di Michele Paris

Messa da parte la diffidenza risalente agli anni della Guerra Fredda, le relazioni tra India e Stati Uniti continuano a registrare progressi in tutti i campi. Da ultimo, ma solo cronologicamente, in quello militare, dove sono in gioco contratti da decine di miliardi di dollari sui quali le principali aziende americane operanti nel settore della difesa si stanno per avventare con la benedizione della Casa Bianca. La scorsa settimana, un breve soggiorno a Nuova Delhi del Segretario USA alla Difesa, Robert M. Gates, ha posto infatti le basi per importanti accordi volti a rinnovare le dotazioni militari della più popolosa democrazia del pianeta, il cui arsenale attualmente può contare in gran parte su obsoleti equipaggiamenti di era sovietica. La missione dell’ex direttore della CIA in Asia ha incluso altre tappe significative a Giakarta e a Canberra nel quadro di una partnership sempre più stretta con Indonesia e Australia, paesi strategicamente fondamentali per controbilanciare le ambizioni cinesi nel continente.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Tra le tante eredità che Putin lascia al suo successore c’è quella relativa al processo per l’abolizione della pena di morte. Perchè la strada verso una tale soluzione è ancora tutta in salita. L’ultima condanna (colpo di pistola alla nuca) risale al 2 settembre 1996. Subito dopo - in seguito alla pressione dell’opinione pubblica internazionale e del Consiglio d’Europa - Mosca ha introdotto una moratoria ma non ha ratificato il Protocollo entro i tre anni successivi, così come richiesto. E’ poi stato Putin a dichiarare che la Russia avrebbe rispettato la Convenzione, aggiungendo però che “la completa eliminazione della pena capitale dipenderà dall’opinione dei cittadini russi”. Un modo per prendere tempo e lasciare aperte le porte a quel 65% di abitanti della Russia che - secondo i rilevamenti più accreditati - sostengono la pena di morte. Ma nello stesso tempo Putin nel febbraio 2006 ha voluto manifestare di essere abolizionista e difensore della moratoria: "La punizione - ha detto - ha diversi scopi. C'è la correzione e il castigo. Con la pena di morte è impossibile parlare di correzione, c'è solo il castigo".

di Agnese Licata

Una gran victoria”. Così, l’ha definita il segretario del Partito socialista spagnolo, José Blanco. 169 seggi contro i 153 dei popolari: 16 deputati in più, come nella legislatura conclusasi con le elezioni di ieri. Una vittoria praticamente certa fin dall’inizio della campagna elettorale, anche di fronte a una situazione economica non più particolarmente rosea. Eppure, una vittoria che il Psoe di José Luis Rodríguez Zapatero ha avuto paura di vedersi sfuggire all’ultimo momento, alla stessa velocità con cui nel 2004, tre giorni dopo l’attentato di Madrid, gli elettori spagnoli avevano deciso di strappare la guida del proprio Paese al popolare José María Aznar per assegnarla proprio a Zapatero. Perché quando un gruppo terroristico come l’Eta torna ad uccidere, non c’è sondaggio capace di prevedere le scelte di voto. Soprattutto se il partito al governo è accusato di aver usato poca fermezza contro lo stesso gruppo armato.

di Luca Mazzucato

La scena riporta alla memoria quel terribile periodo della Seconda Intifada in cui ogni settimana a Gerusalemme saltavano in aria autobus carichi di gente. Decine di ambulanze fanno la spola tra l'ospedale e la yeshiva Mercaz Harav di Gerusalemme Ovest: un uomo armato di mitragliatrice è riuscito ad entrare nella biblioteca facendo fuoco sulla folla di studenti religiosi, uccidendone nove e ferendone una dozzina, finché uno studente armato ha ingaggiato l'assalitore in una sparatoria, uccidendolo dopo pochi minuti. Si tratta dell'attentato più grave dal 2004, che colpisce la scuola religiosa simbolo del movimento sionista. Ora la strada dei falchi è tutta in discesa: l'unica opzione sul tavolo diventa la rioccupazione di Gaza, dove Hamas e la Jihad si preparano all'arrivo delle truppe israeliane. Segnali di una Terza Intifada alle porte trascinano l'intera regione ancora una volta nel circolo vizioso di attacchi e rappresaglie.

di Bianca Cerri

Baby Girl Voigt era una bambina americana nata morta nel 1969 a causa delle percosse inflitte dal padre alla madre durante la gravidanza. L’uomo fu processato e condannato per i danni arrecati alla moglie ma non per la morte della bambina. I giudici dell’epoca sostennero che a livello giuridico un feto non può essere considerato una persona a tutti gli effetti. Nel 1978, la Commissione Americana per i Diritti Umani ha ritenuto invece eticamente corretto tirare in ballo la sacralità della vita ponendo sullo stesso piano delle creature viventi gli esseri ancora in embrione. Si trattò però più che altro di un’indicazione morale, senza alcun elemento giuridicamente vincolante. Nel 2004, George Bush ha invece firmato una legge, nota come Unborn Victims of Violence Act (Legge a favore delle vittime della violenza prima della nascita ndr) per mettere definitivamente fine alla discriminazione nei confronti del feto. Detto altrimenti: tra vita pre e post natale non esistono più limiti temporali e chiunque compia un’azione risultante nella perdita di un feto viene automaticamente accusato di omicidio volontario.


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