di mazzetta

Parlando di guerre che non interessano a nessuno nel nostro paese, sembra avviarsi verso una relativa stabilizzazione la situazione in Ciad.
All'inizio della primavera il presidente Idriss Deby era stato sfiduciato da esponenti della sua stessa etnia (dominante nel paese) e quasi la metà dell'esercito aveva disertato, in aperta polemica con l'organizzazione delle imminenti elezioni, organizzate chiaramente per permettere la riconferma del vecchio dittatore. I ribelli sembravano destinati ad avere la meglio e, dopo essersi organizzati per alcuni mesi nella parte orientale del paese, sconfinando anche nella regione del Darfur, nel vicino Sudan, avevano dato l'assalto alla capitale. Deby aveva denunciato di essere vittima di un complotto sudanese e interrotto le relazioni diplomatiche con il vicino, allineandosi alla politica della destra americana, ma sul piano militare era molto debole. Ad aiutarlo hanno provveduto militari francesi su precise indicazioni di Parigi, che hanno fermato le colonne dei ribelli che convergevano sulla capitale. Per Parigi, Deby è un capo di stato "democraticamente eletto"; poco importa che in Ciad nessuna delle prove elettorali sotto Deby sia mai stata considerata meno di una farsa dalle organizzazioni internazionali.

di Carlo Benedetti

Ravil Gajnutdin MOSCA. E' considerato una "mina vagante" nel complesso e variegato mondo dell'Islam della Russia. Battitore libero, autorevole e rispettato. Si caratterizza per uno stile severo. Asciutto e scevro da incursioni nel passato. Guarda al futuro e le sue prediche sono sempre in bilico tra la ricostruzione oggettiva dei fatti e l'analisi dei moventi più profondi dell'intera storia del Paese. Putin lo guarda con diffidenza, ma cerca di non contrastarlo. Anche quando le posizioni che esprime ad alta voce sono in netta opposizione alla gestione politico-diplomatica del Cremlino. E l'ultima e più eclatante manifestazione di totale indipendenza si è registrata alla vigilia dell'inizio della guerra americana contro l'Iraq. Allora, senza tanti giri di parole, fece appello alla "guerra santa" contro gli americani, mettendo in imbarazzo le autorità di Mosca che non avevano ancora dimenticato la santificazione religiosa del conflitto ceceno in chiave, ovviamente, anti-islamica.

di Bianca Cerri

Appoggiate sul ripiano dei mobili ci sono ancora le foto che ritraggono Linda Milford e il marito Fred in varie fasi del loro felice matrimonio. Durato fino a quel dannato giorno che lui tornò a casa sorretto da uno degli addetti alla discarica industriale di cui era super-visore. Al General Hospital di Akron scoprirono che Milford aveva un tumore con evidenti segni di metastasi che in pochi mesi l'avrebbe trasformato da uomo forte e vigoroso a essere emaciato e senza forze. Un destino identico a quello che attendeva altri 15 operai della stessa discarica. Ma la storia dei lavoratori dell'Impianto 36, poi ribattezzato ironicamente 666, era iniziata molti anni prima, quando l'area era occupata da uno stabilimento della Goodyear che seppelliva nel terreno i residuati chimici. Nel 1978 la multinazionale decise di trasferirsi altrove e le autorità locali acquistarono lo spazio rimasto libero al prezzo simbolico di un dollaro per trasformarlo in discarica industriale.

di Fabrizio Casari

Un accordo, proprio in quanto tale, é sempre un compromesso tra le parti. Compromesso onorevole, ma pur sempre un compromesso. Che tiene conto delle ragioni e delle esigenze di tutti i firmatari, ma che solo nella breve e media prospettiva si rivela nella sua lungimiranza politica. Sotto questo aspetto succede, a volte, che chi incassa di più non è attore diretto, ma indiretto, del conflitto per la cessazione del quale il compromesso è stato raggiunto. Ma ogni accordo è, in primo luogo, la fotografia politica e militare dello stato del conflitto che intende far cessare. Quello raggiunto all'Onu, votato all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza, è per l'appunto la certificazione nero su bianco, con mille morti di ritardo ed un paese distrutto, di una situazione de facto che vede la sconfitta d'Israele e l'idiozia politica degli Stati Uniti da un lato, la vittoria di Hezbollah e del radicalismo arabo e dell'Iran dall'altro. La sostanziale uscita di scena della Lega Araba, prigioniera delle sue contraddizioni, è una ulteriore sconfitta delle posizioni moderate e rappresenta invece la conferma delle convinzioni delle forze radicali del mondo arabo che considerano ormai l'organismo come vuoto a perdere.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Le elites del mondo politico e diplomatico della Russia si stanno interrogando sull'identità dei nuovi principi-chiave che Putin va disegnando, in questi ultimi tempi, nel campo delle relazioni internazionali. Tutto avviene in modo improvviso. Anche con colpi di scena e apparizioni improvvise, dal momento che il Presidente manifesta una sempre più accentuata attenzione verso quei nuclei tematici che, dal punto di vista istituzionale, dovrebbero rappresentare una sorta di riserva di caccia del ministero degli Esteri. Putin sconfina. E la cosa più interessante è che, con le sue azioni, sembra proprio lanciare una sfida a quella grande potenza (gli Stati Uniti) che pochi anni fa vantava apertamente la vittoria sull'impero del male. C'è, quindi, una sorta di nuova dottrina strategica che comincia a delinearsi all'interno dell'establishment del Cremlino e che vede, soprattutto, una accentuazione di interessi anche verso realtà che sembravano ormai lontane da Mosca. Il caso più importante riguarda il colpo d'ala nei confronti del lontano Venezuela.


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