di Bianca Cerri

Bisogna dirlo: i giornalisti occidentali non amano associare la CIA alla tortura, preferiscono i “se” e i “ma” e lo hanno dimostrato nei giorni scorsi, quando è venuta alla luce la storia della videocassetta scomparsa contenente filmati delle torture inflitte dagli agenti della CIA ai prigionieri. A occhio e croce, la cassetta conteneva almeno un paio d’ore di video-registrazioni che mostravano uomini sottoposti a sofferenze sovrumane che i nuovi linguaggi giornalistici hanno subito trasformato in “tecniche estreme” o “interrogatori coercitivi”. In fondo, perché meravigliarsi visto che da oltre cinquanta anni la stampa finge di non sapere che la CIA manda i suoi agenti in giro per il mondo a torturare e sabotare. Ora è la volta degli arabi, ma ci sono stati africani, asiatici, latinoamericani e persino gli stessi statunitensi. Non fa poi molta differenza di che nazionalità siano le vittime, l’importante è che vengano ridotte all’impotenza in modo da placare le fobie di Washington. Nei primi anni ’60, quando il governo Kennedy combatteva contro il fantasma del comunismo, gli uomini della CIA calarono sul Centroamerica allo scopo di favorire i piani dei grandi industriali USA, sovvertendo l’ordine sociale e addestrando squadroni paramilitari con il falso pretesto di arginare improbabili calate bolsceviche. Alla fine di quella decade, Dan Muriones, massima autorità nel campo della tortura e in quel momento addetto all’Ufficio per la Sicurezza dell’Uruguay, diede una prova pratica della sua abilità uccidendo quattro mendicanti rastrellati nelle strade di Montevideo a forza di scariche elettriche. La stampa si guardò bene dal riferirlo.

Intanto, gli uomini addestrati dal capo dei Berretti Verdi erano impegnati nell’operazione Phenix, che servì a radere al suolo interi villaggi vietnamiti con tutti gli abitanti, senza che i giornalisti scrivessero una sola riga sugli ottantamila morti e sui ventiquattromila scomparsi che si lasciarono dietro. Tutto ciò verrà poi riassunto in un libro uscito negli Stati Uniti nel 1985 intitolato, incredibile ma vero, “La via comunista al potere in Vietnam”.

Nel 1973, la tortura era divenuta ormai una routine per gli agenti della CIA, che fecero sparire altre migliaia di persone in Cile e Uruguay. Dopo il colpo militare dell’11 settembre 1973 in Cile , chiunque capitasse nelle loro mani veniva arrestato, torturato e poi fatto sparire. Il brutale regime di Pinochet, salito al potere grazie al sostegno degli americani, trasformò il paese che Pablo Neruda aveva descritto come un lungo petalo di mare, vino e neve in una bolgia di terrore. Almeno trecentomila persone furono torturate con tecniche degne dell’Inquisizione che la stampa dell’epoca definì “sistemi irregolari”.

Altre migliaia scomparvero nel nulla. Il mondo imparerà ben presto a chiamarli “desaparecidos”, scomparsi, un termine che ancora oggi suscita inquietudine. Le famiglie e gli amici che si lasciarono dietro continuarono per anni a cercarli senza trovare altro che il silenzio dei burocrati.

Nel 1976, gli uomini della CIA e i gruppi anti-castristi collaborano assieme nell’attentato in cui perse la vita il diplomatico cileno Orlando Latelier assieme alla sua assistente ed al marito di lei. Da tempo, l’omicidio politico per togliere di mezzo un avversario potenziale era diventato un mezzo normale per la CIA.

Poi la lista iniziò ad allungarsi: Argentina, Guatemala, Salvador, Nicaragua. Una barbarie infinita dove non c’era posto per la dignità degli uomini. Un tirannello di nome Bussi che la CIA aveva aiuto nell’ascesa al potere se la prese anche con i mendicanti, che furono rastrellati nelle strade e portati a morire di fame e di sete in mezzo agli arbusti spinosi del deserto di Catamarca.

Negli anni ’80, l’amministrazione Reagan, ossessionata dal terrore del comunismo, spedì agenti in tutta l’America Centrale a torturare ed uccidere uomini, donne e bambini a decine, con il beneplacito dell’ambasciatore USA John Negroponte. Ines Murillo, una dei pochi prigionieri sfuggiti alla morte, racconterà che per 78 giorni continuativi fu torturata e poi costretta a restare appesa per le braccia mentre i suoi aguzzini la deridevano.

Con il trascorrere del tempo, la CIA si è fatta sempre più spavalda e non nasconde neppure più i metodi usati dai suoi agenti durante gli interrogatori, che comprendono la privazione sensoriale, le scariche elettriche, l’umiliazione sessuale, l’ibernazione artificiale, ecc. Non è credibile, come hanno scritto tutti i giornali, che i nastri siano stati fatti sparire per impedire che venissero alla luce cose che ormai tutti sanno. Con ogni probabilità i nastri riguardavano invece gli interrogatori di Josè Padilla, alias Muhajir Abdullah, cittadino americano accusato di collaborazione con gli uomini di Al-Qaeda rinchiuso in un carcere militare della Carolina del Sud all’insaputa di tutti. Nel 2005, un tribunale ha stabilito che, data la natura del reato, Padilla dovrà restare in cella sine die. Tuttavia, il reato di cui è stato accusato Padilla non è mai stato specificato e Bush aveva dichiarato sotto giuramento che non esistevano filmati o altro materiale che avrebbero potuto scagionarlo o dimostrare la sua innocenza.

Josè Padilla avrebbe dovuto comparire in tribunale il cinque dicembre, ma uno dei giudici ha chiesto il rinvio per motivi famigliari. Giusto in tempo per far sparire un video imbarazzante dal quale si intuisce che la CIA conosce il modo di far parlare chiunque con la tortura. Sempre che la cosa torni utile al governo americano, fulgido esempio di libertà e alfiere dei diritti umani nel mondo.


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