di Giuseppe Zaccagni

La Russia di Putin-Medvedev sostiene che le relazioni del governo di Pechino con il Dalai Lama sono “una questione interna” e, di conseguenza, critica i tentativi di “politicizzare” il prossimo appuntamento dei Giochi Olimpici in Cina. Eppure mentre la Russia ufficiale alza la voce per rafforzare sempre più i suoi legami con Pechino c’è chi rema controcorrente. E si tratta di una voce autorevole. Perché interviene il Lama locale - Tasci Gjazo - che a Mosca dirige il “Centro tibetano per la cultura e l’informazione”. Il personaggio (classe 1967, nato nel Tibet orientale) si è distinto in questi anni per il suo pragmatismo e per la sua volontà di stabilire buone relazioni con la dirigenza russa. Forte dell’appoggio di quelle repubbliche autonome a maggioranza tibetana (Baskiria, Buriatia, Calmucchia, Tuva) si è insediato nella capitale dopo essere stato cacciato dal Tibet: presentato direttamente ai monaci della Buriatia dal grande Dalai Lama ha assunto poi la direzione del centro buddista di tutte le Russie che è un’istituzione ufficialmente registrata - dal 1993 - presso il ministero della Giustizia della Russia. Accettato ed accreditato dal Cremlino Tasci Gjazo è ora una spina nel fianco del potere russo. E’ lui che sta organizzando una campagna in favore del Tibet e, quindi, di dura polemica con la Cina.

di Eugenio Roscini Vitali

La tenace resistenza con la quale si sta opponendo all’embargo e all’azione militare israeliana, il risonante effetto ottenuto sull’opinione pubblica con l’abbattimento del muro di Rafah e la crescita di consensi guadagnata a discapito di Fatah sono i fattori che fanno di Hamas la principale forza politica palestinese: un movimento che sul terreno rappresenta più di un terzo della popolazione, che dal 25 gennaio 2006 controlla il Consiglio Legislativo Palestinese e che può diventare determinante nel processo di pace con Israele. Una forza che va vista nell’ottica di una guerra che quasi tutti considerano insostenibile e la cui risoluzione non può prescindere dal suo coinvolgimento. Di questo ne è convito soprattutto Jimmy Carter che, nonostante le critiche dell’amministrazione americana e degli stessi israeliani, rimane il principale fautore di questa tesi (Palestina, alla disperata ricerca di una soluzione, 15 gennaio 2008). E così, mentre l’amministrazione Bush continua caparbiamente a battere la pista Olmert-Abbas, l’ex presidente Americano vola a Damasco dove incontra il leader in esilio del movimento islamico, Khaled Meshaal, per trattare una tregua più che mai necessaria.

di Elena Ferrara

Ora, senza pudore, ci sbattono in faccia i loro “sistemi”, le loro bugie. Ci informano - a posteriori s’intende - che gli esperti di comunicazione della Casa Bianca avevano messo in piedi un team di “commentatori” che avevano come obiettivo quello di rendere popolare la guerra contro l’Iraq. E così erano stati assoldati alcuni personaggi (“autorevoli ed indipendenti”) che dalle tv americane avevano il compito di addolcire la pillola, presentando la guerra di Bush, come una missione sacra, nuova crociata dell’Occidente contro gli infedeli dell’impero del male. Tutti questi analisti erano passati attraverso le scuole e le caserme del Pentagono. C’erano - sull’etere e sul video made in Usa - il colonnello Kenneth Allard che, dalla rete Nbc, “bombardava” i telespettatori con le sue analisi ottimistiche; c’era il generale Wayne Downing che si faceva riprendere in tenuta casalinga, con sullo sfondo la sua biblioteca. Parlava delle azioni militari e dipingeva un futuro roseo. E poco dopo la sua apparizione arrivava il generale Thomas Mcinerney che alla Foxtv riferiva sulle azioni vittoriose dell’armata statunitense. Anche lui ripreso in borghese e sullo sfondo del palazzone della Casa Bianca. Poi, a ruota, gli altri “giornalisti” tutti al soldo del Pentagono e della Cia: i generali Robert Scales dai microfoni di National Radio, Mongomery Meigs della rete Today-Nbc e, infine, Don Sheppard il falco della Cnn.

di Carlo Benedetti

In Russia si è al regime. Il vertice del paese - che è tutto nelle mani del duo Putin-Medvedev - occupa ora l’ultimo spazio che era ancora libero nelle bande televisive. Nasce un nuovo colosso dei media che sarà a libro-paga della presidenza. Si chiamerà “NMG - Mediagroup nazionale” e comprenderà una rete impressionante di stazioni russe: 864, per la precisione, che diffondono attualmente i loro programmi (informativi soprattutto) in Russia, nelle nazioni della Csi e nei paesi del Baltico (Lettonia, Lituania, Estonia). Nella nascente holding ci sarà posto anche per il quotidiano Izvestija che, ormai da anni, è la voce ufficiale del padrone (Putin) e che avrà un ruolo notevole nella gestione economica della NMG. Ma è anche chiaro che tutti i giornalisti del quotidiano (compresi quelli all’estero) saranno a disposizione dell’emittente. Si arriva, in pratica, ad una “piovra” che non ha eguali in altri paesi. A dirigere l’intero complesso il Cremlino ha chiamato Jurij Kovalcuk, un amico fidato di Putin che è anche proprietario della banca “Rossija” che è un istituto di credito di dimensione nazionale, con un capitale che nel 2006 ha raggiunto 3689,5 milioni di rubli (pari a 157,070 milioni di dollari).

di Giuseppe Zaccagni

Da Accra, capitale del Ghana, l’Onu si sveglia - sotto l’incubo di uno tsunami silenzioso - e scopre la fame nel mondo (per 100 milioni di persone) provocata anche da quei continui rincari dei prezzi agricoli, imposti dalle economie “forti”, che seminano il panico provocando le attuali catastrofi umanitarie. L’allarme è lanciato dallo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite, ??n Ki-moon, impegnato ad aprire l? dodicesima conferenza mondiale sul commercio ? sullo sviluppo. Ed è lui che si rivolge ai “potenti della terra” annunciando la pericolosità di una “crisi a cascata” in tutto il mondo, se l? questione dei prezzi elevati dei prodotti alimentari non sarà gestita correttamente. Il Segretario generale delle Nazioni Unite spiega poi che tutto questo si ripercuoterà “sulla crescita ???nomica, il progresso sociale ? l? stessa sicurezza politica mondiale”. “Non si può più aspettare - dice ancora - e di conseguenza la comunità internazionale deve avviare azioni urgenti per evitare conseguenze ?n??r? più gravi”.


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