di Eugenio Roscini Vitali

Gli scontri che insanguinano le strade di Lhasa, le proteste inscenate dalla gente dell’altopiano e la repressione messa in atto dalle autorità cinesi sono i principali ingredienti di uno scontro culturale che risale a tempi antichi, che si è sviluppato, modificato ed è cresciuto nell’era moderna e che è definitivamente esploso dopo l’invasione cinese del 1950, quando le truppe della neonata Repubblica Popolare occupano parte del Tibet e danno inizio ad un lungo periodo di repressione fatto di stragi, annientamento delle istituzioni politiche, culturali e religiose e che si è poi trasformato in una vera e propria colonizzazione demografica. Le tensioni fra India e Cina, l’importanza strategica della regione e la necessità di far divergere il malcontento derivante dalla rigida applicazione delle teorie rivoluzionarie inducono Pechino a prendere il possesso di un territorio sul quale non aveva mai avuto un controllo assoluto, nel quale i simboli religiosi sono spesso diventati emblemi di indipendenza, di status e di sovranità.

di Valentina Laviola

Si è riunita a Pucallpa sabato 12 e domenica 13 aprile la “Cumbre de los Pueblos Amazonicos” in vista del Vertice Unione Europea - America Latina e Caraibi del prossimo maggio. È l’ultimo di una serie di appuntamenti che hanno già toccato il sud, Arequipa, nel settembre 2007, poi Puria, a nord, nel dicembre 2007 e Huancayo, nel centro, lo scorso marzo. Tutti appuntamenti tesi a dibattere proposte alternative in difesa dell’Amazzonia e improntate al rispetto dei diritti collettivi dei popoli. Obiettivo principale era quello di creare uno spazio di comunicazione tra società civile e Stati per ottenere il consenso alle politiche pubbliche; il programma prevedeva, inoltre, l’analisi della situazione amazzonica all’interno del contesto latino-americano e la discussione di uno sviluppo sostenibile che si rivelasse responsabile non solo in senso sociale, ma anche ambientale.

di Elena Ferrara

E’ stato il giorno del giudizio per 17milioni e 600mila nepalesi che nell’antico regno himalayano hanno mandato in archivio 240 anni di monarchia indù. Le elezioni per l’Assemblea costituente si sono infatti rivelate un vero e proprio referendum epocale, dal momento che hanno sancito l’inizio di una nuova era di gestione politica e istituzionale. Alle spalle resta quell’accordo di pace firmato nel 2006 con la guerriglia maoista che ha praticamente chiuso 10 anni di guerra civile e segnato la trasformazione dei ribelli in un partito politico. I nepalesi hanno dovuto scegliere 601 rappresentanti che riscriveranno la Costituzione e governeranno il Paese in attesa delle elezioni legislative. Si tratta delle prime elezioni libere dal 1999. L'obiettivo della Costituente sarà ora quello di trasformare l'antico paese in una repubblica. Per conoscere i risultati definitivi dello scrutinio bisognerà però attendere la fine di aprile o i primi di maggio.

di Luca Mazzucato

Il sei settembre dello scorso anno la notizia di un attacco israeliano alla Siria fa il giro del mondo e i commentatori fanno a gara per scoprirne i dettagli, si suggerisce un obiettivo nucleare. Se ne parla in tutto il mondo, ma non in Israele: la censura militare dell'IDF vieta per un mese intero la diffusione della notizia su tv, radio, giornali e stampa online. L'unica menzione permessa è la frase virgolettata “Secondo fonti straniere un raid israeliano ha colpito un obiettivo siriano.” L'affaire siriano ha mostrato la potenza e la pervasività della censura militare, che in Israele ha un potere di intervento illimitato. In quei giorni di settembre, per capire cosa stesse succedendo, se ci fosse il pericolo di una guerra imminente con la Siria dopo che per mesi l'IDF ne ventilava l'eventualità, i cittadini israeliani non avevano molte scelte. Una cortina impenetrabile di “no comment” da parte del governo, dell'esercito, di tutte le istituzioni, faceva il paio con il tono vago e trasognato degli organi di stampa.

di Saverio Monno

Archiviato il momento cruciale dell’”evangelizzazione”, la campagna elettorale, la più brutta degli ultimi quindici anni, è finita. Di messaggi ne abbiamo ricevuti abbastanza. Dal biblico “Rialzati Italia!” di Berlusconi, al profetico “Yes we can!” di Veltroni, passando per la “Scelta di parte” auspicata da Bertinotti, o per la lezione morale di Casini, secondo il quale “i veri valori non sono in vendita”. Senza dimenticare, poi, il pedagogico Ferrara che, folgorato sulla via di Damasco, s’improvvisa cavaliere pontificio, al grido di: “Aborto? No grazie!”. Ve ne sarebbero anche degli altri, ma nonostante la grande varietà di slogan ad effetto e l’altrettanto variegato parterre di candidati premier, il dibattito ha finito per concentrarsi sul duo Veltroni-Berlusconi. Dopo aver macinato centinaia di chilometri ed accumulato promesse su promesse, gli “anfitrioni” dell’ormai conclusa campagna elettorale, si sono scontrati un’ultima volta, sempre debitamente a distanza, nel corso della trasmissione televisiva “Matrix”. Sei milioni di italiani incollati al televisore. Il pulpito ideale per un’ultima arringa.


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