di Eugenio Roscini Vitali

L’annuale conferenza di Ginevra sulle armi convenzionali (Cww), che si è tenuta nella città svizzera dal 7 al 13 novembre, si è conclusa senza archiviare sostanziali progressi, specialmente per quanto riguarda la messa al bando delle cluster bombs, le micidiali bombe a grappolo che durante i conflitti vengono utilizzate per interdire interi settori e che hanno lo scopo di infliggendo gravi lesioni senza causare la morte. La commissione continua a sentire il peso politico di Stati Uniti, Russia e Cina, che non si oppongono ad una moratoria ma che in realtà cercano di guadagnare tempo sulla messa in vigore di un trattato internazionale. Il fallimento di Ginevra non influisce comunque sull’attività del “Processo di Oslo”, il comitato fondato per iniziativa della Norvegia che si propone di realizzare entro il 2008 la messa al bando delle cluster bombs. Il “Processo di Oslo”, appoggiato dall’attività delle organizzazioni non governative che si sono riunite nel Cluster Munition Coalition, il comitato fondato sull’esempio della Coalizione per la messa al bando delle mine anti-uomo, porta avanti un progetto autonomo rispetto alla Convenzione di Ginevra sulle armi convenzionali e lavora per la stesura di un trattato internazionale che impedisca la fabbricazione e l’uso di queste armi.

di Elena Ferrara

Sarà un incontro forse decisivo per tutto il “contenzioso” tra Palestina ed Israele quello fissato per il 27 novembre ad Annapolis, nell’America del Maryland e definito come “Conferenza di pace sul Medio Oriente”? Un fatto è certo. Ed è che questo vertice è pur sempre tardivo ed anche notevolmente sfocato rispetto alle esigenze del momento. Comunque sia arriveranno all’appuntamento - su invito degli Usa - oltre alle due delegazioni dei paesi direttamente interessati - anche i rappresentanti di più di 40 paesi, gruppi di istituzioni, organizzazioni e istituzioni internazionali. In pratica si tratterà di una seduta di livello internazionale che giunge dopo un intervallo di ben sette anni e che vedrà riuniti attorno al grande tavolo della trattativa molti dei grandi del mondo. Ci saranno - accanto agli israeliani (il primo ministro Ehud Olmert e Tzipi Livni responsabile degli Esteri) e ai palestinesi (il presidente dell'Autorità Nazionale Mahmud Abbas) - il presidente americano George W. Bush con il segretario di stato Condoleezza Rice e il ministro degli Esteri della Russia Sergej Lavrov. Tutti interessati a fissare alcuni “paletti” di un ciclo politico di lungo periodo.

di Fabio Bartolini

Alla presenza dei ministri delle nazioni produttrici di petrolio, si é tenuto a Riad il vertice dell’Opec (Organization of the Petroleum Exporting Countries). Al terzo vertice dell'Opec, dopo quello di Algeri del 1975 e di Caracas del 2000, hanno partecipato anche i due nuovi stati membri, Angola e Ecuador, oltre ad Algeria, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar e Venezuela. L’incontro preliminare, in vista della conferenza prevista per il 5 dicembre nella località Abu Dhabi, ha visto la decisione unanime dei ministri del petrolio di non prendere decisioni riguardo l’aumento della produzione, aumento richiesto dai paesi importatori per porre un freno al rialzo del prezzo del greggio. Samuel Bodman, segretario dell’energia americano, ha fatto sapere di aver espressamente richiesto ai paesi del cartello un aumento delle quote produttive. L’Opec, tramite il ministro dell’energia algerino, Chakib Khelil, ha però risposto di non avere necessità di aumentare la produzione, giacché la domanda di greggio sta diminuendo sia in Cina che negli Stati Uniti, mentre c’é abbondanza di forniture dai paesi produttori. Al centro dei due giorni di colloqui saranno invece analizzate le possibilità di sviluppo a lungo termine del mercato del petrolio, l’impatto dei carburanti fossili sui cambiamenti climatici e la debolezza del dollaro sui mercati che rischia di condizionare il prezzo del greggio.

di Eugenio Roscini Vitali

“Non possiamo escludere che venga praticata la tortura”. A dirlo era stato il ministro degli Esteri norvegese durante un’intervista rilasciata il 27 luglio scorso all’agenzia di stampa Norwegian News Agency. Malgrado questo, un report recentemente pubblicato da Amnesty International denuncia il comportamento dell’International Security Assistance Force (ISAF) che starebbe esponendo i detenuti afgani al rischio di torture e maltrattamenti da parte delle autorità di Kabul. Amnesty International si riallaccia a quanto accaduto nel 2002 durante l’Operazione “Enduring Freedom” e alle particolari pratiche di detenzione già attuate in Afghanistan. Il rapporto dell’organizzazione non governativa impegnata nella difesa dei diritti umani spiega che le forze ISAF, in particolare inglesi, canadesi, belgi, olandesi e norvegesi, avrebbero dato in custodia al National Directorate of Security (NDS), l’agenzia d’intelligence afgana, un numero imprecisato di detenuti; questo malgrado ci siano numerose denunce che mettono il luce l’uso frequente di maltrattamenti e torture inflitte ai prigionieri dagli stessi agenti dell’NDS.

di Laura Bruzzaniti

Due vertici sull’energia, due diverse visioni del futuro. Da una parte la “Conferenza mondiale dell’energia” (WEC) organizzata dal World Energy Council, che ha visto riuniti alla fiera di Roma dall’11 al 15 novembre multinazionali dell’energia, grandi imprese di stato, governi e rappresentanti del sistema bancario e finanziario mondiale per discutere sul “futuro dell’energia in un mondo interdipendente”. Dall’altra la “Conferenza per l’altra energia”, organizzata negli stessi giorni a Roma dal Forum ambientalista, con l’adesione di oltre novanta associazioni, esperti del settore e con la partecipazione di gruppi di cittadini che non ci stanno a vedere il proprio territorio devastato e la propria salute messa in pericolo dalle centrali a carbone (Civitavecchia e Tarquinia per esempio). Ma anche rappresentanti di comunità in Niger e in Bulgaria, venuti a raccontare dei disastri causati dalle compagnie petrolifere nella zona del delta del Niger, o del progetto che vede coinvolta l’ENEL nella costruzione di una centrale nucleare a Belene, zona ad alto rischio sismico.


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