Kasparov sostiene che in Russia non c’è democrazia. Non si può dargli torto. Anche a costo di trovarsi a fianco dei propagandisti americani che si stanno impegnando nella campagna anti-Putin, si deve dire che il Cremlino attuale ha superato il livello di guardia quanto a democrazia. E’ un “fascismo strisciante” quello che scuote la Russia di questi ultimi tempi: al Cremlino c’è questo ex esponente del vecchio e famigerato Kgb che ha portato al vertice una nutrita schiera di suoi colleghi. Tanto che si può dire che la “democrazia” nata dalla perestrojka di Gorbaciov e dal decisionismo di Eltsin ha creato una nuova generazione di oligarchi ladroni e arroganti: i media pagano col sangue la volontà di verità e il “caso Politkovskaja” è ancora aperto; in Cecenia il potere di Mosca insedia un suo Quisling noto come oppressore e organizzatore di pogrom; le strutture economiche e commerciali dello stato mostrano sempre più il volto del loro dispotismo burocratico; i laudatores del regime cercano di coprire le tante realtà negative con i colori del capitalismo, con il fragore delle discoteche, dei casinò e dei night; il presidente confonde le acque barcamenandosi tra scelte che possono sembrare “sovietiche” ed altre che appaiono chiaramente come “americane”… Il corpo bacato della società politica viene a galla e dimostra sempre più che si è al giro di boa della “civiltà liberale”. Ed è in questo contesto di critiche e di pesanti accuse che molti analisti russi tornano a leggere un saggio “made in Usa” del quale si parlò nei primi anni della gestione gorbacioviana. Si trattava di un libro del giurista statunitense Bertram Gross intitolato “Friendly fascism”, un “fascismo amichevole”. Appunto quello che oggi è sotto accusa. Il dibattito non è solo teorico, politico ed istituzionale. La parola passa alla piazza dove si presentano due personaggi estremamente noti che organizzano la protesta: sono l’ex primo ministro Kasyanov e l’ex campione di scacchi Kasparov.
Nasce il movimento anti-Putin ed è una novità di ordine sociale. Gli agit-prop non sono i tradizionali comunisti o i temuti nazionalsciovinisti di Limonov. Non sono i barricadieri di Anpilov. Questa volta la parola passa ad una borghesia cittadina stanca della crescente insicurezza politica, dei soprusi di una nuova nomenklatura che si caratterizza con la spocchia del passato e con l’arroganza del presente. Ma ecco i fatti, con Mosca che vive il giorno della rivolta.
Nel cuore della capitale si ritrovano migliaia di persone e la manifestazione che ne segue è già nota con il nome di “Marcia degli scontenti”. Putin non tollera il dissenso e sceglie la strada della repressione diretta. Attua, in pratica, la restaurazione di un’epoca che sembrava trascorsa. Non siamo alle cannonate di Eltsin, ma le squadre speciali della polizia (le formazioni antisommossa degli Omon) scendono in azione – sabato 14 aprile - insieme all’esercito. E in questa opera di attacco – avverte il responsabile delle relazioni pubbliche della polizia della capitale - “non andremo troppo per il sottile”. E così è.
Il cuore di Mosca si scalda. Si riempie la centrale Piazza Puskin mentre dal parco del laghetto di Cistoprudny cominciano ad affluire colonne di manifestanti. Si grida “Via Putin” e “Abbasso Putin”. E sono botte, manganellate, arresti, scontri. Le cinque stazioni della metropolitana che si trovano nell’area vengono chiuse. E scendono in strada – dai cellulari degli Omon – i cani pastori tedeschi. Putin ha fatto le cose in grande. E la sua polizia prende di mira lo scacchista Kasparov e l’ex premier Kasyanov. Anche loro finiscono dentro, tra un fragore di manganelli. Ad applaudire ci sono solo i boy-scout di Putin - i “Nasci” – opportunamente protetti da cordoni di polizia.
