di Luca Mazzucato


Secondo il noto adagio occidentale, Israele è l'unica democrazia in Medioriente: è sicuramente vero per chi appartiene alla maggioranza ebraica. Equivale all'incirca a dire che il Sudafrica durante l'apartheid era l'unico stato democratico africano: sicuramente vero, per la minoranza bianca. Per chi sperava in un cambiamento, ci ha pensato recentemente lo “Shin Bet”, il servizio segreto militare israeliano, a mettere in chiaro nero su bianco che Israele non è una democrazia, ma uno stato etnico. Tre mesi fa, le organizzazioni arabo-israeliane per i diritti civili e i partiti arabi hanno proposto ufficialmente l'avvio di una discussione per il superamento del carattere etnico dello stato ebraico e per ottenere il riconoscimento ufficiale dello status di minoranza araba. Yuval Diskin, capo dello “Shin Bet”, dalle pagine dei maggiori quotidiani ha dichiarato che i servizi segreti considerano i cittadini appartenenti alla minoranza araba una “minaccia strategica” per lo stato d'Israele e che si impegneranno a fondo per sventare qualsiasi iniziativa che mini il carattere ebraico dello stato, in particolare anche le iniziative di tipo legale. È quindi scoppiata una polemica furente tra la destra e i partiti arabi, a colpi di petizioni alla Corte Suprema, mentre il capo del principale partito arabo Balad rischia persino di essere espulso dalla Knesset.
La popolazione palestinese di cittadinanza israeliana, i cosiddetti arabi-israeliani, sono circa un quinto della popolazione. Sono i discendenti dei palestinesi scampati alla deportazione sessant'anni fa, durante la guerra per la creazione dello stato ebraico. La minoranza palestinese in Israele subisce numerose discriminazioni sancite per legge, per cui è lecito parlare di vera e propria apartheid. Negli ultimi mesi, tuttavia, le organizzazioni per i diritti civili e i partiti arabi hanno deciso di uscire allo scoperto per cambiare questa situazione. In dicembre, hanno presentato ufficialmente un documento dal titolo “La prospettiva futura degli arabi palestinesi in Israele”, in cui stabiliscono gli obiettivi del movimento arabo-israeliano. Innanzitutto, si chiede di aprire la discussione sulla Costituzione, che Israele ancora non possiede, in modo da superare il principio etnico ebraico su cui è attualmente basata l'architettura istituzionale, per passare ad un modello pienamente democratico, in cui venga riconosciuta la natura bi-nazionale dello stato e vengano dati uguali diritti alla minoranza palestinese. Nel documento, si denuncia in particolare il carattere colonialista dello stato, un peccato originale derivato dalla guerra d'indipendenza del 1948.

La richiesta cruciale delle organizzazioni arabe però riguarda l'apertura dei comitati per la distribuzione delle terre, che controllano la compra-vendita delle terre statali, anche a membri che non siano strettamente di religione ebraica. Attualmente, infatti, la gestione del demanio è nelle mani per lo più di rabbini (che controllano questi comitati) e i non-ebrei sono comunque tenuti fuori per legge. Questa rivendicazione punta ad abolire uno dei principali strumenti di discriminazione: la popolazione araba infatti possiede soltanto il due per cento della terra israeliana e mentre da un lato è in rapida crescita demografica, dall'altro non può acquistare nuovi terreni e quindi espandersi. La “questione demografica” rappresenta un vero e proprio incubo per la leadership ebraica, infatti la risposta ufficiale al documento si è fatta attendere tre mesi, ma è arrivata con una violenza inaudita.

Il capo dello “Shin Bet” in persona, con il benestare di Olmert, ha rilasciato due settimane fa varie interviste sui giornali arabi, in cui rendeva nota la posizione ufficiale dello stato ebraico riguardo a queste iniziative arabo-israeliane. Senza molti giri di parole, ha minacciato di bloccare sul nascere tutte le attività dei partiti arabi in Parlamento e delle organizzazioni palestinesi-israeliane che cercheranno di cambiare la natura ebraica dello stato. E ha più volte sottolineato il fatto che lo “Shin Bet” fermerà qualsiasi tipo di iniziativa in tal senso, in particolare anche le attività legali e garantite dalle leggi sui diritti civili, come ad esempio le iniziative parlamentari o le petizioni. Per ricordare forse a chi l'aveva dimenticato che Israele è un vero e proprio stato di polizia, in cui i diritti elementari sono in realtà privilegi dei cittadini ebrei (ma nemmeno i pacifisti ebrei sono al sicuro) e lo “Shin Bet” non ha nulla da invidiare al “KGB” o alla “Stasi”.

La reazione delle organizzazioni arabe non si è fatta attendere: gridando allo scandalo, si sono appellate alle Nazioni Unite e hanno denunciato lo “Shin Bet” alla Corte Suprema israeliana per abuso di potere, anche se è lecito dubitare che la Corte possa venire loro in aiuto, essendo espressione proprio della maggioranza ebraica. La polemica è quindi montata incessantemente sui media israeliani, fino ad investire in persona Azmi Bishara, capo del principale partito arabo Balad e famoso intellettuale arabo. Numerosi parlamentari di destra hanno presentato una legge per espellere dalla Knesset (il Parlamento israeliano ndr) quei membri che si siano recati in visita a paesi nemici o che abbiano contatti con terroristi (da notare che tutte le organizzazioni palestinesi dei Territori Occupati sono considerate terroristiche). In particolare, Bishara viene accusato di tradimento per aver complottato con il nemico nei suoi recenti viaggi in Libano e Siria e per i suoi contatti con esponenti Hamas.

È chiaro a tutti che questa escalation di violenza, per il momento soltanto verbale, non porterà a nulla di buono: potrebbe persino riaccendere la scintilla dei disordini nei quartieri arabi, che nel duemila avevano a lungo infiammato le città israeliane, in concomitanza con lo scoppio dell'Intifada di Al-Aqsa. O forse è proprio questo lo scopo delle provocazioni anti-arabe, per poter risolvere la questione demografica una volta per tutte, deportando gli arabi-israeliani in West Bank, come proposto dal Ministro Avigdor Liebermann, leader del partito fascistoide russofono e alleato di Olmert. Attualmente Bishara si trova in Giordania ed i vari parlamentari di destra hanno insinuato che si dichiarerà rifugiato politico e non tornerà più in Israele. Il diretto interessato ha reso noto che sta riflettendo sulle sue prossime mosse, ma che è chiara la persecuzione nei suoi confronti e contro tutte le organizzazioni arabe.

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