di Carlo Benedetti

MOSCA. Mentre si avvicina il 2 marzo - con una sorta di count-down più americano che russo - cominciano a Mosca le previsioni sulla transizione. E si rileva che con la gestione di Putin erano stati in molti a parlare di un “Back in the Ussr” individuando, nelle svolte illiberali di un Cremlino blindato, una Russia che andava sempre più staccandosi dalle democrazie europee scegliendo modelli di stampo cinese. Ma ora, con l’arrivo di Medvedev, molte analisi vengono riviste. Si cerca di prevedere l’attività della nuova presidenza tenendo conto del “carattere” del nuovo inquilino che dovrà barcamenarsi tra genuini consensi ed autoritarie forzature. Si sostiene, in ambienti della dirigenza economica dell’intero paese, che sono necessari un processo di controllo dei mercati e un intervento stabilizzatore della spesa pubblica. Tutto questo perchè dietro una certa anarchia del mercato si profila l’ombra di conflitti che non possono essere ignorati. E così l’attenzione della business community internazionale torna a concentrarsi sul Medvedev conosciuto nel febbraio del 2007 al vertice di Davos. In quella occasione il giovane presidente del colosso energetico “Gazprom” visse un suo periodo di grazia. Fu accolto con un sincero benvenuto grazie alle dichiarazioni a favore dell’economia di mercato e degli investimenti stranieri in Russia. Il mondo del capitalismo individuò in lui non soltanto garanzie di autorevolezza, ma anche di qualità. E furono in molti, allora, a gettare uno sguardo di benevolenza sul futuro della Russia vedendo nell’esponente venuto da Mosca un economista di tendenze relativamente liberali, un moderato con forti venature pro-occidentali.

E fu proprio Medvedev a ricordare ai capitalisti (che lo ascoltavano attoniti) che il “capitalismo di stato” non era una scelta strategica della nuova Russia. Pratiche del genere - disse - hanno caratterizzato la storia dell’economia nazionale. Ma ora “l’obiettivo consiste nel ridurre il ruolo dello stato nell’economia, appena i settori più statalizzati dimostreranno di potersi reggere sulle loro gambe. Allora creeremo le condizioni necessarie per consentirgli di lavorare solo sulla base delle regole di mercato”. In quella seduta nella cittadina svizzera tra i potenti della terra, Medvedev rivelò anche un aspetto poco studiato della economia post-sovietica e cioè che si andava registrando sempre più un benessere senza sviluppo. Una strada pericolosa - disse allora - con una economia dipendente dall’export di materie prime e quindi dai prezzi del mercato del petrolio e del gas.

Ma le carte con l’andare del tempo e con l’arrivo di nuove situazioni economiche si sono mischiate. E pur se dare un senso a queste congerie di eventi nebulosi è quasi impossibile, bisogna pur tentare una serie di prime analisi e previsioni. Si scopre, ad esempio, che Medvedev - preoccupato del dominio delle multinazionali - sta cercando di apportare una serie di correzioni ai piani economici della Russia di questi anni avviando una sorta di “sistema armonico” tra mercato libero e mercato statale. Ed è per questo che le aree di sviluppo previste si focalizzano su istituzioni, infrastrutture, innovazioni e investimenti.

In questo contesto di revisione generale si staglia subito il gigante “Gazprom”, sistema-piovra che domina la vita della Russia dettando le sue leggi in tutti i settori della vita locale. Qui si è in presenza della più grande compagnia russa che raggiunge vette da 40 miliardi di dollari quanto a vendite. Nei suoi sistemi produttivi e distributivi passa il 93% della produzione russa di gas naturale, mentre le riserve ammontano a 28.800 km³. Il “Gazprom” controlla così il 16% delle riserve mondiali di gas.

La società, dopo l'acquisizione della compagnia petrolifera “Sibneft”, si pone subito dopo l’Arabia Saudita, con 263 miliardi di barili, come il maggior possessore mondiale di petrolio e petrolio equivalente in gas naturale. Ma il “Gazprom” non è solo energetica. Poiché oltre alle sue riserve di gas ed alla rete di condutture più lunga al mondo - con i suoi 150.000 km. - controlla anche società bancarie, di assicurazioni, mediatiche, di costruzioni ed agricole.

Alla guida di questa piovra ci sono stati personaggi come Cernomyrdin, Vyakhirev, Medvedev ed ora Aleksei Borisovic Miller (1962) un economista che a San Pietroburgo - ai tempi dell’attività di Putin - si occupava del business turistico. Poi, dopo aver occupato posti di direzione in varie istituzioni, è stato nominato vice ministro dell’Energetica e nel 2001 è divenuto presidente del “Gazprom”.

Oggi nel piano generale di Medvedev entrano anche altre piovre minori che dovrebbero contribuire ad affermare la linea di una nuova supremazia dei settori di controllo statale. In questo campo si evidenzia l’ente “Rostechnology”, un grande complesso produttivo diretto da un personaggio che si staglia nell’orizzonte della vita economica della nuova Russia. E’ Sergej Viktorovic Chemezov (1952), che operò a Dresda come esperto in alcuni settori strategici dell’import-export russo proprio nel periodo in cui Putin svolgeva, nella città tedesca, la sua attività di agente del Kgb.

Chemezov in particolare segue ora quattro colossi come la “Rosoboronoexport” che è l’agenzia per il commercio degli armamenti; la società automobilistica “Avtovaz”; il colosso dell’industria del titanio “Avisma” e la “Rosspetstal” che riunisce il settore delle acciaierie. Altro manager di spicco dell’era Medvedev dovrebbe essere Sergej Vladilenovic Kirienko (1962). Un nome già noto: occupò per un breve periodo di tempo il posto di primo ministro. Ora è alla testa del “Rosatom”, il complesso produttivo di riferimento delle industrie del settore dell’energia nucleare.

Ruolo di rilievo anche quello riservato a Leonid Borisovic Melamed (1961), un economista che si è impegnato nei settori energetici e che oggi si trova a dirigere un complesso di istituti di ricerca sulle nanotecnologie. L’industria cantieristica del futuro è poi affidata a Yurij Fedorovic Yarov (1942) un ingegnere chimico che, nel passato, fu strettamente collegato alla cordata di Eltsin.

E’ con queste forze e con questi quadri che Medvedev si affaccia ora sulla scena del paese. Cercherà di dimostrare che lo stato russo non è stato corrotto dalla forza degli oligarchi e che molte ricchezze del Paese stanno tornando nel territorio del Cremlino. Ma che, allo stesso tempo, non ci sarà nessuna ideologia ostile al capitalismo. La formula dovrebbe essere quella di un capitalismo di stato. Con Putin garante della transizione e sempre pronto a proclamare, correggendo Luigi XV, sans moi le deluge.

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