di Carlo Benedetti

MOSCA. Il significato di questo voto serbo - che ha visto la vittoria ai punti di Boris Tadic su Tomislav Nikolic - non può restare entro i confini della giurisdizione belgradese. Perché da questo momento, con l’ufficializzazione dei risultati, si ripresentano - di riflesso - problemi di geopolitica che coinvolgono sempre più l’intera Europa e gli Usa evidenziando, allo stesso tempo, il ruolo strategico di una terra ora definita come “Ex Jugoslavia” che si caratterizza con nuovi ed imprevedibili segnali contraddittori. Ed è in questo quadro che il referendum di Belgrado va analizzato, nell’ottica di una nuova fase di “guerra fredda” che si va sviluppando nel cuore dei Balcani dove i gomitoli della politica sono sempre più imbrogliati. Il “grande gioco” è complesso e vede varie cancellerie occidentali soffiare sul fuoco delle tensioni locali. Con i media che - ispirati dalle centrali d’oltroceano - gettano benzina sull’incendio che già sconvolge Belgrado e Pristina. Ma vediamo cosa è avvenuto con queste elezioni presidenziali che hanno segnato la vita politica e diplomatica delle ultime settimane. Con Mosca che ha seguito i due candidati cercando di non cadere (almeno a livello ufficiale) nella trappola degli appoggi multilaterali.

di Daniele John Angrisani

E' finalmente arrivato il giorno del giudizio negli Stati Uniti: in questo fatidico Supermartedì si vota infatti per ben 22 Stati per le primarie democratiche ed in 20 Stati per quelle repubblicane. Tra coloro che sono chiamati al voto per entrambe le primarie vi sono i cittadini della California, dello Stato di New York, dell'Illinois, del Missouri e di altri Stati minori. Il totale dei delegati in gioco è di circa 1.100 per i repubblicani, vale a dire pressochè la cifra che serve per assicurarsi la nomination. Considerando che il meccanismo di computo dei delegati per la Convention repubblicana è per gran parte basato sulla regola "il vincitore prende tutto" per distretto o per Stato, da molti il “Supermartedì” viene considerato come il giorno cruciale per l'aggiudicazione della nomination repubblicana. I sondaggi, dopo il rovinoso ritiro dalla corsa presidenziale di Rudolf Giuliani, beffato dalla sua stessa strategia elettorale, e le dichiarazioni di supporto da parte dei principali leader repubblicani come il governatore della California Arnold Scharzenegger, mostrano in netto vantaggio John Mc Cain, il quale si dice, da par suo, sicuro di ottenere la quasi matematica certezza della nomination con le votazioni odierne.

di mazzetta

“Questa volta vinciamo". Si chiudeva così l'ultima mail del mio amico di penna e corrispondente dal Ciad ricevuta tre giorni fa. La colonna di ribelli era appena partita da una località dell'Est del Ciad in direzione della capitale, con l'obbiettivo di defenestrare il dittatore Deby. Obbiettivo raggiunto, perchè secondo le ultime righe pervenute la capitale Ndjamena è stata presa e il dittatore è assediato nel centro della capitale. Con una mossa che ricorda quella del gambetto negli scacchi, la scombinata opposizione ciadiana, guidata ora da due nipoti di Deby e dal suo ex ministro della difesa Mahamat Nour Abdelkerim è riuscita dove aveva fallito nella primavera 2006 a causa dell'intervento francese. Questa volta la Francia non poteva intervenire, proprio oggi dovevano giungere i primi uomini della forza d'intervento ONU-UE da dispiegare in Ciad-RCA. La missione di peacekeeping, intitolata formalmente alla protezione dei profughi del Darfur, avrebbe dovuto in realtà dispiegarsi entro i confini del Ciad, fornendo aiuto ai profughi di Ciad e Repubblica Centrafricana; centinaia di migliaia di persone in fuga dalle rappresaglie sui civili operate dai loro governi.

di Raffaele Matteotti

Il peggior presidente della storia degli Stati Uniti, così lo giudica la gran parte dell'elettorato americano, è politicamente morto e sepolto. Fa impressione come tutti i contendenti alle primarie americane, siano avversari democratici o repubblicani, evitino accuratamente di nominarlo. Chi si lega a Bush in questo momento può salutare la corsa alla Casa Bianca. George W. Bush è così diventato invisibile; più una “invisible duck” che una “lame duck”, o anatra zoppa, espressione che indica tradizionalmente il presidente a fine mandato. A questo punto ci si aspetterebbe che i candidati, in particolare i democratici, sfruttassero questa circostanza e usassero le critiche all'amministrazione Bush come trampolino di lancio, ma non accade. Non accade semplicemente perché nessuno dei candidati si è mai opposto alle decisioni più importanti e disastrose prese dalla banda Bush. Non accade perché tutti i candidati sono multimilionari in cerca di brividi o di potere, senza alcun progetto o ideale che vada oltre la presa del potere e la promozione delle proprie cordate. Un quadro molto simile a quello osservabile in molte delle democrazie occidentali e no d’inizio millennio.

di Giuseppe Zaccagni

E’ il massimo esponente dei narco-atlantici albanesi; è “ricercato” per i crimini commessi nei territori dell’ex Jugoslavia; è stato il terrorista numero uno delle milizie dell’Uck; ha guidato gli squadroni della morte sostenuti militarmente dalla Nato e da Washington; lo hanno sempre chiamato “il serpente” perché si comportava con aggressività nei confronti di tutti gli oppositori. Ora - forte degli appoggi occidentali, contento della sua recente vittoria elettorale e coperto dalla fama di essere il “primo socialdemocratico” dell’indipendentismo kosovaro-albanese - si appresta a dichiarare il distacco del Kosovo dalla Serbia e a sancire la secessione da Belgrado divenendo primo ministro di Pristina. Il personaggio si chiama Hashim Thaci, quaranta anni. E’ nato a Drenica, un centro della resistenza albanese contro la Serbia. Condannato nel ’93 e nel ’97 con l’accusa di terrorismo è arrivato ad ottenere l’appoggio degli Usa e, in particolare, del Sottosegretario Madeleine Albright, che nel ’99 lo consacrò leader del Kosovo. Ora conta di ricevere, a stretto giro di posta, il placet di Washington e Bruxelles per quella che definisce come la “soluzione definitiva”. Ed è certo che anche l’Italia (il cui governo, nel 1998, approvò i bombardamenti della Nato contro la Jugoslavia) si affretterà a riconoscere la nuova realtà kosovara. In proposito, Thaci si vanta di aver ricevuto assicurazioni in merito durante una sua missione a Roma.


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