di Fabio Bartolini

Dal 27 ottobre 2007 nella città di Sirte, in Libia, sono riuniti i rappresentanti del governo sudanese e dei gruppi ribelli per una Conferenza sul Darfur. Sotto la supervisione degli inviati dell’ONU, la conferenza, concepita per mettere a confronto le diverse parti coinvolte nello scontro e approvare una tabella di marcia per il lungo processo di pace, ha visto la partecipazione del governo sudanese con una delegazione diretta da Nafie Ali Nafie - da sempre stretto collaboratore del presidente del Sudan Omar al Beshir – e di gruppi ribelli minori. Ospite d’eccezione – quanto interessato - il leader libico Moammar Gheddafi, in veste di mediatore oltre che di anfitrione. I temi principali dell’incontro, secondo le parole dell’inviato dell’ONU Jan Eliasson, sono fondamentalmente tre: stabilire un immediato cessate il fuoco, programmare il rientro dei profughi nei loro villaggi; progettare un risarcimento per le vittime. I lavori si protrarranno per altre due settimane, al termine delle quali tutti si dicono fiduciosi sul raggiungimento di accordi non unilaterali. Obiettivo comunque non semplice da perseguire, giacché la conferenza - che rappresenta la fase finale dei negoziati in corso da mesi – vede con preoccupazione la non partecipazione dei maggiori gruppi di ribelli: il Movimento di liberazione del Sudan e il Movimento per la giustizia e l'eguaglianza.

di Bianca Cerri

Anche quest’anno, negli Stati Uniti, lo struggente color giallo-oro tipico del mese di ottobre è stato sostituito dal rosa di “Race for the Cure”, la maratona-simbolo della lotta ai tumori del seno che la fondazione Komen organizza da ventiquattro anni. Quest’anno, 110 città americane hanno ospitato la manifestazione permettendo alla fondazione di raccogliere donazioni maestose, grazie anche ai mille volontari che hanno generosamente prestato la propria opera. Komen Foundation nacque in sordina nel 1983, per volere di Nancy Brinken, una donna che aveva perso da poco una sorella uccisa da un tumore al seno. Da allora, molte cose sono cambiate e Brinken vanta attualmente strettissimi legami con le grandi industrie e il mondo politico. Grazie a “Race for the Cure” la sua immagine appare spesso sulle copertine delle più importanti riviste americane e il 14 ottobre scorso George Bush le ha affidato l’incarico di capo cerimoniere alla Casa Bianca. La nomina è stata festeggiata in uno dei grandi saloni della residenza presidenziale, che per l’occasione era stato addobbato con centinaia di fiori nella stessa identica tonalità dei gadgets della Komen Foundation. Si tratta di abiti, tazze da thè e altre chincaglierie creati da stilisti e designers di grido appositamente per la fondazione, alla quale andrà parte del ricavato delle vendite. Qualcuno ha definito questa produzione “l’industria del cancro al seno”, visto che, grosso modo, si parla di 140 aziende di fama internazionale che approfittano del mese dedicato alla lotta contro questa malattia per procurarsi un ritorno d’immagine.

di Alessandro Iacuelli

La stazione della metropolitana di Deák Ferenc tér è quella principale di tutta Budapest. E' lo snodo, il punto di intersezione ed anche la più estesa di tutte tre le linee sotterranee della capitale. La maggiore differenza tra la stazione come è oggi e come era nel 2000 sta nel numero di senzatetto che vi abitano. Nel 2000 non ce n'era nessuno, oggi si incontrano difficoltà a trovare un posto libero per un vecchio sacco a pelo. Sono persone, spesso pensionati, che non possono permettersi un alloggio, neanche un posto letto in un appartamento condiviso con altre persone. La capitale è anche circondata da boschi bellissimi, soprattutto seguendo il Danubio verso nord. Le statistiche ci dicono che diviene sempre più alto il numero di persone che vive in quei boschi, in capanne costruite alla meglio, perchè non possono più reggere i costi di un alloggio vero. E' il bilancio attuale del secondo mandato del governo Gyurcsány, l'uomo più ricco del Paese, che è anche leader della coalizione socialista guidata dal MSZP. E' il bilancio di un Paese che fa parte dell'Unione Europea e che anche quest'anno vede tutti gli indicatori economici e sociali con il segno meno davanti. L'inflazione è attorno all'8,3%, la crescita è nulla.

di Eugenio Roscini Vitali

L’amministrazione Bush ha chiesto un nuovo finanziamento, 46 miliardi di dollari, necessari a portare avanti la guerra in Iraq e in Afghanistan. Uno stanziamento di “emergenza” che si va ad aggiungere ai 150 miliardi di dollari già approvati per l’anno fiscale 2007. Un supplemento che, se accordato, porterebbe la spesa militare post “11 settembre” a 806 miliardi di dollari. A partire dalla Seconda Guerra Mondiale questa cifra non era mai stata raggiunta in nessun conflitto, un triste record che difficilmente potrà essere superato. Ma la cosa non finisce qui: il piano di investimento pubblicato dal “Congressional Budget Office” - l’agenzia americana di analisi politico-finanziaria che studia i bilanci e le proiezioni di spesa che devono essere approvate dal Congresso - prevede che entro il 2017 gli Stati Uniti dovrebbero sborsare, per le due missioni in Asia minore e per la lotta al terrorismo, qualcosa come 1.7 bilioni di dollari, cifre che non sembrano neanche reali e che potrebbe permettersi solo il buon vecchio Paperon de’ Paperoni.

di Giuseppe Zaccagni

Un’ondata di proteste sconvolge la Georgia e quella “Rivoluzione delle rose” - che gli americani - Casa Bianca, Cia, Pentagono - avevano organizzato e sostenuto con tutti i mezzi - si sta appassendo a gran velocità. Gli scontri nelle piazze ne sono la prova più lampante, con centinaia di migliaia di georgiani che attaccano il presidente Michail Saakasvili chiedendo le sue dimissioni immediate (accusandolo di abuso di potere e di cattiva gestione economica), elezioni anticipate e una riforma costituzionale che abolisca la carica di capo dello Stato. Il caos, intanto, regna in tutto il paese che conta 5 milioni di abitanti. Le manifestazioni più imponenti avvengono nella capitale Tbilisi, ma molte sono le notizie che si riferiscono ad analoghe azioni di protesta sia nelle oltre cinquanta province che in quelle repubbliche autonome da sempre in rotta con il potere centrale: Abchasija, Adzaria ed Ossezia del Sud. Situazione quindi più che mai a rischio, mentre si delinea all’orizzonte un vero e proprio pericolo di “guerra civile”. Il Paese - un assetto etnico a pelle di leopardo - sembra proprio giunto alla fase finale della resa dei conti. Escono dagli armadi della storia più recente i tanti scheletri di vicende politiche interne, tutte manovrate dalle forze d’oltreoceano che hanno sempre considerato la Georgia come un trampolino di lancio per sferrare l’attacco alla Russia e alla sua influenza nel Caucaso.


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