di Luca Mazzucato

Olmert-Netanyahu-Peretz Di fronte alla prova della crisi libanese, il governo israeliano Olmert-Peretz ha mostrato miseramente la sua pesante incompetenza, accompagnata da un atteggiamento arrogante e machista, che ne ha fatto un bersaglio ormai quotidiano degli attacchi della stampa. Nell'ultima settimana, Olmert ha reso note le nuove priorità del governo, facendo carta straccia del proprio programma elettorale e mostrando la sua vera faccia reazionaria. La credibilità di Ehud Olmert è ormai naufragata, trascinando con sé l'intero establishment politico-militare. In un recente sondaggio dell'Università Ben Gurion, la stragrande maggioranza degli israeliani ha dichiarato che, per sapere la verità sull'andamento della guerra, attendeva con impazienza i messaggi televisivi di Hassan Nasrallah, leader degli Hezbollah, mentre non dava alcun credito alle notizie diffuse dall'IDF o dal proprio governo.
Difficile non essere d'accordo, visto che i bollettini ufficiali del governo israeliano, per tutta la durata del conflitto, non facevano altro che ripetere ogni giorno la vittoria schiacciante sul Partito di Dio, persino quando, durante le ultime ore prima del cessate-il-fuoco, i miliziani sciiti lanciavano su Israele oltre duecento razzi Katiuscha. Mentre la guerra in Libano ha consacrato Nasrallah eroe del mondo arabo, in Israele è giunto il momento della riflessione e si comincia a parlare apertamente della sconfitta e delle responsabilità.

di Alessandro Iacuelli

La nave Probo Koala Il 19 agosto scorso, la nave Brobo Koala, battente bandiera panamense, è approdata nel porto di Abidjan, capitale della Costa d'Avorio, e da quel momento la città non ha più avuto pace.
Per circa 30 ore, 19 camion hanno fatto una continua spola tra la nave e le discariche del centro urbano, versando una quantità imprecisata, ma secondo alcune stime compresa tra le 400 e le mille tonnellate di liquami, su un'area di circa dieci chilometri quadrati caratterizzati da una alta densità di popolazione. I rifiuti liquidi sono stati scaricati nelle discariche, ma spesso per far prima anche nei fossi, ai bordi delle strade.
Alcuni giorni dopo, si sono presentate presso gli ospedali cittadini prima centinaia, poi migliaia di persone. Ai primi di settembre si sono registrati tre decessi, tra i quali due bambine.
E' scattato l'allarme, per un'emergenza che il debole sistema sanitario della Costa d'Avorio non è in grado di reggere: al momento dei primi tre decessi, le persone ricoverate ed intossicate erano già 3000.

di mazzetta

Cinque anni fa un gruppo composto in gran parte da sauditi e pakistani ha colpito gli Stati Uniti d'America, portando termine con successo il primo attacco al territorio metropolitano americano della storia. Qualcosa di più di un semplice attentato. Sia per la carneficina che ha provocato che, soprattutto, per l'enorme esposizione televisiva che ha conseguito, finendo in diretta televisiva planetaria mentre ancora era in corso. Questa circostanza ne ha aumentato in misura spaventosa l'impatto sull'opinione pubblica americana e mondiale, impatto che è andato ben al di là di quello provocato dai danni materiali ed umani, pur ingentissimi. Quell'attacco ha colpito in pieno un paese guidato da una dirigenza priva di qualità; una dirigenza che, negli anni a seguire, ha saputo dissipare il patrimonio di solidarietà internazionale seguito al 9/11 finendo per rivelarsi, se possibile, anche più perniciosa e criminale degli stessi "terroristi" che la attaccarono.

di Bianca Cerri

Dicono che l'11 settembre abbia cambiato la classe politica americana, ma non è esattamente così. Semmai, è stata la classe politica americana ad usare l'11 settembre per imporre condizioni soffocanti ad altri paesi. Bush riuscì a convincere l'opinione pubblica della necessità di una "guerra giusta" che avrebbe "maturato i frutti della democrazia" prima ancora che fossero spalate via le macerie di Ground Zero. Iniziò così a delinearsi per tutto l'Occidente uno scenario orwelliano, dove la gente si abituò a vivere sospesa tra continui allarmi sul terrorismo, retorica politica grondante odio, richiami alla vendetta, complotti vari e privazioni delle libertà personali. Ma in questi cinque anni non abbiamo saputo nulla su quello che realmente avvenne l'11 settembre del 2001, né ci hanno mai convinto le spiegazioni ufficiali. A quanto risulta, il crollo del WCT non è servito che a lasciare mano libera ai governi occidentali per aggredire altri popoli sacrificandone il presente e pregiudicandone il futuro con il pretesto della lotta al terrorismo. Dal nostro 11 settembre esistenziale abbiamo visto il paese più potente del mondo abbandonarsi alla voluttà della tortura con il beneplacito di accademici, rappresentanti della legge e giornalisti, e ora siamo stanchi. E' vero che quanto accadde a New York fu una tragedia immane, soprattutto per un Occidente intento a crogiolarsi nell'autocompiacimento. Ma è anche vero che gli Stati Uniti continuano a servirsene per rimodellare il mondo con le armi.

di Carlo Benedetti

Nebojsa Medojevic Abbandonata l'unione con la Serbia, messa in archivio l'intera federazione jugoslava e fissate le basi per una vita istituzionale autonoma (con un referendum svoltosi nel maggio scorso) il Montenegro si avvia ora alla sua prima consultazione elettorale per formare - con 81 seggi - il Parlamento del dopo secessione. L'appuntamento, per circa 500mila elettori, è per il 10 settembre. E già si annuncia una dura sfida tra le forze che si sono battute per l'indipendenza e quelle che hanno sempre rivendicato la validità della vecchia scelta federale. In termini pratici questo vuol dire che nelle schede figureranno 12 partiti e coalizioni con circa 700 candidati. Secondo i commentatori montenegrini il partito favorito dovrebbe essere quello socialdemocratico, che rappresenta l'ala moderata della società locale. Si tratta di una formazione alla cui testa si trova ancora quel Milo Djukanovic che sta guidando la transizione dal periodo jugoslavo a quello attuale. E' lui - "padre" dell'indipendenza - che punta ora a sfruttare la vittoria al referendum per ottenere la maggioranza in Parlamento.


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