di Alessandro Iacuelli

Non è piaciuta a molti la sessione di lavoro del Parlamento europeo a Straburgo della scorsa settimana, visto che è terminata con una risoluzione pro nucleare approvata in aula. Non è di sicuro una direttiva che impone l'espansione nucleare in Europa, si tratta infatti solo di un rapporto d'intenti, per ora senza conseguenze operative, ma è bastato a far suonare molti campanelli d'allarme. Tanto per cominciare, è un voto che contrasta con i precedenti indirizzi operativi europei, che prevedono obbligatoriamente i tre 20% di riduzione: delle emissioni, di risparmio energetico e di fonti non rinnovabili. All'improvviso, arriva come un fulmine a ciel sereno la relazione sulle fonti e le tecnologie energetiche presentata da Herbert Reul, popolare tedesco, e approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo: 509 sì, 153 no e 30 astenuti, senza accogliere una serie di emendamenti dei Verdi. Secondo la relazione l'energia nucleare "è indispensabile per garantire a medio termine il carico di base in Europa". Il rilancio della "indispensabilità" del nucleare copre, per ora, operazioni di acquisizione di vecchie centrali dell'Est fatte da paesi ricchi con soldi europei, ma è un rapporto di intenti insidioso, oltre che un pericoloso precedente.

di Bianca Cerri

Nella base americana di Juffair, in Bahrein, la maggior parte degli ufficiali si augura che Clarence Jackson, il marinaio che il 22 ottobre scorso ha assassinato due colleghe prima di spararsi un colpo alla testa, muoia in modo che la storia possa essere archiviata. Jackson, che è stato trasferito in Germania a bordo di un aereo militare, è in condizioni molto critiche e i medici non hanno ancora sciolto la prognosi. Nel comunicato letto da Denise Garcia, portavoce della Marina Militare, si parla di gravi lesioni alle parti vitali del cervello, ma non sono stati forniti altri particolari. Garcia non ha spiegato se sia stata ritrovata l’arma del delitto, che nelle prime ore successive alla tragedia risultava scomparsa. E’ un particolare importante perché porterebbe all’ipotesi della presenza di una quarta persona ancora non identificata. Per il momento, tutto quello che si sa è che le due ragazze, che vivevano al quarto piano dell’edificio riservato al personale femminile, sono state uccise all’alba, mentre i militari appena svegli iniziavano a vestirsi. I colpi le hanno raggiunte all’improvviso, senza che avessero il tempo di cercare un riparo. Gli inservienti che stavano facendo le pulizie nel Freedom Souq, l’area ricreativa interna alla base che comprende un ristorante e i negozi, non hanno sentito nulla.

di Fabrizio Casari

Con il 45% dei voti, Cristina Fernandez in Kirchner, avvocato, 54 anni, è la nuova Presidente della Repubblica Argentina. La sua sfidante, la cristiano-liberale Elisa Carriò, si è fermata al 23% dei consensi, mentre il terzo candidato, l’ex ministro dell’economia Roberto Lavagna, non ha superato il 19% dei voti. E’ la prima volta che una donna viene eletta alla massima carica dello Stato, giacché Isabelita Peron assunse la guida del paese solo dopo la morte del marito, Juan Peròn. E’ la vittoria di Cristina, ma sotto diversi aspetti è la conferma del sostegno che gli argentini hanno voluto offrire al marito Presidente, che ha letteralmente riportato alla vita una nazione affondata sotto i colpi del monetarismo menemista. Ma d’altro canto, se è vero che l’operato di Nestor Kirchner ha determinato in grande misura la vittoria di Cristina, è altrettanto vero che in qualche modo Cristina succede a se stessa, dal momento che il Presidente uscente ha avuto in sua moglie il suo più fidato consigliere politico e d’immagine, un punto di riferimento fondamentale nella elaborazione delle scelte di politica estera ed interna, un filtro sapiente con il quale gli interlocutori dovevano relazionarsi. Cristina Kirchner è dunque la seconda Primera dama (l'altra é Michelle Bachelet, Presidente cilena) che la nuova America Latina proietta su un continente pure definito – non a caso – la patria del machismo, a conferma ulteriore che le nuove democrazie latinoamericane sanno lasciarsi alle spalle, oltre che i vincoli suicidi con il “Washington consensus”, anche i retaggi dell'idiosincrasìa.

di Eugenio Roscini Vitali

Fino a qualche giorno fa la via diplomatica auspicata da Washington per risolvere la crisi che coinvolge la Turchia e l’Esercito dei lavoratori curdi (Pkk) sembrava essere ancora percorribile, ma da dopo il raid turco del 24 ottobre la situazione appare ormai definitivamente compromessa. Ora che il ghiaccio è rotto, Ankara potrebbe decidere di dare il via ad una vasta operazione militare per chiudere definitivamente in capitolo del separatismo; un’operazione che destabilizzerebbe l’intera regione e che metterebbe fine, almeno per il momento, alla speranze curde di nazione, sovrana e indipendente; una campagna che potrebbe durare diversi anni e il cui esito non è del tutto scontato. Il raid turco che ha preso il via il 21 ottobre, è la risposta ai recenti attacchi subite da parte dei miliziani (peshmerga) curdi che operano a ridosso del confine con l’Anatolia. Ankara, che ha promesso di non escludere la via diplomatica per chiudere “la questione curda”, ha deciso di attaccare nonostante le forti pressioni del Segretario di Stato americano Condoleezza Rice, la quale aveva chiesto alcune settimane di tempo per cercare di convincere i combattenti del Pkk a deporre le armi e a rinunciare alla lotta armata.

di Carlo Benedetti

Nuove e dure pagine di guerra “diplomatica” tra Russia ed Usa. Con Putin che da Mafra, in Portogallo - dove si svolge il vertice Ue-Russia - sferra un nuovo attacco all’America di Bush richiamando alla memoria collettiva significative pagine di storia. Tutto questo sta a significare che tra Mosca e Washington la guerra fredda - che ha registrato negli ultimi mesi una serie di atti militari estremamente gravi, caratterizzati dallo scudo spaziale americano e dai voli preventivi dei caccia russi - entra ora in una fase di glaciazione epocale. Perché mentre Bush, impantanato in Iraq e preoccupato per la situazione turco-curda, cerca di glissare sul tema del rapporto con il Cremlino, Putin alza il tiro. Annuncia un orizzonte di trasformazioni e, partendo da una metafora di carattere storico, getta una luce sinistra sulle relazioni bilaterali. Il riferimento del Presidente russo è ad una data del passato che gli storici si affrettano ad esaminare per verificare se esistono o meno paragoni validi. Tornano così nel lessico politico del Cremlino avvenimenti relativi all’ottobre-novembre del 1962 quando scoppiò quella “crisi dei missili” che vide uomini come Kennedy e Krusciov affilare le armi sotto l’incalzante successione degli eventi.


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