La manifestazione continua. E da oggi se ne parlerà quotidianamente. Sotto accusa, comunque, è il potere autoritario di Putin. Il quale approfitta del monopolio radiotelevisivo per gridare che la sua gestione ha permesso di ripristinare “l’integrità e la controllabilità dello Stato”. E si sa che è una bugia madornale perché lo Stato non controlla un bel niente, in quanto le oligarchie decidono da sole. Radio e tv insistono, dicendo che nel paese c’è una “stabilità politica”. Il che vuol dire che esistono partiti di plastica e organizzazioni politiche che sono a libro paga del Cremlino… E ancora: i laudatores del regime sostengono che “grazie alla combinazione ragionevole delle misure economiche e militari si è riusciti a debellare i terroristi e a riportare il Caucaso del Nord alla vita normale, di pace”. Falso su tutta la linea. Nel Caucaso si combatte e si muore. I soldati dell’Armata di Mosca passano le armi agli indipendentisti locali: kalashnikov in cambio di droga, come testimonia, tra l’altro, un film del regista Koncialovskij (sponsorizzato dal ministero della Cultura).
I commentatori al servizio del Cremlino che descrivono “i vistosi i successi che il Paese ha raggiunto nel campo dell’economia” e aggiungono che “negli ultimi sette anni in Russia si registra la continua crescita del prodotto interno lordo pari al 7 % annuo circa”, dimenticano che ad approfittare della nuova situazione economica sono solo gli oligarchi. Sono loro che si arricchiscono e si permettono tournee all’estero come quelle avvenute nella località francese di Courcevel, dove un oligarca ha preso terra con un aereo carico di veline… per la felicità dei suoi pari.
“Le riserve auree del Paese hanno superato il volume di 300 miliardi di dollari” scrivono i media del Cremlino ma non dicono dove vanno a finire questi capitali… E in questa orgia di falsità si aggiunge che “é fortemente cresciuto il flusso dei diretti investimenti stranieri nell’economia russa”. Ma nessuno spiega ufficialmente da che parte arrivano questi investimenti e in che mani finiscono. E sempre per restare nel clima da Eden che i giornalisti del regime scrivono: “Si è ridotto di decine di milioni il numero di poveri e sono notevolmente aumentati i redditi reali dei cittadini”. Un insulto. Tutti sanno quanto ricevono i pensionati e qual è il livello medio dei salari. Tutti sanno che sono stati chiusi gli asili statali, che l’assistenza medica è possibile solo per chi si è ancorato al dollaro o all’euro. Per non parlare dell’istruzione e del prezzo degli appartamenti. E, infine, la bugia di stampo sociologico: “Secondo i risultati dei sondaggi demoscopici più recenti l’80 % della popolazione della Russia approva l’attività di Putin”.
Il bombardamento propagandistico continua. Si parla anche dei successi in politica estera e nelle nuove relazioni internazionali. Si cerca di presentare un Cremlino autonomo ed originale. Si dimenticano i diktat del G8, dell’Ue e della Nato. Ma Putin cerca di presentarsi come abile negoziatore mostrando all’interno un volto “antioccidentale”, ma seguendo, in pratica, le volontà di un Ovest da sempre antirusso. Su questo cala il j’accuse dell’ex consigliere economico Andrei Illarionov, il quale sostiene che la Federazione Russa non solo sta perdendo le sue posizioni nell’economia mondiale, ma ha già perso le stesse come motore economico dell’ex Unione Sovietica. Secondo Illarionov, l’economia nazionale è destinata al rallentamento se le riforme sui monopoli naturali non saranno accelerate e la spesa pubblica contenuta ulteriormente.
