di Michele Paris

Con il 54% delle preferenze conquistate in Ohio, a fronte del 44% di Obama, e il 51% nelle primarie del Texas, contro il 47% del Senatore dell’Illinois, Hillary Rodham Clinton ha messo a segno martedì due vittorie fondamentali per la sua permanenza nella corsa alla nomination democratica per le presidenziali di novembre. Oltre ai due Stati più importanti di questa tornata elettorale, l’ex First Lady ha prevalso anche nel Rhode Island (58% a 40%), mentre Barack Obama ha avuto la meglio solo nel Vermont (60% a 38%) e nei caucuses del Texas (52% a 48%) che assegnavano un terzo dei delegati in palio in questo Stato. Messa con le spalle al muro dopo il mancato sfondamento del Supermartedì e, soprattutto, dopo le 11 vittorie consecutive ottenute dal Senatore afro-americano durante il mese di febbraio, grazie ad una campagna elettorale contrassegnata da una crescente aggressività verso il suo avversario nelle ultime settimane, Hillary ha saputo ricompattare il proprio schieramento centrando l’obiettivo minimo necessario per prolungare il testa a testa con Obama. Se i successi in Ohio, Texas e Rhode Island potrebbero segnare una brusca interruzione del “momentum” fino ad ora favorevole ad Obama, per la Senatrice di New York la rimonta nella somma dei delegati conquistati rimane però piuttosto complicata.

di mazzetta

La recente visita in Africa della coppia presidenziale francese, Nicolas Sarkozy e la di lui sposa Carla Bruni, ha dato luogo ad una sequela infinita di foto ad uso propagandistico pari al silenzio tombale sulle responsabilità dell’Eliseo nello scenario africano. Si tenta infatti di risollevare la ormai drasticamente calante popolarità del nano-presidente in patria, con le sue escursioni all’estero, omettendo, ovviamente, il senso e i contenuti delle sue visite. Ma nel caso della sua visita in Ciad, con il suo annesso fotografico, sono state molte le occasioni perse simultaneamente dal mainstream, che ha toppato clamorosamente anche sul fronte del gossip. Perché per una volta, non avrebbe dovuto essere tanto la legale (non proprio regale) coppia presidenziale francese, l’oggetto delle attenzioni, quanto piuttosto quella illegale (e non certo regale) ciadiana. In fondo la figura dell'ottuagenario Deby è degna di Novella 2000 nel suo lato rosa. Dopo una vita spesa in eccessi di ogni tipo l'anziano presidente, (che è un noto alcolizzato, facile all'ira, agli eccessi e alla passione) ha anche uno scheletro rosa nell'armadio: la signora Deby, è in realtà la sua segretaria personale.

di Fabrizio Casari

Rottura delle relazioni diplomatiche, invio di battaglioni armati di tutto punto e tanks alle rispettive zone di frontiera con la Colombia, accuse di servilismo, assassinio, menzogne e violazioni d’integrità territoriali ad Alvaro Uribe, il maggiordomo degli Stati Uniti in America latina. Il presidente del Venezuela Hugo Chavez e quello dell’Ecuador, Rafael Correa, hanno reagito nel modo più duro all’assassinio di Raul Reyes, portavoce delle Farc colombiane, ad opera delle truppe speciali dell’esercito di Bogotà. L’assassinio di Reyes e di altri guerriglieri è avvenuto in pieno territorio ecuadoregno, attraverso un attacco aereo al quale ha fatto seguito l’irruzione dei corpi speciali di Uribe che hanno finito a freddo con decine di proiettili i membri delle Farc. Nessuna resistenza da parte dei guerriglieri, colpiti in piena notte. Le truppe speciali di Uribe erano penetrate per diversi chilometri in territorio ecuadoregno, in flagrante violazione dello spazio territoriale di Quito. La cosa, ovviamente, non poteva rimanere sotto silenzio. Il presidente colombiano pensava forse che con una telefonata al suo collega ecuadoriano Correa, avrebbe avuto modo di risolvere rapidamente la questione, ma così non è stato. La reazione è stata durissima.

di Eugenio Roscini Vitali

Muovere confini, dividere popoli, stravolgere mentalità collettive e andare avanti con la testa rivolta all’indietro, senza guardare al futuro. E’ questa la politica che la comunità internazionale ha deciso di mettere in atto nei Balcani, un metodo già applicato in altri angoli dell’emisfero e che in molti casi non ha fatto altro che aggiungere disperazione alla disperazione. Trasformazioni che hanno portato alla creazione e alla dissoluzione di grandi imperi coloniali, che hanno ridefinito la mappa geo-politica e fatto nascere nuovi Stati. Basti pensare alla Conferenza di Berlino del 1885 durante la quale gli Stati europei si spartirono l'Africa, dichiarata res nullius o alla Conferenza di pace di Parigi del 18 gennaio 1919, che consegnò il Medio Oriente alla Gran Bretagna e alla Francia e ridisegnò i confini di mezza Europa; alla Conferenza di Yalta del 4 febbraio 1945 che divise la Germania e l'Europa in sfere di influenza e che fu il preludio della Guerra fredda; al crollo dell’Unione Sovietica e alla disgregazione della Jugoslavia. Un processo inarrestabile che dal 1958 ad oggi ha raddoppiato il numero degli Stati sovrani da 90 a 182.

di Carlo Benedetti

MOSCA. La religione del potere resta la stessa. Cambia solo l’icona. Il volto da appendere ora negli uffici statali e nelle sedi ufficiali era pronto da mesi, stampato a colori e in tutti i formati. Un volto già vecchio perchè noto e scontato. Ma Dmitrij Anatoljevich Medvedev (nato a Leningrado nel 1965) non soffre di complessi. Brinda alla sua incoronazione avvenuta domenica 2 marzo (per il vecchio calendario il 18 febbraio, una quaresima che gli ortodossi venerano con i nomi di Santa Agalita e San Flavian) in seguito ad una votazione plebiscitaria, di stampo “sovietico” con una vetta del 70%, che rappresenta una legittimazione a quanto già deciso dal potere. Perchè per la casta attuale del Cremlino - dopo il tormentone mediatico del “Votantonio, Votantonio” con 2747 presenze di Medvedev nei telegiornali delle ultime settimane - quello che conta è il sigillo che viene posto sulla vicenda che si è consumata in questi ultimi tempi. Ora, si dice, parte una nuova tappa nella vita istituzionale del Paese. Ma il giro è sempre lo stesso. E la “carovana” di corridori, giudici, massaggiatori, tecnici e manager va avanti impegnata in un giro della Russia all’insegna di quel motto da Gattopardo: "Cambiare tutto, per non cambiare nulla".


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