di Elena Ferrara

Si è forse ad una svolta tra protestanti e cattolici che, nell’Irlanda del Nord, hanno raggiunto un accordo per dare il via ad un governo unitario, biconfessionale, che dovrebbe entrare in funzione l’8 maggio prossimo. La decisione assume un valore di vera portata storica poiché il cattolico Gerry Adams, leader del Sinn Fein (“Solo noi” in gaelico), e il reverendo protestante Ian Paisley, leader del partito unionista oltranzista Dup (Democratic Unionist Party), hanno trovato un’intesa decidendo di avviare un vero processo di pace che avrà come obiettivo conclusivo quello della formazione di una struttura di coalizione. Con Paisley che dovrebbe divenire primo ministro e il numero due del Sinn Fein - Martin McGuinness - suo futuro vice. Situazione di svolta, quindi, che mette fine ad un lungo stallo nel processo di consolidamento di quello storico Accordo di pace (conosciuto come quello del “Venerdì Sannto”) che fu sottoscritto il 10 aprile 1998 dai Governi di Londra e di Dublino e dalle principali forze politiche nordirlandesi.

di Bianca Cerri

Bisogna dirlo: quando si tratta di garantire diritti alle donne, politici e legislatori del Texas non hanno rivali. Dopo le targhe automobilistiche anti-aborto e la proposta di curare l’omosessualità nei bambini operandoli nel ventre materno prima della nascita è in arrivo la legge SB 1567, che prevede un bonus di 500 dollari per le donne intenzionate ad abortire che porteranno a termine la gravidanza per poi cedere il bambino allo Stato. L’offerta è valida solo per le cittadine americane residenti in Texas, le orde di messicane incinte che attraverseranno il confine attratte dal miraggio dei 500 dollari sono avvertite. Negli Stati Uniti esiste una Carta dei Diritti dei Minori che garantisce ai nuovi nati cure mediche, istruzione e parità di diritti a qualunque razza appartengano. Nonostante ciò, le donne che intendono abortite perché impossibilitate ad offrire un’esistenza dignitosa ad un bambino vengono ostacolate con metodi sempre più coercitivi.

di Elena Ferrara

Ancora una volta il tradizionale doppio gioco della diplomazia di Tel Aviv. Perché di fronte alle posizioni assunte a Riad dai capi di Stato e di Governo dei Paesi della Lega Araba - riuniti per il loro 19° vertice – c’è un “no comment” israeliano che non favorisce, al momento, un ulteriore processo globale di normalizzazione e di cooperazione. Tutto il contenzioso, quindi, rischia di rimanere ancora una volta bloccato sulle posizioni del 2002 relative a quelle iniziative di pace proposte a Beirut. Ora, comunque, nella riunione dei giorni scorsi i leader arabi (boicottati dal libico Muammar Gheddafi) hanno ribadito l'appello a Israele e a tutti gli israeliani a cogliere l'opportunità per far ripartire un processo negoziale “serio e diretto” in tutti i settori. In pratica ad Israele è offerto il pieno riconoscimento in cambio del ritiro dai Territori occupati – entro i confini del 4 giugno 1967 relativi a Cisgiordania, Golan e Gerusalemme Est - della nascita di uno Stato palestinese e del diritto al ritorno (o a un «equo risarcimento») per i profughi palestinesi del 1948.

di Daniele John Angrisani

Mentre in Italia il governo Prodi riusciva, seppure per una manciata di voti, a salvarsi sul decreto per il rifinanziamento delle truppe in Afghanistan, anche oltreoceano è andato in onda lo psicodramma della politica estera in Parlamento. Ad una settimana dall'approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti della legge che prevede di vincolare l'erogazione dei fondi supplementari, necessari per finanziare l'aumento delle truppe in Iraq proposto dal presidente Bush all'approvazione di un calendario per il loro ritiro definitivo entro settembre 2008, anche il Senato americano ha deciso di sfidare apertamente il presidente sul terreno minato della questione irachena. Con un voto di 50-48 il Senato a maggioranza democratica ha infatti deciso di approvazione una sua mozione che richiede il ritiro delle truppe entro il marzo 2008, come condizione per l'approvazione dei fondi aggiuntivi richiesti. Tale mozione, però, ha più valenza politica che pratica, in quanto non è vincolante ed in ogni caso non pregiudica l'approvazione finale di questi fondi da parte del Senato. Diverso è il discorso per la mozione approvata dalla Camera che è invece vincolante e rappresenta un serio tentativo di pressione nei confronti dell'Amministrazione repubblicana.

di Elena Ferrara

L’appuntamento per i palestinesi e per quanti si battono per la causa della Palestina è fissato per il 30 marzo. Sarà questa l’occasione per rievocare quei tragici avvenimenti del 1976 quando gli arabi-palestinesi rimasti in Palestina dopo l’occupazione israeliana del 1948 - e la conseguente espulsione della maggior parte del popolo - scesero in piazza per difendere il diritto alla loro terra. Ventotto anni di occupazione erano stati, infatti, segnati da leggi repressive, coprifuoco, divieto di spostamento, terrorismo, immiserimento, confisca delle terre, distruzione dei villaggi, divieto di espressione e di organizzazione. Tentativi tutti di cancellare ogni identità fisica, storica, culturale dalla terra palestinese. La storia ricorda che gli arabi-palestinesi affrontarono, quel giorno, a mani nude, i carri armati. Risultato: sette caduti, tra cui una donna, decine e decine di feriti, centinaia di arresti. Si apriva, così, una pagina nuova nella lotta palestinese che vedeva una coesione popolare sempre più stretta. Ed è appunto da quel marzo 1976 che la lotta palestinese è lotta per il mantenimento della terra. Giornata del ricordo, quindi, che verrà celebrata in tutto il mondo. I palestinesi ricorderanno le tragiche tappe della loro esistenza.


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