Poi la pagina relativa ai nuovi ricchi e ai vecchi poveri. Un ristretto gruppo di miliardari vive nel lusso più sfrenato, con la connivenza di capimafia e boss che controllano la politica e i media, con il 70 per cento della popolazione vive al di sotto alla soglia di povertà. Con un ristretto gruppo di persone che ha messo le mani sulle ricchezze della Russia: ex funzionari di partito, capimafia, boss locali, trasformatisi in magnati del petrolio e della finanza con la connivenza delle autorità del Cremlino. Li chiamano gli "oligarchi", perché dall'alto delle loro ricchezze controllano ormai la politica e i mass media: la stessa famiglia Eltsin e il vecchio governo erano sui loro libri paga. Attorno agli oligarchi figura poi una sottile fascia di superprivilegiati: è quell'1,5 per cento di russi che, secondo le statistiche, possiede il 65 per cento delle ricchezze nazionali. Sono quelli che vanno in giro griffati e ingioiellati dalla testa ai piedi a tutte le ore del giorno, che costruiscono fuori Mosca ville da Beverly Hills e d'estate affollano gli alberghi a cinque stelle sulla Costa Azzurra. E molti li incontriamo anche in Italia…
Putin tollera tutto: solo di volta in volta fa qualche appello alla moralità. Ma questo avviene in un paese dove la soglia di ricchezza viene fissata a 5 mila dollari al mese di introiti ed a superarla sono 2 milioni e mezzo di persone. Considerando anche i loro familiari, risulta che in Russia vivono oggi circa 7 milioni di ricchi, pari a quasi il 5 per cento della popolazione. Mentre a Mosca - classificata al terzo posto fra le città più care del mondo - per potersi considerare benestanti bisogna contare su guadagni superiori ai 10 mila dollari al mese. Vivono bene e vegetano meglio manager, avvocati, commercialisti, notai, commercianti, medici; ma anche stilisti, conduttori televisivi, modelle e, perché no, killer e prostitute d'alto bordo. Intanto emerge una classe media urbana, fatta di impiegati del settore privato, di gente che lavora in quel milione di piccole imprese censite in Russia che impiegano circa un decimo della popolazione. Senza tener conto, poi, dell'oceano dell'economia sommersa, che coinvolge in un modo o nell'altro il 40 per cento dei russi. E così si scopre un abisso che trova paragoni solo nel Terzo Mondo, cui la Russia apparterrebbe se non fosse per le testate atomiche di cui dispone.
A seguire in questo elenco c’è il capitolo che riguarda la fuga dei capitali all’estero. I russi della classe media sono campioni in tal senso. Lo fanno in primo luogo perchè temono un conflitto con il potere centrale. In secondo luogo perchè sanno che in altri paesi le tasse sono minori di quelle della Russia. E poi perché investire all’estero è un fatto di prestigio. Il maggiore interesse riguarda l’Olanda e Cipro. Ma si guarda con attenzione anche al Montenegro. Qui ci sono molte e antiche relazioni. La mentalità si assomiglia. Il caos è comune. Tutto è facilitato anche dalle relazioni personali. E poi con le tangenti si facilita ogni cosa.
All’apartheid finanziario si somma quello sociale. Aumentano gli omicidi a sfondo razzista, i pestaggi e la discriminazione. Si sviluppa la xenofobia. Ci sono, in proposito, casi di aggressioni, alcuni dei quali con esiti mortali, nei confronti di studenti stranieri, richiedenti asilo e rifugiati provenienti da Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina, membri di minoranze etniche e migranti del Caucaso e dell’Asia Centrale, esponenti della comunità ebraica e rom. Denunce vengono da Amnesty International. E secondo il Centro analitico di informazioni Sova - un istituto russo - solo nel 2005, 28 persone sono state uccise e altre 366 aggredite per motivi razziali. Il numero effettivo, comunque, potrebbe essere molto più elevato, poiché molti reati a sfondo razzista non sono denunciati o riconosciuti come tali. Non solo, ma ci sono vari gruppi appartenenti a minoranze etniche distinguibili a occhio nudo dai russi che sono prese di mira ai controlli d’identità istituiti nel contesto delle misure antiterrorismo o a semplice scopo di estorsione da parte della polizia. Secondo una ricerca le persone di “aspetto non slavo” hanno 21 probabilità in più di essere fermate per controlli mentre viaggiano sulle linee della metropolitana di Mosca.
