di Rosa Ana De Santis

Sequestravano per interrogare al riparo dalla legge. Picchiavano e chiedevano, torturavano e ridevano, uccidevano e se ne fregavano. Non era una operazione di polizia, non era la ricerca di criminali da assicurare alla giustizia. Volevano annientare una intera generazione per azzerare ogni possibile opposizione alle dittature militari di stampo fascista che insanguinarono lungo gli anni ’70 tutto il continente latinoamericano. L’attività criminale era denominata “Plan Condor”. Diretto dalla Central Intelligence Agency con l’autorizzazione della Casa Bianca, il Plan Condor consisteva nel coordinare operativamente le polizie segrete di Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay, Brasile, Perù e Bolivia, tenute sotto i talloni dei militari golpisti. Migliaia e migliaia di desaparecidos, decine di migliaia di torturati e sequestrati sono appunto stati gli “effetti collaterali” di questo piano che rimase segreto fino a pochi anni fa. E, tra i desaparecidos, figuravano persone di origini italiane, con i regimi democristiani di allora che ben si guardavano dal porre rimedio o anche solo di protestare per le operazioni segrete degli sbirri agli ordini delle giunte militari genocide. Ma il tempo in qualche modo rimette le cose al proprio posto, almeno in parte; se non per salvare le vite innocenti, almeno per perseguire alcuni dei colpevoli; se non per castigare, almeno per fare luce. E un po’ di luce sembra arrivare.

di George W. Bush

Caro Papà Natale, è George W. Bush che ti scrive, l’uomo più potente della terra ma molto affezionato alle vecchie tradizioni. Visto che le feste di fine anno si avvicinano, immagino tu stia già preparando il sacco con i doni da portare ai bambini. Io ho già fatto l’albero con gli addobbi natalizi alternando il nero della Blackwater alle sfere della Patriotshop, con l’omino di neve che sventola una bandiera americana. Ho anche preparato i regali per gli amici del Pentagono e di Israele. Tra missili terra-aria e bombardieri vari ho speso il classico occhio della testa, speriamo che servano almeno ad acchiappare un vero terrorista e non quei disgraziati di Guantanamo che finora mi hanno dato solo grattacapi. Ai marines ho regalato invece la bibbia con la copertina di alluminio, molto più resistente dei paperbacks che nelle zone di guerra sono poco indicati. Per renderla più bella, ci ho fatto incidere sopra la data dell’11 settembre, in modo che non dimentichino che l’America è sotto attacco e bisogna difenderla. E infine, ai ragazzi della CIA ho regalato un po’ di dischi da far ascoltare ai prigionieri per almeno ventiquattro ore continuate a tutto volume. Per la verità, loro avrebbero preferito farsi una week end in Europa come nel 2002 ma Cheney mi ha chiesto se non ero per caso diventato matto. Dobbiamo ancora finire di pagare il conto del Grand Melia di Palma di Majorca dove, con la scusa di rincorrere il Mullah Omar, sei uomini della CIA hanno pasteggiato a champagne per due settimane.

di Alessandro Iacuelli

La notizia appare come una vera novità, dal punto di vista storico: Russia e Corea del Sud hanno stretto un accordo per realizzare un sito comune per lo stoccaggio di Uranio. La novità sta nel fatto che fino alla caduta dell'URSS le due nazioni non si erano mai neanche riconosciute. E mai avevano avuto rapporti dipolomatici sulla scena internazionale. Nel documento firmato a Mosca, durante una riunione di un’apposita commissione intergovernativa russo-sudcoreana per la cooperazione economica, commerciale, scientifica e tecnica, si legge che "le parti opereranno per garantire la fornitura d'uranio russo e la prestazione di servizi nel settore del combustibile nucleare". In pratica la Russia, che ha da tempo allentato l'alleanza con quella dittatura nordcoreana che è diventata un problema anche per la Cina, sposta i suoi interessi geopolitici verso l'altra Corea e cerca di acquisire una posizione strategica in un Paese che ha tecnologia nucleare, anche militare, dotata di testate nucleari di costruzione americana e che, soprattutto, é strategica da un punto di vista strettamente geografico, a poca distanza dalle alle altre due grandi potenze asiatiche: Cina e Giappone.

di Giuseppe Zaccagni

Vecchi tempi quando il cronista che “spianava” le strade dell’Est a bordo della sua “Fiat-125- special” passava ore ed ore - a volte giorni - per superare le frontiere dell’Est, quelle “cortine di ferro” che segnavano il passaggio tra Est ed Ovest. Allora dominavano i controlli, con relativi elenchi in copia dei libri che avevi a bordo (autore, titolo, editore…), apertura di tutti i bagagli e, spesso, smontaggio dei sedili con relativi squarci nell’imbottitura a colpi di coltello... L’auto, poi, era issata su un ponte per un ulteriore e attento controllo. Poi il via, verso l’altra frontiera dove la “cerimonia” si ripeteva. Allora dalla Yugoslavia all’Ungheria, dall’Ungheria all’Urss. Oppure dall’Ungheria alla Romania, alla Bulgaria, alla Cecoslovacchia…. Ora addio a tutto questo. Pur se, con la perestrojka, le frontiere dell’Est avevano già perso quel “fascino” da chek point, con le garritte e i riflettori, con i poliziotti dotati di kalashnikov. Addio, quindi. L’Est chiude e rientra nella storia. E’ la vittoria di Schengen (la città del Lussemburgo dove nel 1985 fu siglato appunto il “Trattato” tra alcuni paesi della Comunità Europea e che ha visto poi l’adesione di altre nazioni) perché ora - tanto per riferirci all’Italia - non c'è più il confine con la Slovenia.

di Carlo Benedetti

E’ sempre una brutta notizia quando un giornale va a picco. Perché ora, a Mosca, c’è un punto e a capo per una testata che ha segnato molte pagine della recente storia sovietica: scompare dalle edicole il settimanale Moskovskie Novisti (Notizie di Mosca) che era stato il portavoce di quella “trojka” sovietica (Michail Gorbaciov, Aleksandr Jakovlev e Edvard Scevardnadze) che aveva partorito la perestrojka. In quei tempi - quando l’Urss era ancora in piedi pur se traballante - Moskovskie Novisti scagliava le sue parole contro la nomenklatura e contro le strutture del Pcus. Non accettava minimamente le soluzioni “sovietiche” e si poneva in contrapposizione a tutta la stampa di quei tempi divenendo una sorta di vero e proprio partito di opposizione. Alla testa aveva un giornalista come Egor Jakovlev che si era conquistato una certa fama negli ambienti del Comitato Centrale del Pcus per alcuni libri apologetici su Lenin. Poi, sotto l’influenza del suo omonimo (Aleksandr) Jakovlev aveva invertito la rotta approdando nell’entourage di Gorbaciov-Scevardnadze. E di qui la scalata. Con tutti gli appoggi possibili e immaginabili che venivano da un Cremlino che si avviava verso il processo di ristrutturazione e distruzione dell’Urss.


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