di mazzetta

Desta sconcerto il recente insorgere dei tibetani, ma ancora di più desta sconcerto come è stato accolto in Occidente e nel nostro paese in particolare. Quando si arriva alla politica estera la maggior parte dei nostri commentatori e politici affronta il tema schierandosi semplicemente lungo evidenti linee che hanno a che fare più con la tifoseria che con il giudizio. Anche nel caso della rivolta tibetana si ricade nel desolante deja-vu della propaganda, in questo caso anti-cinese. Si parla di stragi, di genocidio, ma non si sono visti morti fino ad ora; non si sono visti per causa della censura cinese, o non si sono visti perché non c'erano morti da mostrare? Poco importa, per l'Occidente la verità risiede dalle parti di Radio Free Tibet (costituita e finanziata dai servizi americani) e nelle voci degli artisti che da Hollywood si battono per la causa tibetana. Causa peraltro già persa, visto che il Tibet è riconosciuto parte integrante della Cina da tutti i paesi del mondo. Il caso quindi tratta di una ribellione interna sostenuta dal cosiddetto “mondo libero” contro l'oppressore “comunista”, almeno a sentire chi cavalca la tigre in questi giorni.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Dopo la celebrazione elettorale del 2 scorso, Medvedev pensa di essere il nuovo Presidente e Putin, dal canto suo, si esibisce nel ruolo di ex, pur sentendosi alla pari. Intanto la stampa si dedica al tradizionale dopo-voto mostrando più intelligenza e vitalità. Perchè l’atmosfera, oltre il perimetro del Cremlino, è più distesa dal momento che i grandi giochi sono stati già fatti e c’è spazio per ipotesi ed analisi che non turbano il vertice. Nessun shock ed ampi dibattiti socioeconomici. Con i titoli dei grandi media che rivelano le novità. E così l’attuale situazione politico-istituzionale viene definita (in russo, dalla rivista “Kommersant”) come una “Tandemocratia” e cioè una democrazia che corre con un tandem. Ma nello stesso tempo nelle pagine di questa pubblicazione compare un titolo in inglese: “Who is mister Medvedev?”. E segue poi una sequela di immagini che hanno come obiettivo quello di caratterizzare il “credo” dei due: stesso tipo di saluto con la mano destra tesa, stesse immagini tra i militari, stesso sguardo verso l’alto e, infine, stesso Dio perchè entrambi sono ripresi in chiesa ad accendere candeline. Poi il paragone con Krusciov che nel 1956 si rivolse all’occidente dicendo (in senso figurato) “vi seppelliremo” ed ora il nuovo capo del Cremlino che corregge con un “vi compreremo”. Seguono titoli sul fatto che la politica - che dominerà il Paese - sarà una riedizione di un passato visto allo specchio.

di Elena Ferrara

Cento morti per l'opposizione, "solo" dieci per i cinesi. Quali che siano le cifre della rivolta e della repressione, soffia ormai il vento del boicottaggio sulle Olimpiadi 2008 che si terranno a Pechino a partire dall’8 agosto. L’occasione per avviare una campagna anticinese viene dal Tibet dove i monaci di Lhasa scendono in piazza dando vita a manifestazioni contro il governo e contro il Partito Comunista. Le rivendicazioni sono quelle di sempre: autonomia totale dalla Cina, formazione di una repubblica autonoma basata sull’autorità del settanduenne Dalai Lama. Le autorità locali rispondono sostenendo che i disordini sono orchestrati dalla “cricca del leader spirituale Dalai Lama”. Ma si tratta di accuse che un portavoce del governo tibetano in esilio in India definisce “totalmente infondate”. E mentre infuriano le polemiche a livello diplomatico, si registrano sul campo del Tibet nuovi scontri con morti e feriti. La repressione è dura e l’informazione è lasciata agli inviati e ai corrispondenti dell’emittente della Cia - Radio Free Asia - da sempre impegnati nelle regioni tibetane e al lavoro nei vari monasteri. Si sta giocando, quindi, una grossa partita perchè l’occasione delle Olimpiadi fornisce un’ottima cassa di risonanza per quei tibetani che non hanno mai accettato il potere cinese.

di Giuseppe Zaccagni

Il Vaticano avvia il restyling dell’informazione. Partono siti Internet benedetti dal Papa; si rivedono gli imprimatur ai cataloghi delle case editrici fedeli al Vaticano; si ristrutturano i programmi di propaganda religiosa, via etere, per tutto il mondo. E subito “L’Osservatore romano” - pur restando fedele a quel suo motto latino “Unicuique suum. Non praevalebunt” - si allinea e annuncia l’arrivo di un nuovo direttore, Giovanni Maria Vian, che impone la svolta editoriale richiesta dal capo del Vaticano. Vian - nato nel 1952 - ha un curriculum di tutto rispetto. Insegna dal 1991 Filologia patristica all'università di Roma “La Sapienza”. Dal 1999 è membro del Pontificio comitato di scienze storiche. Dal 1976 collabora con l'Istituto della Enciclopedia Italiana, dove ha curato il settore religioni della “Piccola Treccani”. Ha studiato l'interpretazione della Bibbia nel giudaismo e nel cristianesimo antichi, il giudaismo ellenistico, l'arianesimo latino, il problema della santità e dei simboli nel cattolicesimo tra Ottocento e Novecento, il papato in età contemporanea. Ha pubblicato una settantina di studi. Ma ora è noto per aver appoggiato le proposte di Giuliano Ferrara per una moratoria sull’aborto e per aver ribadito, con una intervista a Il Giornale, di essere per il rifiuto dell’aborto e dell’eutanasia, per la promozione della famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra uomo e donna, per la tutela della vita fin dal concepimento.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Le forze militariste dell’occidente definiscono l’appuntamento come “la primavera della Nato”. Una “nuova” stagione che dovrebbe iniziare il 2 aprile prossimo quando nella capitale romena, Bucarest, si svolgerà - come annuncia il segretario generale dell’Alleanza, Jaap de Hoop Scheffer - “il più grande summit mai realizzato”. Sarà una prova di forza che vedrà la presenza dei 26 stati membri dell’organizzazione, ma con una partecipazione nettamente superiore a quella dei vertici precedenti. Ci saranno oltre 6.500 invitati e 3.500 giornalisti. Attesi 48 capi di stato e di governo tra cui il presidente americano George W.Bush. Viene avanti, in questo ambito, anche l’ipotesi di una presenza del presidente russo Putin. Che chiuderebbe così il periodo della sua gestione del Cremlino manifestando una certa attenzione agli ambienti atlantici che bussano già alle porte del suo successore. Bucarest quindi attende anche l’ospite russo ben sapendo che le relazioni con Mosca non possono certo dirsi distese.


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