di Eugenio Roscini Vitali

Per la Bosnia-Erzegovina questo potrebbe essere un anno decisivo, la conferma di un cambiamento iniziato nel secondo semestre del 2007 e che si basa su una tregua con la quale i leader politici locali hanno messo momentaneamente fine ad una crisi che sembrava poter creare le condizioni per una nuova guerra civile. I problemi che per anni hanno devastato una delle più tormentate e malate regioni del nostro continente non sono però del tutto sopiti. Per rendere possibile un progetto di pace a lungo termine è fondamentale che i partiti al potere rinuncino a quel nazionalismo estremo che da anni alimenta e infetta le velenose contrapposizioni di parte intrise di odio e desiderio di vendetta. Il susseguirsi degli eventi che dallo scorso ottobre stanno mutando la faccia politica del Paese hanno preso il via dopo una violenta crisi di governo, la più grossa dalla fine della guerra, partita con la fallita riforma della polizia ed aggravatasi dopo l’intervento dell’Alto rappresentante della comunità internazionale, Miroslav Lajcak, che ha modificato la norma parlamentare secondo cui le leggi potevano essere votate solo in presenza di tutti i deputati. Una decisione che ha scatenato la furia dei serbo-bosniaci della Republika Srpska, ai quali è comunque rimasta la possibilità di veto, ma che ha permesso allo slovacco Lajcak di superare, senza contravvenire quanto sancito dalla Costituzione, la tecnica del boicottaggio dei lavori parlamentari.

di Michele Paris

Arriva da un’inchiesta pubblicata dal New York Times l’ennesimo atto d’accusa contro il traballante sistema sanitario statunitense, questa volta riguardante le difficoltà finanziarie che moltissimi fornitori privati di assistenza ad anziani malati terminali stanno incontrando per sostenere i rimborsi a sei zeri richiesti da Medicare, il programma pubblico di assicurazione sanitaria dedicato agli anziani. Il mancato rispetto di quelle che potremmo definire “tabelle di sopravvivenza” dei malati terminali assistiti, fissate a livello federale, ha portato in numerosi casi allo sforamento del limite di indennizzo garantito da Washington che sta puntualmente recapitando pesanti ingiunzioni di rimborso alle case di cura incapaci di gestire il budget garantito. Inizialmente rivolta agli anziani malati di cancro e con un aspettativa di vita non superiore ai sei mesi, la sezione di Medicare nata nel 1983 a favore delle case di cura, ha dovuto fare i conti negli ultimi anni con l’ampliamento dei destinatari dell’assistenza fornita da queste ultime, sempre più frequentemente - e inevitabilmente - rivolte a pazienti affetti da malattie la cui traiettoria in termini di aspettativa di vita è più difficilmente prevedibile, come ad esempio l’Alzheimer.

di Carlo Benedetti

Per l’Osce le presidenziali georgiane di queste ultime ore sono regolari. Il filo-americano Michail Saakashvili (classe 1967, con laurea ad Harvard) ) esce vincitore con un buon 53%. Ma il leader dell’opposizione Levan Gachechiladze (un 43enne che si trova sulle stesse posizioni atlantiche del presidente e che guida il “Consiglio Nazionale Unito”) invita a scendere in piazza per manifestare contro la “falsificazione” del risultato. Ma è chiaro che è solo una lotta per la poltrona e, quindi, il dado è tratto. E nella capitale georgiana si dice che gli Usa, in bilico tra il fascino di Obama e gli errori della signora Clinton, si possono rifare con il successo ottenuto nella loro filiale caucasica. Perché la Georgia - sotto la pressione del potere che si è instaurato a Tbilisi - sceglie la linea filoccidentale e filoamericana. E, pur tra mille contestazioni, passa anche il referendum sulla adesione alla Nato. Con Putin che deve fare (per ora) buon viso a cattivo gioco. Certo, del resto, che la Georgia divenendo una base stabile dell’Alleanza Atlantica ne diverrà, allo stesso tempo, una “polveriera” visti i conflitti interni dell’Ossetia e dell’Abkhazia.

di Rosa Ana De Santis

Non ci andasse di mezzo la vita di esseri umani, si potrebbe ricondurre la vicenda delle attese e mai avvenute liberazioni dei tre ostaggi in mano alle Farc colombiane, come un capitolo scritto male della narrativa latinoamericana di seconda scelta. I protagonisti della novela a basso gradimento ed alto costo sono fondamentalmente due: il presidente colombiano Alvaro Uribe e il Comandante delle Farc Manuel Marulanda, detto “Tirofijo”. Attore suo malgrado non protagonista il Presidente venezuelano Hugo Chavez, rimasto impigliato nella partita a scacchi truccata tra i due protagonisti. Chavez si era reso disponibile ad una mediazione personale, nel quadro di una trattativa che portasse alla liberazione di Ingrid Betancourt. Uribe, dapprima accetta a denti stretti la mediazione; poi, con grande soddisfazione, sceglie di farla naufragare in mondovisione. Con le Farc non tratta e non permette a nessuno di trattare, soprattutto se c’è il rischio che la trattativa vada a buon fine. Perché gli ostaggi da vivi diventano una clava sulla testa del governo, da morti invece, sulla testa delle Farc.

di Giuseppe Zaccagni

Per il futuro del Kosovo (autonomia completa da Belgrado) sono in arrivo due nuovi appuntamenti ufficiali. Il primo è quello del 16 gennaio con la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che affronterà i temi di quella missione Unmik (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo) che sta attualmente gestendo a nome del Palazzo di Vetro l’amministrazione della regione serba; il secondo - probabilmente decisivo - è per il 28 gennaio quando l’Unione Europea dovrà firmare l’accordo Asa (che prevede, appunto, la stabilizzazione e l’associazione tra Unione europea e Serbia) oppure inviare la sua già annunciata missione civile in Kosovo. Tutto questo mentre a Belgrado si scatena una reazione violenta, con il premier serbo Kostunica che ribadisce la sovranità sulla “provincia” e ammonisce che ogni implicito riconoscimento della sua indipendenza bloccherebbe il processo di avvicinamenti all’Ue.


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