di Alessandro Iacuelli

Si tratta di uranio arricchito. E' il materiale nucleare sequestrato a tre persone arrestate tra Slovacchia e Ungheria. Lo riferisce l'agenzia di stampa CTK. Due dei sospettati sono stati fermati nella zona orientale della Slovacchia, un altro invece in Ungheria. L'identità degli arrestati non è ancora stata resa nota, ma si sa che si tratta di due ungheresi ed un ucraino. Sono accusati di aver cercato di vendere un chilogrammo di materiale nucleare. Un portavoce della polizia ha affermato che degli esperti stanno esaminando il materiale radioattivo, che i tre uomini volevano vendere per un milione di dollari. Melissa Fleming, portavoce dell'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica, afferma che i loro ispettori seguiranno il caso e che quanto avvenuto desta molta preoccupazione. Il materiale fissile sequestrato può essere utilizzato per costruire una “bomba sporca”, vale a dire un ordigno convenzionale avvolto in materiale radioattivo che si disperde nella deflagrazione. Secondo quanto indicato dal responsabile della polizia slovacca Michal Kopcik, si tratta di uranio 235, usato nei reattori e nelle testate nucleari, miscelato ad uranio 238. Si ignora al momento chi potessero essere i potenziali acquirenti. Le polizie di Slovacchia e Ungheria si guardano bene dal fare rivelazioni a riguardo.

di Eugenio Roscini Vitali

“La provincia del Kosovo e Metohija è parte delle Serbia e la sovranità e l’integrità territoriale del Paese sono garantiti dalla Costituzione, dalla Carta delle Nazioni Unite, dall’Atto finale di Helsinki e dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ogni soluzione per il futuro status del Kosovo e Metohija deve partire da questo principio e deve rispettarlo. Qualsiasi altra azione sarebbe dichiarata nulla e metterebbe in pericolo l’esistenza della Repubblica di Serbia che, in conformità con quanto sancito dal diritto internazionale, sarebbe costretta a reagire”. Questa è in sostanza la posizione serba sul Kosovo, un parere confermato anche durante i colloqui di Baden, dove il ministro degli Esteri serbo, Vuk Jeremic, ha dichiarato che qualsiasi soluzione unilaterale della crisi equivarrebbe all’apertura del Vaso di Pandora, con un effetto a catena che coinvolgerebbe i Balcani occidentali e che si propagherebbe anche in altre regioni del mondo. Jeremic ha ricordato i principi su cui si basa la Risoluzione 1244 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 10 giugno 1999: prevedere l’autonomia del Kosovo mantenendo comunque la sovranità e integrità territoriale della Serbia.

di Elena Ferrara

L’Iran di Mahmud Ahmadinejad esporterà uranio e, poi, lo rimporterà “arricchito”. Il punto di arrivo di questa operazione internazionale - che dovrebbe tendere ad attenuare la complessa crisi iraniana in vista di risposte definitive - sarà la Svizzera. Poi, sempre sotto il controllo dell’Aiea, Teheran riavrà il “prodotto” e potrà continuare con tranquillità i suoi programmi. Tutto, per ora, è sulla carta e la questione, ovviamente, necessita di maggiori approfondimenti. Con il Board dell’Aiea che si è trovato ? Vienna per un esame delle diverse angolature della situazione. Ed è appunto nella capitale austriaca che l'alto rappresentante della politica estera ? della sicurezza comune dell'Unione ?ur????, Javier Solana, ha reso noto che il 30 novembre farà il punto ? Londra ??n il ???? negoziatore sul nucleare iraniano, Said Jalili. I due, quindi, esamineranno le possibilità relative all'ipotesi di arricchire l'urani? in centri ad hoc all'estero sotto sorveglianza internazionale. In tal senso Solana è stato estremamente preciso: «Oggi - ha detto - l'Unione ?ur???? è nella posizione migliore per avviare l? riflessione necessaria ? fare proposte concrete approfittando del fatto che da qualche tempo circola l'idea di centri internazionali di arricchimento dell'urani?, sotto sorveglianza internazionale.

di Carlo Benedetti

I russi che vanno alle urne il prossimo 2 dicembre per eleggere il nuovo Parlamento (la Duma) arrivano all’appuntamento (considerato come una vera e propria prova generale in vista delle presidenziali dell’anno prossimo) consapevoli di una situazione particolare. Da un lato vivono in una crisi generale che va dall’economia familiare alle condizioni sociali, dal caos del pluripartitismo al potere degli oligarchi; dall’altro si trovano a dover constatare che il Cremlino va, a poco a poco, assumendo un volto autoritario che spinge indietro l’orologio della vita locale. Piaccia o no, questo è il quadro che ci si presenta. Il Presidente Putin, classe 1952, dopo una serie di rimpasti governativi ed istituzionali cerca di garantirsi un vitalizio politico dal Cremlino pretendendo di manovrare a suo piacimento la vita del Paese. Si è organizzato mettendosi accanto una schiera di fedeli (allievi del vecchio Kgb e amici d’infanzia nella Leningrado sovietica) e dando vita ad un suo partito, che si avvale anche dell’apporto di pionieri-balilla-avanguardisti che si vanno mobilitando in qualità di agit-prop. Intanto - sempre su ordine del presidente - gli oppositori (i “dissidenti” di oggi) sono braccati, picchiati e arrestati. Tanto che l’Osce frena la missione che doveva portare in Russia i suoi osservatori per monitorare lo svolgimento delle elezioni.

di Giuseppe Zaccagni

Da Baden in Austria - dove per la questione del Kosovo si è riunita la trojka dei mediatori degli Usa, dell’Unione europea e della Russia - arrivano notizie che segnano, in negativo, lo stallo delle trattative. E tutto, di conseguenza, producendo instabilità, disordine e disgregazione, slitta verso un nuovo e breve periodo di consultazioni: prima del 10 dicembre quando il rapporto sullo stato della situazione dovrà arrivare sul tavolo del segretario delle Nazioni unite Ban Ki-moon. Fase finale, quindi? Punto di arrivo? Momento di scelta? Per ora c’è solo da registrare un’intesa sul non accordo con dichiarazioni di questo genere: “La Serbia non permetterà l’usurpazione di un millimetro del suo territorio” dichiara il presidente del governo della Repubblica di Serbia Vojislav Kostunica. “Il Kosovo non intende essere ostaggio degli avversari dell'indipendenza” risponde il presidente albanese-kosovaro Fatmir Sejdiu il quale fa notare che le posizioni delle parti - e cioè Belgrado e Pristina - “sono il più lontane possibile” e lancia, di conseguenza, una seria minaccia per la stabilità europea. Kostunica ribatte sottolineando che le trattative si chiuderanno solo davanti al Consiglio di sicurezza a New York: “E’ lì - dice - che sono cominciate ed è lì che devono concludersi”.


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