Ora c’é una nuova pagina, quella dello scontro con Boris Beresovskij, uno dei personaggi più compromessi e pericolosi della scena russa; finanziatore di Eltsin alle elezioni del 1996 e tra i maggiori beneficiari delle privatizzazioni selvagge della Mosca degli anni '90. E’ un oligarca che ha fatto il bello e il cattivo tempo a Mosca e dintorni. Da sei anni in esilio in Inghilterra – presenta ora la sua dichiarazione di guerra al presidente russo. In pratica annuncia – dalle colonne del The Guardian - la propria intenzione di organizzare e mettere in atto un colpo di stato in Russia al fine di rovesciare con la forza il regime di Putin. Nessun mezzo termine, nessun giro di parole.
Berezovskij dice che in Russia è impossibile cambiare l'attuale regime in maniera democratica: "Dobbiamo usare la forza per cambiare il regime, dal momento che è impossibile cambiarlo con gli strumenti della democrazia. Non ci può essere alcun cambiamento senza il ricorso alla forza". Scatta la domanda ovvia: Berezovskij sta effettivamente preparando una vera e propria rivoluzione? L'oligarca risponde: "Assolutamente si'", precisando di essere attualmente in contatto con alcuni rappresentanti dell'elite politica russa vicina al Cremlino, dei quali però non fa i nomi. Ma ribadisce la volontà di rovesciare l'attuale classe dirigente russa. Dice di voler "distruggere l'immagine positiva di Putin in Occidente".
Cambio di “regime” immediato, quindi, per questo oligarca, finanziatore ed ideologo, che scalda i motori. Seguono, ovviamente, polemiche e risposte da Mosca. Sull’intera questione alza la voce anche la Duma di stato (il Parlamento russo) dove il vicepresidente del comitato per la sicurezza Michail Grishankov sostiene che le affermazioni di Beresovskij sono chiaramente indirizzate a deteriorare anche i rapporti tra Mosca e Londra. Il deputato russo avverte che “sarà indispensabile d'ora in avanti seguire con la massima attenzione tutti i finanziamenti a favore delle organizzazioni coinvolte in atti estremistici". Berezovskij è avvertito. Con la Procura Generale della Federazione Russa che ha già avviato una causa penale nei suoi confronti trasmettendo al ministero degli Esteri britannico i documenti con la richiesta dell’estradizione.
L’unico amico su cui può contare é Berlusconi. Che gli rinnova sostegno – guarda caso - nel momento in cui le folle moscovite e di San Pietroburgo chiedono la cacciata di Putin. Ma Berlusconi – giunto a San Pietroburgo sul suo aereo privato - se ne va a spasso con il presidente, passa una serata in giro per la città della Neva, beve un bicchiere di Brunello in una enoteca italiana e va a vedere uno spettacolo di Full combact. Poi sempre Berlusconi si lancia in difesa dell’amico Vladimir, attaccato. Secondo lui la repressione delle manifestazioni è stata gonfiata dalla stampa: "Ero con Putin – rivela - mentre parlava con il ministero dell'interno". So – continua – che l’opposizione aveva organizzato dimostrazioni in strade non concesse dal comune per “questioni di traffico”… “E so anche che i manifestanti fossero circa 700, a fronte dei 15 mila sostenitori del leader del Cremlino riuniti davanti all'università”. Tutto bene, quindi, per il Cavaliere Berlusconi giunto sul posto al momento opportuno. Testimone di valore. E infine una perla. Berlusconi sta pensando di organizzare un vertice di Forza Italia a San Pietroburgo. Sarà una nuova pagina di esportazione della democrazia?
L’IRRESISTIBILE DISCESA DI VLADIMIR PUTIN
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