di mazzetta

Uno degli slogan portanti della War on Terror americana diceva che l’azione militare statunitense era volta a “portare la democrazia” in Medio Oriente. Pur concedendo che si trattasse di uno slogan vuoto ed ipocrita, più che altro mera propaganda, colpisce quanto poco gli USA abbiano ottenuto in questo senso dagli alleati nell’area. In Egitto, nominalmente una democrazia, Mubarak ha varato riforme costituzionali antidemocratiche volte ad assicurare la successione al ruolo di primo ministro di suo figlio Gamal. Riforme annunciate al lunedì è confermate con un referendum costituzionale la settimana successiva; un referendum nel quale hanno votato soltanto i fedelissimi del partito di Mubarak, visto che le altre forze politiche si erano rifiutate di prendere parte ad una farsa del genere. Nessuna cancelleria occidentale, e ancora meno il Dipartimento di Stato americano, hanno avuto nulla da eccepire. Anche in Italia poco interesse, i “democratici” dormivano. I governi regolarmente eletti di Libano e Palestina (gli unici due paesi musulmani con elezioni veramente free & fair dell’area) hanno fatto una brutta fine; all’avanzare di Hezbollah in Libano ha risposto un’invasione israeliana, all’affermazione di Hamas in Palestina ha risposto un golpe di Fatah, realizzato grazie alle armi fornite da Egitto e Giordania e all’aiuto logistico di Israele.

di Agnese Licata

Si annuncia una settimana di fuoco, quella che per la Francia di Nicolas Sarkozy inizierà stasera. Con la paura che uno sciopero contro la riforma del sistema pensionistico si trasformi in una contestazione ben più ampia al governo. Che i lavoratori del settore ferroviario e di quello energetico sarebbero arrivati alla seconda protesta in meno di un mese, è stato chiaro domenica scorsa, quando il presidente francese e il premier Françcois Fillon si sono mostrati intransigenti alle richieste dei sindacati. In ballo, l’abolizione del regime pensionistico speciale di cui godono in particolare queste categorie di operai. Se dovesse passare la proposta del governo, la loro posizione verrebbe equiparata a quella degli altri dipendenti pubblici: per godere di una pensione completa, dovrebbero maturare 40 anni di contributi, e non 37,5, come finora. Un cambiamento che riguarderebbe un milione e mezzo di persone. “I sindacati sanno che lo status quo non è più possibile”, ha replicato il primo ministro Fillon dalle pagine de Le Journal du Dimanche.

di Carlo Benedetti

Nell’Estremo oriente russo sono già presenti in massa. Lavorano nei campi e nei boschi. Trafficano nei mercati di Kabarovsk e di Vladivostock. Hanno invaso città come Irkutsk, Omsk, Tjumen, Tobolsk, Ulan Udè, Novosibirsk. Sono i cinesi che approfittano delle buone relazioni tra Pechino e Mosca per cercare il loro “posto al sole” nelle sconfinate lande siberiane. Ma ora puntano sulla capitale scegliendo le rive della Moscova come obiettivo finale della loro penetrazione silenziosa e pacifica. Ed eccoli accanto al Cremlino. Sono già in 500.000 secondo i dati ufficiali. Di loro un 40% lavorano nei mercati (in quello di Cerkisovo le loro bancarelle offrono bigiotteria classica con un giro di 15milioni di dollari l’anno), un 20% operano nel settore dei servizi (ristoranti e negozi). Tutti gli altri sfuggono ai pur severi controlli di polizia e sono, per lo più, collegati al mondo criminale. Quanto alle condizioni di vita gli organismi della Mosca ufficiale non riescono a dare risposte precise. I cinesi vivono in zone “grigie” e sfuggono ad ogni controllo: si nascondono e, di volta in volta, scompaiono. Vivono comunque in pessime condizioni: in 10-15 in una stanza di quei “casermoni” della più lontana periferia. Si sa che lavorano 12-13 ore al giorno e che a fine mese portano a casa circa 300 dollari. E più della metà li spediscono in patria… Ora però scatta una grande operazione che è destinata, in parte, a portare “il problema cinese” entro una certa normalità.

di Daniele John Angrisani

E così gli Stati Uniti d'America hanno avuto il loro 81esimo Segretario alla Giustizia. Stiamo parlando di Michael Bernard Mukasey, da poco confermato alla carica con 53 voti favorevoli e 40 contrari dal Senato americano. Una conferma che, nonostante le premesse favorevoli - era stato infatti nominato da Bush come successore dell'odiato Gonzales, proprio in segno di pace nei confronti dei democratici che avevano minacciato battaglia - è stata tutt'altro che semplice. Per un semplice motivo: durante l'audizione al Senato, Mukasey non è stato in grado di dare una risposta definitiva al quesito riguardante l'ammissibilità di tecniche di interrogatorio "rafforzate", quale il cosiddetto “waterboarding”, ovvero la tecnica che prevede di infilare sulla faccia di un prigioniero un panno bagnato in modo da simulare la sua morte per annegamento. Una tecnica che secondo qualsiasi manuale viene considerata come tortura, ma non evidentemente dai tecnici del ministero della Giustizia americano, che anzi avevano fatto di tutto, ai tempi di Gonzales e prima ancora di Aschcroft, per ridefinire il concetto di tortura, escludendo pratiche come questa, applicata diverse volte nell'ambito della guerra al terrorismo.

di Eugenio Roscini Vitali

A cinque giorni dal push Pervez Musharraf è tornato di fronte alle telecamere e a sorpresa ha annunciato che le prossime elezioni parlamentari si terranno entro febbraio, aggiungendo che prima dell’investitura a Capo dello Stato lascerà il comando delle Forze Armate e la carriera militare. Il risultato della consultazione indiretta del 6 ottobre scorso, con la quale Musharraf si è assicurato un nuovo mandato presidenziale, non è ancora stato ufficializzato proprio a causa di un dubbio di costituzionalità sulla doppia carica di presidente della Repubblica e Capo delle Forze Armate. Sostituendo i giudici indipendenti della Corte Suprema con personaggi a lui fedeli, Musharraf si è però assicurato un verdetto favorevole; perché allora ha annunciato l’intenzione di lasciare il controllo dell’esercito? Lo stato di emergenza imposto il 3 novembre scorso dimostra che anche in questa occasione il presidente pakistane vuole gestire la situazione con il pugno di ferro. L’istituzione di una potenziale legge marziale, mascherata con l’auto-proclamazione a capo dello Stato esecutivo, e la contestuale sospensione della Costituzione in vigore dal 1973 sono state giustificate con l’impellente necessità di difendere la sicurezza nazionale dal terrorismo e l’infiltrazione talebana nelle regioni tribali nord occidentali; un espediente già usato altre volte per tenere sotto scacco le opposizioni ed evitare possibili rovesciamenti di regime.


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