di Carlo Benedetti

Torna sulla scena la minaccia di quello “scudo spaziale” che servì a Reagan per piegare l’Urss. La Nato è arrivata alla frontiera con la Russia. Le installazioni radar americane in Polonia e Repubblica Ceka, duramente contestate da Mosca, puntano infatti direttamente sul Cremino. Puntuale quindi arriva, nervosa, la risposta russa. Sembra appunto di rivedere il film dello scudo spaziale degli anni ’80, quando Washington decise di affondare sul piano tecnologico e militare l’attacco ad una Unione Sovietica già piegata dalla sua crisi economica. Allora il Cremlino reagì nervosamente dando il via ad una corsa al riarmo per inseguire il nemico americano che evidenziava la sua ampiezza planetaria. Per Mosca tutto finì male perché la “potenza” sovietica non era in grado di reggere la concorrenza militare statunitense. Ma ora si cambia registro perché, sulla base delle nuove tecnologie, i russi si prendono una vera e propria rivincita aprendo una nuova pagina di guerre stellari. Tutto avviene anche in riferimento al fatto che, al tempo della Guerra Fredda, la stabilità nell'arena internazionale era assicurata dalla mutua dissuasione delle due superpotenze, che dirigevano i due campi ideologici avversi. In altri termini, riposava su un confronto dai limiti nettamente segnati. Ma ora – questa la tesi che domina nella strategia militare della nuova Russia - solo attraverso gli sforzi comuni e mirati di tutti i grandi centri del mondo multipolare in formazione, si possono scongiurare le nuove minacce. Si tratta di una lettura che può apparire condivisibile, ma che è pur sempre lontana dall’essere facilmente realizzabile.

di Giuseppe Zaccagni

Parte da Cebu - isola dell’arcipelago filippino famosa per le antiche vestigia della dominazione spagnola - la nuova tappa del disgelo tra cinesi e giapponesi. E’ qui, infatti, che si è registrato il nuovo ed importante contatto tra i due paesi i quali, impegnati nel 2° summit dell’Asia orientale (Asean), hanno trovato il modo di uscire dall’impasse che ha sempre bloccato le loro relazioni. Ed ecco che il premier giapponese Abe Shinzo lancia un ramoscello d’ulivo alla parte cinese: auspica una maggiore collaborazione commerciale e finanziaria, propone di superare lo “stallo” dei rapporti causato dalle emozioni politiche e congiunturali e - sostenendo che le differenze sono di forma più che di sostanza - annuncia che Tokio riconosce la necessità di avere migliori relazioni con la Cina. Ed è subito distensione perché, in pratica, si dilegua il terreno di sfida. Perché il premier cinese Wen Jiabao – anche lui a Cebu – si accoda alla posizione giapponese. Tratta in maniera nuova il problema. Incontra subito il premier di Tokio e definisce il colloquio “cordiale e positivo” proponendo un nuovo vertice “storico” che questa volta dovrà svolgersi proprio a Pechino. Ed Abe è così invitato nella “città proibita”. E Wen Jiabao sarà poi ospite in Giappone.

di Elena Ferrara

Saremo in due miliardi, entro il 2025, a non trovare più l’acqua. Rubinetti all’asciutto. Fiumi in secca. Bacini prosciugati. Falde esaurite. E' questa la terribile previsione della Fao. Ed è un annuncio che anticipa l’Apocalisse. "Per oltre i due terzi della popolazione mondiale – dichiarano gli esperti dell’Onu - c'è il rischio di dover affrontare una condizione di assoluta mancanza d’acqua nei prossimi anni". E già oggi oltre un miliardo di persone non hanno un accesso adeguato a fonti d'acqua pulita e sono in 2,6 miliardi a non disporre di servizi igienici adeguati. E’ una fine annunciata. L’agricoltura è la principale imputata dal momento che è il primo fattore di consumo dell'acqua a livello mondiale, incidendo per circa il 70% su tutta l'acqua prelevata da falde acquifere, laghi e corsi d'acqua. Si tratta di una percentuale che sale quasi al 90% in diversi Paesi in via di sviluppo, dove si trovano circa tre quarti delle terre irrigue del mondo. Situazioni di crisi, comunque, esistono già in quasi tutti i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, insieme a Paesi come il Messico, il Pakistan, il Sudafrica e buona parte della Cina e dell'India.

di Giuseppe Zaccagni

Era il “numero due” dell’Iraq. Era il vice presidente del Paese e il più stretto collaboratore di Saddam. Per gli americani era il “dieci di quadri” nel mazzo di carte dei maggiori responsabili del regime iracheno. Ora anche per lui è finita. Taha Yassin Ramadan – un militare servile e con mentalità poliziesca - è stato impiccato a Baghdad oggi all’alba . Aveva 69 anni. Contro di lui – come per tutti i dirigenti del periodo di Saddam – si era scatenata, al culmine di una lunga sequenza di eventi, la macchina della repressione americana. Accusato di complicità nell'invasione del Kuwait (agosto 1990) e di avere partecipato alla repressione di curdi e di sciiti del 1991, con azioni violente e crudeli, era stato catturato a Mosul, sua città natale, da un gruppo di combattenti curdi dell’Upk e consegnato (il 19 agosto 2003) alle forze americane d’occupazione. Taha Yassin Ramadan era il penultimo alto dirigente del paese ancora in vita (l'ultimo è il primo ex vicepresidente Ezzat Ibrahim al Duri, latitante). Una carriera, la sua, tutta segnata da anni tumultuosi e senza alcun rispetto per le diverse realtà politiche, culturali e religiose. In pratica un uomo dall’aspetto freddo sempre disposto a risolvere le imbarazzanti situazioni diplomatiche con la pratica della repressione, senza appello. E così il dossier della sua vita lo aveva caratterizzato subito come un fedele servitore di Saddam.

di Carlo Benedetti

E’ guerra? La Russia lancia l’allarme: gli americani si preparano ad attaccare l’Iran alle 4 del mattino del 6 aprile. Bombarderanno per dodici ore, sino alle 16. L’operazione, in codice, si chiamerà “Bite”, che vuol dire “Morso”. E cioè un “mordi e fuggi” durante il quale la potenza bellica statunitense dovrebbe scaricare sull’Iran le sue bombe e i suoi missili colpendo 20 obiettivi e precisamente quei centri dove si trovano le attrezzature per l’arricchimento dell’uranio e gli istituti di ricerche scientifiche e militari. All’operazione prenderebbero parte squadriglie di B-52 di stanza nella base di Diego Garcia (44 chilometri quadrati, nell’atollo delle Chagos nell’Oceano indiano). A questi aerei – dotati di missili – sarebbe affidato il primo colpo. Seguirebbero poi altre ondate con aerei provenienti da altre basi americane presenti nell’area. In particolare – oltre a quelle del Golfo Persico – anche quelle dell’Afghanistan. Mobilitate, sin da queste ore, anche le navi americane e i sottomarini. E in stato d’allerta si troveranno le truppe statunitensi che in questo momento occupano l’Iraq. A cadere sotto i colpi degli Usa sarebbero quindi quelle strutture iraniane già note agli ispettori dell’Onu. Sarebbe risparmiata, per ovvii motivi di relazioni internazionali, la centrale di Buscher che l’Iran sta realizzando in collaborazione con la Russia.


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