di Bianca Cerri

E’ ora di pranzo nella sterminata baraccopoli di Haiti e gli abitanti cercano di placare i morsi della fame con il fango raccolto nella strada. Con l’aumento dei prezzi dei generi alimentari non possono più procurarsi nemmeno il pane. Di fango invece ce n’è in abbondanza e per chi non possiede nulla non esiste altra risorsa per sopravvivere. Solo i neonati non hanno problemi finché c’è il latte delle madri a nutrirli ma il latte delle donne finisce presto se anche loro non mangiano che fango. Il prezzo della farina è aumentato in tutto il mondo a causa del crescere del prezzo del petrolio, che è necessario per arare e fertilizzare i campi dove cresce il grano. Il problema riguarda gran parte dei paesi del mondo. Ma Haiti è un’isola contro cui la natura si accanisce spesso con particolare violenza e la povertà è inimmaginabile. La vita dei suoi abitanti dipende in tutto e per tutto dalle importazioni. Le merci che arrivano sono ogni volta più care, troppo per la gente di La Saline e di Sun City. Allora non resta che il fango, che costa solo 5 centesimi al chilo, l’equivalente di cento gallette.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Mentre si avvicina il 2 marzo - con una sorta di count-down più americano che russo - cominciano a Mosca le previsioni sulla transizione. E si rileva che con la gestione di Putin erano stati in molti a parlare di un “Back in the Ussr” individuando, nelle svolte illiberali di un Cremlino blindato, una Russia che andava sempre più staccandosi dalle democrazie europee scegliendo modelli di stampo cinese. Ma ora, con l’arrivo di Medvedev, molte analisi vengono riviste. Si cerca di prevedere l’attività della nuova presidenza tenendo conto del “carattere” del nuovo inquilino che dovrà barcamenarsi tra genuini consensi ed autoritarie forzature. Si sostiene, in ambienti della dirigenza economica dell’intero paese, che sono necessari un processo di controllo dei mercati e un intervento stabilizzatore della spesa pubblica. Tutto questo perchè dietro una certa anarchia del mercato si profila l’ombra di conflitti che non possono essere ignorati.

di Eugenio Roscini Vitali

Non è ancora passata una settimana dal giorno del voto e dal Pakistan è arrivata la prima grande novità: i due partiti di opposizione che hanno vinto le elezioni del 18 febbraio scorso hanno siglato un’alleanza che prevede un’agenda comune per formare un governo, sia a livello nazionale che locale. Secondo la Commissione elettorale, il Partito popolare pakistano (Ppp) della scomparsa Benazir Bhutto, oggi guidato dal figlio Bilawal e dal marito Asif Ali Zardari, ha ottenuto 88 seggi mentre e Lega musulmana pakistana dell’ex premier Nawaz Sharif (Plm-N) ne ha conquistati 66; alla Lega musulmana pakistana pro-Musharraf (Plm-Q) sarebbero invece andati 38 seggi. Di fatto l’accordo taglia fuori il presidente che ora si ritrova a fare i conti con un vecchio nemico: fu proprio lui che nell’ottobre del 1999 rovesciò il governo presieduto dall’allora Primo Ministro Sharif che per evitare la condanna all’ergastolo fu costretto ad un esilio durato fino al 10 settembre del 2007, giorno in cui è rientrato nel Paese grazie all’annullamento della pena da parte della Corte di giustizia pakistana.

di Michele Paris

Mentre la corsa verso la nomination nel Partito Democratico prosegue nell’incertezza, i giochi tra i Repubblicani sono da tempo risolti, di fatto almeno dall’esito delle primarie del Supermartedì, con il 71enne John McCain in nettissimo vantaggio sull’ex Governatore dell’Arkansas Mike Huckabee, comunque ben deciso a non mollare fino a quando il front-runner del suo Partito non avrà raccolto ufficialmente i 1.191 delegati necessari. Ma il ribelle Senatore dell’Arizona, messo sotto accusa in questi giorni da un articolo del New York Times che ha rivelato presunti favori erogati ad una “lobbysta” con la quale aveva una relazione extra-coniugale, è ancora ben lontano dall’aver spento i malumori suscitati dalla sua candidatura nell’ala conservatrice del “G.O.P. Party”, il cui appoggio sarà fondamentale per un cammino verso la Casa Bianca che si presenta per lui tutto in salita. Già costretto a destreggiarsi con cautela tra ammiccamenti verso i neocon e la consistente fetta di elettori indipendenti e democratici moderati, tentati da alcune sue prese di posizione liberal, McCain si trova ora a dover gestire con prudenza anche la delicata questione dell’appoggio ufficiale che ha ricevuto qualche giorno fa dal Presidente uscente George W. Bush, crollato nell’indice di popolarità nel paese ma ancora piuttosto apprezzato dall’ala destra del Partito Repubblicano.

di Giuseppe Zaccagni

Parte dei Balcani l’effetto domino. E l’enclave del Nagorno-Karabach situata all'interno dell'Azerbagian - che si considera armena, a maggioranza cristiana, e che dal 1991 si è auto-proclamata indipendente - apre di nuovo il contenzioso con Baku. Questa volta alza il tiro cogliendo il pretesto della situazione del Kosovo ed approfittando anche delle elezioni presidenziali dei giorni scorsi che hanno registrato la vittoria del premier Serge Sarkisian (52,86%) lasciando al secondo posto con il 21,5% Levon Ter-Petrosian, primo presidente dell'Armenia indipendente post-sovietica diventato bandiera dell'opposizione e al terzo posto Arthur Bagdasarian con il 16,6%, ex presidente del parlamento. Ma ora l’attenzione generale dell’intero Caucaso si concentrerà non tanto sulla lotta che seguirà ad Erevan per la formazione delle nuove strutture governative ed istituzionali, quanto sulla questione nodale del rapporto con l’Azerbagian - e precisamente sulla questione del Nagorno-Karabach. Perchè subito dopo i risultati delle presidenziali il ministro degli Esteri di Stepanakert (capitale del Nagorno-Karabach) Georgy Petrosyan, si è affrettato a dichiarare che l'indipendenza della regione balcanica del Kosovo dimostra che una regione separatista può agire anche contro la volontà dello stato dal quale vuole essere indipendente.


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