di Eugenio Roscini Vitali

Non è ancora passata una settimana dal giorno del voto e dal Pakistan è arrivata la prima grande novità: i due partiti di opposizione che hanno vinto le elezioni del 18 febbraio scorso hanno siglato un’alleanza che prevede un’agenda comune per formare un governo, sia a livello nazionale che locale. Secondo la Commissione elettorale, il Partito popolare pakistano (Ppp) della scomparsa Benazir Bhutto, oggi guidato dal figlio Bilawal e dal marito Asif Ali Zardari, ha ottenuto 88 seggi mentre e Lega musulmana pakistana dell’ex premier Nawaz Sharif (Plm-N) ne ha conquistati 66; alla Lega musulmana pakistana pro-Musharraf (Plm-Q) sarebbero invece andati 38 seggi. Di fatto l’accordo taglia fuori il presidente che ora si ritrova a fare i conti con un vecchio nemico: fu proprio lui che nell’ottobre del 1999 rovesciò il governo presieduto dall’allora Primo Ministro Sharif che per evitare la condanna all’ergastolo fu costretto ad un esilio durato fino al 10 settembre del 2007, giorno in cui è rientrato nel Paese grazie all’annullamento della pena da parte della Corte di giustizia pakistana. Queste elezioni, che in pratica hanno cambiato gli equilibri politici del Paese, hanno segnato, anche se in modo diverso, il futuro più prossimo di altre due formazioni: il Muttahida Majlis-e-Amal (Mm-a), compagine legata ai partiti e ai movimenti islamici, e il Partito nazionale awami (Anp), rappresentanza politica delle popolazioni Pashtun. Nonostante nelle Aree tribali di amministrazione federale e nella Provincia di frontiera nord-occidentali fosse dato per favorito, questa volta il Muttahida Majlis-e-Amal ha fallito ogni obbiettivo, passando dai 63 seggi ottenuti nel 2002 ai tre di quest’anno.

Discorso inverso per il Partito nazionale awami che, malgrado i sanguinosi attacchi subiti dagli estremisti durante la campagna elettorale, è riuscito a portare in parlamento 10 deputati; un risultato sorprendente se si considera che è stato ottenuto nella roccaforte di al-Qaida e dei Talebani.

Oltre che per l’Assemblea nazionale, il 18 febbraio 2008 i pakistani sono stati chiamati a votare anche per il rinnovo dei parlamenti provinciali. Pur avendo un peso politico diverso per numero di seggi a disposizione, i quattro maggiori partiti si sono divisi la posta: al Partito popolare pakistano è andata la provincia di Sindh, la più meridionale delle province e la seconda come popolazione; la Lega musulmana pakistana di Nawaz Sharif ha vinto in Punjabl; il Partito nazionale awami si è aggiudicato la maggioranza dei seggi nella Provincia di frontiera nord-occidentale; la Lega musulmana pakistana pro-Musharraf ha retto nella provincia del Baluchistan, la più vasta. A livello nazionale quasi tutti i ministri del precedente gabinetto non sono stati rieletti e in molte circoscrizioni, soprattutto in Punjabl, la Plm-Q è praticamente scomparsa.

Dalle prime dichiarazioni gli osservatori internazionali sembrano soddisfatti del modo in cui sono state condotte le operazioni di voto e, così come i media locali e internazionali, parlano di elezioni tutto sommato regolari. Anche la tanto temuta ondata di violenza è risultata meno sanguinosa del previsto. Grazie agli oltre 500mila soldati ed agenti di polizia che garantito l’ordine, alla fine della giornata si sono contati 18 morti e circa 150 feriti, vittime di sporadici disordini o attacchi terroristici portati dai militanti islamici.

In molte aree del Paese si sono però registrati fenomeni di intolleranza e dissuasione che a livello nazionale hanno portato l’affluenza a poco più del 40%; mentre nella parte settentrionale del Punjab i votanti sono stati superiori al 60%, in Baluchistan non è stato raggiunto il 10%. Una tattica già usata in altre elezioni che secondo l’opposizione ha largamente favorito i candidati di Musharraf.

Primo obbiettivo della nuova coalizione di governo è il re-insediamento dei giudici della Corte suprema licenziati lo scorso anno da Musharraf, un passo essenziale per poter poi affrontare l’impeachment del presidente che nonostante la pesante sconfitta non sembra intenzionato a ritirarsi. Sharif ha annunciato che la questione sui giudici verrà rimessa al Parlamento, mentre per quanto riguarda la morte del leader dell'opposizione, Benazir Bhutto, assassinata lo scorso 27 dicembre, verrà aperta un'inchiesta internazionale presso le Nazioni Unite.

Affrontare l’argomento Musharraf non è comunque semplice: l’attuale coalizione di governo ha ottenuto 154 seggi sui 268 disponibili e il Partito popolare sembra intenzionato a sostenere una battaglia istituzionale contro il presidente solo se vengono raggiunti i due terzi del parlamento. Un target da raggiungere in fretta prima che Musharraf riesca ancora una volta a cambiare le carte in tavola.

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