di Luca Mazzucato

La situazione politica nei Territori palestinesi è da alcune settimane in fibrillazione, attorno alla questione del nuovo governo di unità nazionale. Giorno dopo giorno, si rincorrono gli annunci dell'accordo raggiunto (da parte di Abu Mazen, presidente dell'ANP e leader di Al Fatah) e le immancabili smentite (da parte di Haniyeh, premier palestinese e leader del braccio politico di Hamas). Lo snodo che si gioca attorno alla creazione del nuovo governo è cruciale per gli equilibri di potere nei Territori. La situazione attuale, per certi versi, è simile a quella dei primi anni novanta, quando la svolta nell'OLP portò al riconoscimento di Israele e alla firma degli accordi di Oslo, ai quali Hamas si oppose fieramente.I primi a muoversi, ovviamente, sono i russi che hanno convocato, nella città di Barnaul - al centro della catena degli Altaj - la prima convention ufficiale del comitato organizzatore del progetto che viene chiamato “Nasc obsij dom”, la nostra casa comune. Che avrà come “padroni” anche i kazaki, i mongoli e i cinesi. Tutti interessati a sviluppare, nelle loro aree di confine con la Russia, le nuove infrastrutture.

di Matteo Cavallaro e Giorgio Ghiglione

Varie sono le teorie che tentano di spiegare la politica estera dell’amministrazione Bush. C’è chi dice che bombardare un paese faccia fiorire la democrazia; chi dietro vede solo l’ombra nera del petrolio; chi parla di un tentativo di fermare una presunta nuova valuta internazionale nota ai più come petroleuro e ultimi, ma non per importanza, i soliti complottisti che in tutto ciò vedono un piano per la dominazione del mondo. In pochi però si preoccupano di dare un’interpretazione geografica delle tensioni in atto.Il problema di analizzare l’azione delle grandi potenze dentro lo spazio geopolitica, da sempre appassiona studiosi e non. Il primo a codificare una vera e propria teoria al riguardo fu un certo Sir Halford Mackinder. Questo geografo inglese, all’inizio del XX secolo inventò il termine “Heartland”, intendendo con esso la zona centrale dell’Eurasia. Ebbene, secondo Mackinder, chi controllava questo territorio, controllava il mondo. Ovviamente tale ipotesi era figlia del suo tempo e negli anni ’30 l’americano Spykman rivistò la teoria sopracitata.

di Fabrizio Casari

Domenica prossima, 125 milioni di elettori brasiliani dovranno decidere se nel loro futuro non c’è posto per il passato. Se cioè Ignacio “Lula” da Silva, più semplicemente Lula, avrà la possibilità di completare il lavoro svolto o se, ricacciando indietro nel tempo speranze e aspettative, la parola dovrà tornare agli antichi predatori. Lula era considerato un intruso, una presenza scomoda. Rappresentava – e rappresenta – un blocco sociale che mai, nella storia dell’immenso paese sudamericano, aveva avuto voce in capitolo, ma ha cambiato la storia politica del Brasile. La sua elezione, nel 2002, per quanto prevista dai sondaggi e auspicata da buona parte del Paese, ha invertito il destino manifesto del Brasile che risultava – e ancora risulta – il paese dove alberga la forbice più drammaticamente grande tra ricchezza insultante e povertà estrema. Il 10 per cento della popolazione dispone del 46,7 per cento della ricchezza nazionale, mentre il 40 per cento della popolazione, la più povera, dispone solo del 7,7 per cento.

di Daniele John Angrisani

Nubi nere arrivano dagli Stati Uniti d'America sul futuro delle Convenzioni di Ginevra e degli accordi internazionali per la protezione dei diritti umani. Dopo alcune settimane di guerriglia politica sulla questione delle torture contro i prigionieri della guerra al terrorismo, alla fine i tre senatori repubblicani "ribelli" - John McCain, Lindsey Graham e John Warner - hanno di fatto capitolato di fronte alle richieste della Casa Bianca e hanno accettato di firmare un accordo che, secondo i suoi molti critici, fornisce di fatto il via libera alla Casa Bianca per continuare nella disastrosa politica delle torture contro i prigionieri di guerra.

di Cinzia Frassi


Kabul, ancora Kabul. Erano le 5.30 ieri ora italiana quando nel distretto di Chahar Asyab, nei pressi di Kabul, una esplosione ha provocato la morte del militare italiano Giorgio Langella, giovanissimo, di Imperia, e causato cinque feriti, di cui due gravi, ma fuori pericolo di vita. Tra i feriti una donna soldato, Pamela Rendina. E' rimasto ucciso anche un bambino afgano. E' atteso per oggi il rientro in Italia della salma del soldato italiano, nella sola giornata di ieri sono rimasti feriti anche tre alpini.
Il portavoce della Difesa ha comunicato che "i soldati viaggiavano in un convoglio a circa 10 chilometri a sud della capitale afghana quando è esploso un ordigno improvvisato, probabilmente azionato da un comando a distanza".
Quanto accaduto fa salire a 7 il bilancio degli italiani uccisi in Afghanistan, tre per attentati e i rimanenti a causa di incidenti. Dall'inizio dell'anno i militari stranieri caduti, per attentati o incidenti, salgono a 140.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy