di Fabrizio Casari

Si balla sul filo elettrico con l’Iran. L’amministrazione Bush, alle corde negli indici di gradimento interni ed in estrema difficoltà nelle sue avventure militari in Irak e Afghanistan, continua ad inviare nuovi segnali di guerra verso Teheran. Gli viene in soccorso una parte dell’Europa, quella più ansiosa di associarsi al controllo statunitense sul domino geopolitica, mentre tira robusti freni la diplomazia europea che ha un’idea precisa della differenza che corre tra l’ordine e il disordine internazionale. Sembra che da parte di alcuni europei l’alternativa ai venti di guerra statunitensi possa essere rappresentata dall’imposizione di nuove sanzioni (leggi embargo); e qui la riproposizione del film iracheno appare abbastanza evidente. Da Roma, per fortuna, arriva il “no” deciso del governo italiano ad una nuova avventura senza logica e senza senso. Massimo D’Alema, è forse chi più e meglio rappresenta l’area della ragionevolezza politica, che prevede tatto, ma non cedevolezza, nei confronti delle pulsioni isteriche statunitensi. D’Alema ritiene che un eventuale attacco militare all’Iran avrebbe “conseguenze devastanti” e che la stessa imposizione di sanzioni a Teheran, in assenza di una iniziativa politica sul dialogo, rischierebbe di “avere scarsa efficacia”. “Condivido le perplessità di Sarkozy – spiega il titolare della Farnesina – secondo il quale si rischia di trovarsi nella scomodissima alternativa tra bomba atomica iraniana e bombardamento dell’Iran: dovremo invece evitare proprio di spingerci fino a quel bivio, che poi sarebbe un vicolo cieco”.

di Maura Cossutta

E’ stata presentata al Parlamento la relazione sull’applicazione della legge 194. Un atto dovuto da parte del Ministro della salute, secondo la legge che prevede che ogni anno si affidi al Parlamento l’analisi dell’evoluzione del fenomeno abortivo nel nostro paese, effettuata dal sistema di sorveglianza gestito dall’Istituto superiore di Sanità e dal Ministero della salute, in collaborazione con l’Istat e con le Regioni. Un atto dovuto, ma che quest’anno non poteva che essere anche un atto politico. Il Ministro Livia Turco non ha deluso, anzi ha esplicitamente scritto che non intendeva rimuovere i punti caldi del dibattito e che non intendeva presentare una introduzione formale. L’obiettivo è stato raggiunto. Le sue conclusioni sono chiare e ferme: la legge non necessita di alcuna modifica, la legge è stata ed è non solo efficace, ma anche saggia e lungimirante. E’ la prima volta in tutti questi anni che un Ministro conclude così e questo deve pur significare qualcosa. Non serviva una semplice relazione; serviva apertamente schierarsi. Infatti le pressioni contro la legge sono state pesanti e si sono accentuate nel tempo. Ogni settimana il solito Volontè preparava interrogazioni, che puntualmente il “Movimento per la vita” e il più moderno (!) “Comitato Scienza” e vita diffondevano attraverso la loro potente rete di comunicazione, ben organizzata e altrettanto ben finanziata.

di Agnese Licata

Mentre s’iniziano a fare i conti dei manifestanti arrestati negli scorsi giorni - più di duemila a sentire la tv di Stato birmana - il presidente francese Nicolas Sarkozy e il suo ministro degli Esteri Bernard Kouchner si ritrovano a dover dare non pochi chiarimenti sulle posizioni assunte a proposito di un’azienda che in Birmania ci lavora da anni. Sotto accusa, in un tribunale belga, la quarta compagnia petrolifera più potente del mondo, la francese Total. In particolare, ad essere riaperto è il caso del gasdotto di Yadana, quello che dal sud di Myanmar trasporta 17 milioni di metri cubi di gas al giorno nelle centrali nella vicina Thailandia. Secondo i promotori della causa - quattro birmani rifugiati in Belgio - la ditta francese avrebbe ricorso ai lavori forzati per costruire la pipeline. Lavori forzati e torture che materialmente sarebbero state portate avanti dall’esercito birmano, lo stesso che nel Paese guida dal 1988 un regime dittatoriale, lo stesso che nelle ultime settimane tutti i governi internazionali - Francia in testa - si sono affrettati a condannare fermamente.

di Elena Ferrara

Si chiamerà “Zona speciale di pace” e sarà una prima area dove la distensione tra le due Coree farà i primi passi. La decisione è stata presa nei giorni scorsi quando a Pyongyang si sono incontrati il leader del Nord, Kim Jongil, e il presidente del Sud, Roh Moohyun. I due hanno deciso di dare vita a una “Zona speciale” che è stata individuata nel Nord del paese, nella provincia di Hwanghae e precisamente ad Haeju, importante porto commerciale e peschereccio sul Mar Giallo (a 130 chilometri dalla capitale nordista) con cantieri navali, industrie chimiche e siderurgiche. L’esperimento di pace partirà, appunto, da questa regione che vanta anche una zona turistica di grande rilievo, quello della montagna Suyangsan, dove si trova un fortino con statue. E che il potere di Pyongyang ha deciso di abbellire con slogan monumentali in onore del leader Kim Il Song. La “Zona” diverrà il simbolo di una nuova politica commerciale che le due Coree hanno deciso di attuare dopo il vertice dei giorni scorsi. Pochi, comunque, i particolari che potrebbero servire a comprendere il senso generale dell’iniziativa. Per ora si sa che l’iniziativa distensiva è fissata come punto principale di un comunicato congiunto dove, tra l’altro, si dice che “Corea del Nord e del Sud sono d'accordo che l'armistizio esistente fra loro debba essere sostituito da una sistemazione permanente di pace”.

di Maurizio Coletti

La nuova linea del Piave per la destra si chiama “narcosale”. Sulle rive de fiume sacro alla patria si ritrovano, soprattutto, due partiti che marciano (guarda caso) uno pro ed uno contro l’unità dell’Italia. AN e Lega sono scatenate e minacciano azioni violente se il progetto di sperimentare le cosiddette “sale del buco” a Torino andasse avanti. Nelle retrovie, Udc e cattolici integralisti vari preparano vettovaglie, assicurano rifornimenti e truppe fresche armate delle migliori intenzioni ideologiche e demagogiche. Essendo di fronte alla quasi definitiva impossibilità di rispettare il programma colabrodo del Governo (che affermava la volontà di cancellare la legge Fini Giovanardi e di investire risorse adeguate nel settore), anche questi timidi tentativi di rinnovare l’intervento sembrano destinati ad entrare nel tritacarne dello scontro selvaggio. Che invade di ideologia un terreno che avrebbe bisogno anche di pragmatismo, di proposte concrete e fattibili, mirate ad alcuni aspetti emergenti dei fenomeni connessi all’uso ed all’abuso di sostanze. Nella furia cieca contro ogni innovazione, si fa anche una grande confusione.


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