di Fabrizio Lorusso

Studenti, attivisti e membri di numerose organizzazioni della società civile hanno manifestato nel pomeriggio del 2 ottobre scorso per commemorare i 39 anni della strage di Piazza Tlatelolco nella quale, a seguito di un’operazione militare partita alle 18.10, morirono oltre 300 persone (fino a 500 secondo fonti extra-ufficiali) che si erano radunate per discutere di democrazia, libertà politiche e strategie di lotta contro l’autoritarismo del regime fondato sul Partido Revolucionario Insitucional (PRI). Il 1968 era anche l’anno delle Olimpiadi nelle quali il Messico avrebbe mostrato al mondo i simboli della modernità che, finalmente, sembrava aver raggiunto la terra azteca in un contesto di presunta democrazia e sviluppo generalizzato. Il 2 1968 ottobre segnò profondamente la politica e la società messicana infliggendo un duro colpo al movimento studentesco, centrato soprattutto sull’attivismo degli studenti della UNAM (Universidad Nacional Autonoma de Mexico, una delle più grandi e prestigiose del mondo) e del Politecnico che rivendicavano un’apertura democratica.

di Daniel John Angrisani

Un anno fa, il 7 ottobre 2006, la giornalista russa del giornale di opposizione Novaya Gazeta, Anna Politkovskaya, venne trovata uccisa nell'ascensore della sua casa di Mosca. L’evento ha avuto una forte ripercussione internazionale danneggiando non poco l’immagine del regime di Putin all’estero. A distanza di un anno, a Mosca si è ricordato questo avvenimento, sebbene fossero più i poliziotti presenti in tenuta antisommossa che i manifestanti. L'atmosfera tra i partecipanti è stata tale che gli stessi organizzatori l’hanno definita come "una veglia funebre non solo a ricordo di Anna Politkovskaya, ma anche di ciò che era la libertà e la democrazia in Russia". Nella capitale russa si è tenuta anche una esibizione fotografica in onore della giornalista uccisa, organizzata dal gruppo russo per la difesa dei diritti umani, Memorial, di cui fa parte anche Natalya Estemirova, una coraggiosa giornalista cecena che proprio ieri ha avuto il Premio Anna Politkovskaya per il suo lavoro nella travagliata repubblica del Caucaso del Nord. Sebbene anche in questo caso la partecipazione popolare abbia lasciato desiderare, di questi giorni il fatto stesso che si sia riuscita a tenere una tale esibizione è una notizia.

di Fabrizio Casari

Quarant’anni fa, un medico argentino, uomo straordinario, moriva in un paese normale per una causa nobile, forse la più nobile delle cause. Ernesto Guevara de la Serna, detto “Che”, per via del suo ripetere continuo di quell’intercalare argentino, cavaliere errante e senza pace del diritto al riscatto dei più umili, dopo aver vinto nell’amata Cuba ed aver tentato di vincere nell’Africa martoriata, depredata ed umiliata dal colonialismo, decise di andare incontro alla morte in una anonima altura boliviana. Nelle Ande boliviane aveva scelto di andare a tentare la sua ennesima rivoluzione, per seguire “l’odore della polvere”, come disse a Fidel Castro al momento di lasciare Cuba. Era il marzo del 1965. Nell’isola aveva gloria ed onori, ruoli e riconoscimenti, ma che riteneva fossero medaglie di un tempo ormai andato, bandiere di una vittoria ormai raggiunta. Lasciò tutto quello che aveva per dedicarsi a tutto quello per cui viveva e si unì alle guerriglie in Africa e in America latina. Fidel, che scelse di aiutarlo per rispettare il patto tra loro, che prevedeva la possibilità di proseguire altrove la sua impresa, una volta che l’isola fosse stata liberata dalla tirannia di Batista, lo lasciò andare via fornendolo di tutto ciò che chiedeva e consentendogli di scegliersi i compagni d’avventura. Il Comandante Ernesto “Che” Guevara lasciava Cuba, i suoi ruoli e i suoi affetti con una lettera al lider maximo, nella quale non chiedeva nulla; le sole cose che pretendeva erano l’obbligo di privare i suoi familiari di qualunque privilegio, atteso che, il privilegio più grande di sua moglie e dei suoi figli, era quello di poter vivere e crescere in una Cuba libera e sicura, dove le leggi dell’uomo nuovo avevano definitivamente sconfitto quelle del denaro.

di Eugenio Roscini Vitali

Il risultato del voto indiretto per la scelta del presidente del Pakistan che il 6 ottobre il Parlamento e le assemblee provinciali hanno espresso, determinando la vittoria “scontata” del generale Pervez Musharraf, non da assolutamente l’idea del difficile momento che sta attraversando il Paese. La votazione, il cui risultato sarà reso ufficiale non prima di 11 giorni, si è tenuta in un clima di dubbi e sospetti ed è stata inficiata dall’assenza delle opposizioni. Infatti, il venerdì precedente il voto la Corte suprema aveva comunicato le sue “non decisioni” riguardo la possibile rielezione del generale alla carica di presidente della Repubblica Islamica del Pakistan; il giudice Javed Iqbal non aveva sciolto la riserva sulla candidatura di Musharraf, rimandando il giudizio al 17 ottobre e congelando l’esito del responso elettorale. Quello espresso dai pochi presenti al Parlamento e alle quattro assemblee provinciali è stato un verdetto unanime, dove Musharraf ha raccolto la quasi totalità dei voti: 252 su 257 nel Parlamento nazionale e stessa percentuale nelle Assemblee provinciali. Unici avversari del generale Musharraf sono stati Makhdoom Amin Faheem, ex ministro con il governo di Zulfikar Ali Bhutto, e Wajihuddin Ahmed, giudice in pensione che però ha raccolto solo una manciata di voti.

di mazzetta

L’esplosione della protesta popolare in Myanmar fornisce l’occasione di mettere a fuoco l’enorme trasformazione che ha colpito il dibattito italiano sui temi di politica estera negli ultimi anni. Fino a pochi anni la provvidenziale Guerra Fredda rendeva semplice il commento degli eventi, ovunque si verificassero. I cattivi erano facilmente identificati nel fronte avverso, per gli uni i regimi “comunisti”, per gli altri i paesi “capitalisti”; fine del discorso. Ogni analisi partiva dal preventivo schierarsi in uno o nell’altro campo per passare poi a dare la stura ai luoghi comuni e alla propaganda. Dal crollo del muro di Berlino questa semplicistica riduzione del mondo è come evaporata, lasciando più di un commentatore professionale con le braghe calate. Molti hanno fatto finta di nulla, continuando a praticare il vecchio modello, anche se ormai poco adatto ai tempi. Abbracciare le logiche del potere porta vantaggi e oggi che non c’è più nessun altro potere alle viste, tanti hanno ceduto e si sono arruolati nella guerra dell’Occidente, senza nemmeno sapere chi o cosa si sarebbe combattuto.


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