di Fabrizio Casari

Facciamo il tifo per Daniele Mastrogiacomo, perché sia liberato presto, prestissimo, senza nemmeno un capello fuori posto. Perché di giornalisti vittime della follia guerriera non ne possiamo più. Persone che cercano di fare il loro lavoro costretti a raccontare di un paese devastato tra un esercito straniero e una banda di pazzi ed assassini. Con in mezzo un popolo annientato, principale vittima di un conflitto che schiera interessi poco confessabili e soldati poco adatti. Già, i soldati. Trentacinquemila. Soldati bene armati. Ipertecnologizzati. Con le mostrine della Nato e le stimmate della “war of terror”. Sono i coalizzati dell’Occidente contro i Talebani afgani. Ventotto anni dopo i sovietici, le “forze del bene” scoprono quanto siano imprendibili quelle montagne. E ventotto anni dopo una invasione che non poteva vincere, scoprono quanto sia duro ripercorrerne le orme.

di Carlo Benedetti

L’ultimo caso eccellente è di queste ore. C’è un giornalista del quotidiano Kommersant che è trovato morto davanti al portone di casa. La versione ufficiale è quella del suicidio: si è buttato dal quinto piano. L’uomo si chiamava Ivan Sofronov, un nome noto proprio perché scriveva quotidianamente editoriali infuocati caratterizzati da un radicale scetticismo. Nessuno crede alla versione della polizia. E Andrei Vasiliev, direttore del giornale, dichiara subito: "Conoscendolo bene posso dire che non era certo il tipo da uccidersi". Sulla vicenda grava anche un altro mistero: Sofronov abitava al terzo piano, ma si è lanciato dal quinto… Lo hanno portato lassù per gettarlo dopo averlo fatto fuori? La polizia non fornisce i risultati dell’inchiesta e si limita a poche e incoerenti spiegazioni. E di certo c’è solo il dossier del personaggio che parla ampiamente.

di Giuseppe Zaccagni

Si chiama Ramzan Kadyrov e ha trenta anni. La giornalista Anna Politkovskaja – assassinata a Mosca nell’ottobre scorso - aveva fornito di lui questo “ritratto”: “E’ un giovane ceceno rozzo e ignorante, un ipocrita insuperabile”. A Grozny – dove suo padre era presidente della Cecenia filorussa - è capo dei famigerati squadroni della morte (i Pps e cioè: Servizi di Sicurezza Presidenziali) meglio noti come “kadyrovtsy”. Si diverte a seminare il terrore forte dell’appoggio delle truppe del Cremino, certo di essere considerato come un pupillo di Putin. Nel corso delle sue scorribande a Mosca si diverte nei night dei nuovi russi circondato da uno stuolo di odalische. Ma in patria si mostra come il campione della morale islamica, imponendo alle donne l’obbligo d’indossare il velo in pubblico e il divieto di vendere alcolici e giocare d’azzardo. Orgoglioso del ruolo di primo piano - dovuto sempre alla posizione lasciatagli dal padre-presidente – si è anche lanciato nel business del calcio divenendo il proprietario dell’undici di Grozny, il Terek. Ha organizzato anche una grande palestra per pugili che serve come base di allenamento per i suoi pretoriani ed è a disposizione del suo amico, Mike Tyson. Sempre in Cecenia organizza combattimenti tra animali: cani pitbull, cuccioli di leone e di tigre, lupi e orsi bruni. Altro suo passatempo le automobili: la sua preferita è l’Hummer. Ne possiede diverse - H1, H2 e H2 Sut - tutte dello stesso colore: nero.

di Elena Ferrara

Le notizie ufficiali che giungono dalla capitale Conakry puntano ad accreditare la tesi di una “calma carica di tensione”. Ma la realtà è che dietro a questa apparente facciata di silenzio-stampa c’è - forte più che mai - l’incubo di nuovi scontri armati con la permanenza dello stato d’assedio, della legge marziale e di un elevato numero di vittime. La Guinea, quindi, è un paese ancora a rischio, minacciato da una guerra civile già nell’aria. Ed è di almeno undici morti il bilancio degli scontri che nei giorni scorsi hanno opposto a Conakry la polizia ai manifestanti, tornati in piazza dopo le violente proteste del gennaio scorso. Il secondo sciopero generale in due mesi è stato indetto dai sindacati in risposta a quella che considerano l'ennesima provocazione del presidente Lansana Conte', e cioè la nomina del nuovo primo ministro, Eugene Camara, stretto collaboratore del contestato capo dello Stato. La scelta è stata criticata anche dall'opposizione che ha invitato i cittadini a scendere in piazza. E gli scontri del week end hanno provocato almeno 23 morti e una cinquantina di feriti.

di Carlo Benedetti

Siamo già in guerra? Di certo c’è che la Nato ha chiesto alla Turchia di aprire sia il proprio spazio aereo che i confini di terra con l'Iran. E tutto sta a dimostrare che è iniziato il conto alla rovescia per l’attacco alla Repubblica islamica di Ahmadinejad. Teheran è in stato d’allerta e molti paesi stanno già lanciando l’allarme per quanto potrebbe accadere. Si muove, in primo luogo, la Russia. Con il Cremlino che teme che il governo di Ankara ceda alle pressioni americane. Perché in caso di assenso turco il Pentagono avrebbe la strada spianata per intraprendere un'azione militare nei confronti dell'Iran al fine di liquidarne gli obiettivi strategici, primi fra tutti quelli nucleari. Siamo sull’orlo del burrone – dice la Radio di Mosca – ricordando che a partire da questi momenti sarà sufficiente un ordine della Casa Bianca per consentire, nel giro di 24 ore, bombardamenti generali sull’Iran con l’utilizzo di portaerei, sommergibili e basi statunitensi dislocate nel Golfo Persico.


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