di Elena Ferrara

Cominciano altre prove di distensione tra il potere comunista di Hanoi e i rappresentanti della Delegazione apostolica dei cattolici che fanno riferimento al Vaticano. Tutto avviene nel momento in cui il primo ministro del Vietnam Nguyen Tan Dung incontra l’arcivescovo della capitale Joseph Ngo Quang Kiet. I due si trovano a confronto per discutere la questione relativa alla requisizione da parte del Governo delle proprietà ecclesiastiche. Una “decisione” che ha provocato la protesta della comunità cattolica che nella notte di Natale è scesa in piazza, nella capitale, per chiedere la restituzione dell’edificio della Delegazione apostolica, destinato a locale notturno. Ma è chiaro che tutta la questione delle proprietà della Chiesa cattolica sarà oggetto di ulteriori trattative. Perché, oltre alla Delegazione apostolica, sono diversi gli edifici sottoposti ancora al provvedimento governativo di sequestro. Tra questi, ad esempio, le chiese di san Paolo e quella De La Salle; il seminario Lieu Giai; la scuola Dung Lac e la Teresa Printing House, tutte proprietà ecclesiastiche che sono state trasformate in sedi di ospedali ed uffici governativi.

di mazzetta

Se in Italia esistessero cose simili alla libera stampa o se solo il personale politico non fosse in altre e personali faccende affaccendato, qualcuno avrebbe sicuramente chiesto al Presidente del Consiglio Prodi o al capo dell'opposizione quando finirà l'avventura militare italiana in Afghanistan. Probabilmente nessuno dei due poli avrebbe potuto fornire una risposta, neppure approssimativa, ma almeno il tema sarebbe stato posto. Può essere comprensibile che non ci sia un gran interesse a sollevare la questione della missione afgana, trattandosi di un fallimento epocale asseverato in maniera assolutamente bipartisan da una classe politica che spesso non sa dove sbattere la testa, ma che ha ben chiaro quanto le sia utile e vantaggioso attaccare i carri alla locomotiva di Washington. Del resto la domanda impertinente aprirebbe dibattiti che nessuno sembra veramente voler affrontare. Ci sarebbe da discutere sull'andamento dell'occupazione dell'Afghanistan, sulla partecipazione alla fallimentare “War on Terror” condotta dal presidente Bush, ma anche una discussione tutta italiana sul senso dell'interpretare uno schieramento con gli Usa, tanto acritico da apparire a tratti servile.

di Bianca Cerri

Per gente pragmatica e poco amante della mondanità come quella del New Hampshire il caos delle primarie è una specie di influenza a scadenza quadriennale contro la quale con si può fare nulla, bisogna starsene a letto in attesa che passi. In genere, la percentuale dei votanti raggiunge a malapena il 40%, gli altri si chiudono in casa o nei bar e parlano di altri argomenti. Il NH appartiene geograficamente al New England, dove il clima freddo non pregiudica la vita sociale degli abitanti. Eppure, l’otto gennaio scorso, la percentuale dei votanti ha superato per la prima volta il 60%. Il crociato anti-gay e predicatore battista Mike Huckabee non è riuscito a bissare il successo dell’Iowa: la vittoria repubblicana se l’è aggiudicata John McCain, che aveva già trionfato in New Hampshire nel 2000. Molto deluso Barack Obama, arrivato dall’Iowa vestito come un hip-hopper e con l’aria sicura di chi sa che sta andando incontro ad un nuovo trionfo. Con sorpresa di tutti è stata invece Hillary Clinton ad aggiudicarsi il voto democratico. Apparsa frastornata durante un dibattito televisivo solo poche ore prima, tanto da abbandonarsi ad un pianto catartico davanti alle telecamere, l’ex first lady pare abbia ora recuperato qualche speranza.

di Carlo Benedetti

Per la Cina è l’anno del Dragone, ma si sa anche che il 7 febbraio il Paese entrerà nell’anno del Topo. E gli altri appuntamenti del secolo per Pechino saranno quelli delle Olimpiadi (8 agosto) e dell’Expo di Shangai (2010). Intanto l’Italia si va a collocare in pole-position per questa corsa che porterà molte aziende nostrane a scavalcare la Grande Muraglia. Nessuno si preoccupa più del fatto che la Cina è ancora (ufficialmente) comunista, perché di fatto è una grande potenza economica (di mercato). Che ha messo fine a decenni e decenni di isolamento economico ed ha modificato la configurazione dell’economia globale. Ed ecco che l’Italia si presenta alla grande in una Cina che sta vivendo una transizione morbida: da economia pianificata verso le rive del mercato con un processo mondiale di modernizzazione. E tutti sono obbligati a prendere atto della novità che consiste in una concorrenza alle economia avanzate anche sui beni ad alto contenuto tecnologico. La calata italiana in terra cinese va vista, quindi, anche nell’ottica di un vero e proprio interscambio.

di Daniele John Angrisani

Dopo due turni elettorali di un certo peso per le primarie, in vista del Supermartedì, il 5 febbraio 2008 in cui si terranno le consultazioni in 22 Stati per i democratici ed in 20 per i repubblicani, l’unica cosa certa è che la campagna elettorale è più aperta che mai. Dopo la pesante vittoria di Barack Obama e Mike Huckabee in Iowa, tutto era pronto in New Hampshire per celebrare il nuovo trionfo di Obama, dato per certo da tutti i sondaggi della vigilia. Invece le lacrime in diretta televisiva della Clinton, che durante una conferenza stampa parlando delle difficoltà della campagna elettorale si è lasciata trascinare non poco dall'emozione, hanno aiutato a fare il miracolo: decine di migliaia di elettori democratici, in gran parte donne, si sono recati alle urne per votare a suo favore e la situazione si è radicalmente ribaltata. Alla fine la Clinton è riuscita a spuntarla su Obama con il 39% dei voti contro il 36% che, pur essendo una sconfitta è comunque un risultato di tutto rilievo in uno Stato del tutto dominato dai bianchi come il New Hampshire. Lato repubblicano, invece, i risultati delle primarie hanno confermato i sondaggi: Mc Cain ha ottenuto una relativamente ampia vittoria con il 37% dei voti, contro il suo principale rivale Romney al 32%. Da notare il risultato pessimo dell'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani che si è fermato solo al 9%, poco sopra l'8% andato al candidato anti-guerra Ron Paul. Il risultato è dunque che i giochi sono tornati aperti in entrambi i partiti e non vi è nessun chiaro front-runner per la nomination alla candidatura presidenziale.


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