di Eugenio Roscini Vitali

Muovere confini, dividere popoli, stravolgere mentalità collettive e andare avanti con la testa rivolta all’indietro, senza guardare al futuro. E’ questa la politica che la comunità internazionale ha deciso di mettere in atto nei Balcani, un metodo già applicato in altri angoli dell’emisfero e che in molti casi non ha fatto altro che aggiungere disperazione alla disperazione. Trasformazioni che hanno portato alla creazione e alla dissoluzione di grandi imperi coloniali, che hanno ridefinito la mappa geo-politica e fatto nascere nuovi Stati. Basti pensare alla Conferenza di Berlino del 1885 durante la quale gli Stati europei si spartirono l'Africa, dichiarata res nullius o alla Conferenza di pace di Parigi del 18 gennaio 1919, che consegnò il Medio Oriente alla Gran Bretagna e alla Francia e ridisegnò i confini di mezza Europa; alla Conferenza di Yalta del 4 febbraio 1945 che divise la Germania e l'Europa in sfere di influenza e che fu il preludio della Guerra fredda; al crollo dell’Unione Sovietica e alla disgregazione della Jugoslavia. Un processo inarrestabile che dal 1958 ad oggi ha raddoppiato il numero degli Stati sovrani da 90 a 182. Ultimo capitolo di questo meccanismo legato spesso agli interessi politici ed economici delle superpotenze è il frettoloso riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo-Metohija, ennesimo esempio di un’incoerente e quanto mai sconfortante modo di risolvere un problema creandone uno ancora più grave. La rapidità con la quale l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno legittimato la dichiarazione di Pristina potrebbe avere infatti effetti rilevanti su tutti i Balcani e non solo.

Prime fra tutti le aspirazioni dei serbo bosniaci della Repubblica Srpska, ai quali la Bosnia-Erzegovina va stretta; le rivendicazioni degli albanesi della Ciamuria (regione settentrionale della Grecia) e della Macedonia occidentale che ancora cullano il sogno di una Grande Albania; i serbi del Kosovo-Metohija che vivono a nord del fiume Ibar, 55 mila civili che per paura di essere vittime di una nuova ondata di violenza albanese intendono chiedere l’annessione alla Serbia.

Da quando la Nato ha costretto Belgrado a ritirare la proprie truppe dal Kosovo-Metohija, la provincia è diventata a tutti gli effetti un protettorato delle Nazioni Unite, una sorta di Paese indipendente privo di sovranità, ma il cui futuro era stato già segnato. Lo aveva scritto il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, adottando la Risoluzione 1244 che aveva autorizzato la United Nations Interim Administration Mission in Kosovo (Unmik), la missione che avrebbe dovuto garantire lo sviluppo di istituzioni democratiche, la ricostruzione economica e sociale e la stabilizzazione della provincia fino al raggiungimento dell’autogoverno; lo ha ribadito l’Unione Europea che quest’anno ha inviato in Kosovo-Metohija la missione Eulex, un contingente di circa duemila uomini che comprende forze di polizia, magistrati, giuristi ed esperti internazionali.

Anche se a Banja Luka diverse associazioni e organizzazioni non governative hanno organizzato una manifestazione contro la separazione unilaterale, alla quale hanno partecipato circa 10 mila persone, in Bosnia-Erzegovina la dichiarazione di indipendenza del Kosovo-Metohija è stata accolta con cautela. Per ora i politici serbi della Republika Srpska sembrano orientati ad utilizzare la questione per rafforzare la loro posizione politica all’interno della Federazione; il premier Milorad Dodik si è limitato a dichiarare che la proclamazione annunciata a Pristina rappresenta un evidente violazione delle convenzioni internazionali e che ogni processo per l’autonomia deve avere una propria legittimità. La questione sul referendum per l’indipendenza non è tuttavia tramontata e in molti inneggiano alle promesse fatte dallo stesso Dodik durante la campagna elettorale, promesse che parlavano di una Republika Srpska indipendente.

Mentre l’amministrazione Bush è pienamente soddisfatta del risultato ottenuto, a Bruxelles la nascita del nuovo Stato ha creato qualche imbarazzo, frutto di resistenze dovute più che altro alle possibili ripercussioni interne che potrebbero verificarsi e che comunque coinvolgono pochi Paesi. Tranne Cipro, Romania, Slovacchia, Grecia, Bulgaria e Spagna, il resto dell’Unione è comunque schierata a favore dell’indipendenza del Kosovo- Metohija; particolarmente la Gran Bretagna, che è addirittura pronta ad impegnarsi militarmente a fianco di Pristina, dimenticando probabilmente che a Belfast c’è ancora qualcuno che ha voglia di rivendicare il diritto all’autodeterminazione.

A Mosca la cosa non è invece andata giù e, considerando il fatto come una violazione della legge internazionale stabilita dalla carta delle Nazioni Unite, ha costretto il Consiglio di sicurezza dell'Onu a non emettere un mandato di riconoscimento del Kosovo-Metohija. Inoltre, il Cremlino non ha nascosto la possibilità di scendere in campo in prima persona se le azioni di Europa e Nato dovessero essere in conflitto con le decisioni delle Nazioni Unite.

Il caso Kosovo-Metohija è un esempio eclatante di come le leggi internazionali possano essere interpretate in modo diverso a seconda delle circostanze e dei vantaggi che ne possono derivare. E’ anche la manifesta incapacità dell'Unione Europea nell’esprimere una politica estera comune, credibile e in grado di dialogare con soggetti esterni alla Comunità. Bruxelles ha perso l’occasione di mediare con Belgrado la secessione del Kosovo-Metohija e per questo ha indebolito la sua posizione all’interno della Bosnia-Erzegovina. Influenzare la Serbia con promesse di aiuti finanziari, accordi commerciali e con l'ingresso nell'Unione non è stato sufficiente e non lo sarà neanche in futuro se non si affronteranno e si discuteranno gli elementi storici, religiosi e politici che per centinaia di anni hanno influenzato l’intera regione.

Per la Serbia lo status del Kosovo-Metohija non è solo una problema di integrità territoriale, ma è anche una questione legata all’identità nazionale. Un esempio: il primo marzo i credenti ortodossi celebrano il Giorno dei Morti. Il primo marzo 2008 i serbi del Kosovo-Metohija si sono recati nei loro cimiteri scortati dalle forze di polizia e a molti non è stato addirittura permesso visitare le tombe dei propri cari. E questo è solo uno dei motivi per i quali Vojislav Kostunica e l’attuale leadership serba non modificheranno mai la loro posizione.

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