito Barack Obama “un miraggio” e forse lo è, visto che in poco più di un anno è riuscito a passare da perfetto sconosciuto a candidato ufficiale alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Non si sa se ha già saggiato gli umori della gente, visto che la sua dote maggiore è proprio quella di adeguarsi alla tendenza del momento senza dire mai nulla di veramente concreto. Ai media, l’allure popolare di Obama non dispiace, perchè ha il pregio di essere commerciabile come qualsiasi altro prodotto e tanto basta. L’unica cosa incomprensibile è perché vengano associati al suo nome concetti altisonanti come l’uguaglianza razziale. Il personaggio è labile come una banderuola esposta alla tramontana e la sua mente non riesce ad andare oltre l’effimero. Nonostante riesca a far credere di essere pronto a risolvere anche i mali più antichi della società, basta grattare sotto la superficie per scoprire il vuoto. Non che i suoi probabili avversari siano migliori, visto che si vantano di privilegiare la verità senza mai lasciar trapelare dove stiano andando a parare.

di Giuseppe Zaccagni

Sono stati funerali degni di un faraone per il padre della patria turkmena Sapurmurat Nijazov… Salve di cannone e lutto nazionale ad oltranza per quei 5 milioni di abitanti (oltre l’87% è musulmano, mentre i cristiani sono poco più del 2%)… Pianti di popolo per un leader incontrastato che ha dominato per ventuno anni la repubblica ex sovietica del Turkmenistan. E anche ora pellegrinaggi continui sulla sua tomba-mausoleo, mentre avanza sempre più una lotta sotterranea per la successione in vista delle presidenziali fissate per l’11 febbraio. I candidati sono diversi. Ma nell'attesa del voto è già cominciata la demolizione del personaggio che sino a ieri era considerato padre-padrone della patria e di tutti i turkemi: Turkmenbash, appunto, che voleva dire padre di tutti i turkmeni.

di Elena Ferrara

L’Italia di Prodi va all’attacco del continente “Cindia”: ora sbarca in India dopo l’ultima tappa cinese del settembre scorso che lo aveva portato all’incontro con il presidente Hu Jintao. Al quale aveva detto: “La vostra economia corre veloce e sarebbero per noi guai seri perdere ancora un altro treno. E comunque arriviamo tardi e dobbiamo correre. Può esserci stato ritardo ma prima di tutto, quando c'è uno sviluppo così multiplo, i treni sono tanti e guai a ritardare ancora”. E così, concluso positivamente quel blitz oltre la grande muraglia, l’attenzione si sposta sull’altra grande metà asiatica dove - dall’11 a 14 febbraio – va in scena il grande spot italiano in una regione che è ormai considerata come la “Silicon Valley” dell’avvenire. Con Prodi ci sono gli uomini della Confindustria (oltre 400 imprenditori) che aspirano al dominio del grande mercato indiano. Hanno come obiettivo quello di raggiungere nel 2010 un flusso di commercio bilaterale di 10 miliardi, contro gli attuali 4,4 e un livello di investimenti pari a circa 200 milioni all'anno contro i 50 milioni di oggi.


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