di Bianca Cerri

Sono passati esattamente 50 anni da quando Elizabeth Eckford fu buttata fuori dalla Little Rock Central High School perché era nera. Willie Counts, un fotografo-giornalista di soli 26 anni, riuscì a trasformare le immagini della folla inferocita che le sbarrava la strada nell’icona della lotta contro la segregazione razziale. Il quattro settembre del 1957, una sentenza della Corte Suprema aveva stabilito che non dovevano più esistere scuole separate: una cosa inammissibile per i bianchi dell’Arkansas che che tentarono di impedire con ogni mezzo l’ingresso dei “negri” nelle stesse aule dove sedevano i loro figli. Orval Fabulus, governatore dello Stato e uno dei nemici più accaniti dell’integrazione razziale, mandò addirittura la Guardia Nazionale a picchettare le scuole e il generale Eisenhower, ormai divenuto presidente degli Stati Uniti, accusò i comunisti di aver agitato le acque con la scusa dei diritti umani mettendo a repentaglio la “sicurezza” del paese. La foto scattata da Counts ritrae Elizabeth Eckford mentre torna mestamente verso casa inseguita da alcune ragazze bianche che urlano frasi irripetibile contro di lei. Hazel Bryan, la ragazza immortalata con la bocca spalancata aveva la stessa età di Eckford, ma i genitori le avevano insegnato che i neri avrebbero dovuto tornarsene in Africa e non invadere gli spazi che appartenevano di diritto ai bianchi.

di Carlo Benedetti

MOSCA.Sulle elezioni da poco concluse c’è molta confusione. In pratica ha vinto Viktor Janukovic che si è aggiudicato - con la sua lista del “Partito delle Regioni” - un onorevole 43,2% confermandosi come il primo partito, tenendo anche conto che nelle ultime consultazioni il risultato era stato del 32,14%. Ma nell’arena irrompe subito la miliardaria Julia Timoschenko, nota come principessa del gas ed animatrice - per conto degli Usa - di quella “rivoluzione arancione” che ha segnato (e segna ancora) la vita politica dell’Ucraina. Il suo partito - un vero blocco di potere - ha ottenuto oltre il 26% consentendole, di fatto, di tornare a correre insieme al suo ex alleato, il presidente Jushenko (che si limita ad ottenere ora un risicato 14%), in un’alleanza che potrebbe di nuovo farla salire al trono di primo ministro se riuscirà a trovare collegamenti con le liste minori che hanno superato la cortina stabilita per entrare nel parlamento. E qui c’è da rilevare il successo dei comunisti che hanno raggiunto, per la prima volta, il 5,35%. E si delinea anche un buon successo del “Blocco di Lytvyn” e del Partito socialista, rispettivamente arrivati quarto e quinto nelle preferenze.

di Elena Ferrara

Roh Moo-hyun, presidente della Corea del Sud, ha deciso di attraversare il confine in direzione del Nord a piedi. Si è avvicinato a piccoli passi verso il 38° parallelo. Ha superato una fascia bianca segnata nel grigio dell’asfalto ed é poi stato risucchiato dal servizio d’ordine e dai diplomatici nordisti. Destinazione, il viaggio verso Pyongyang per il vertice con il collega Kim Jong-il. Si tratta di una nuova tappa epocale perché si è - a partire dagli anni Cinquanta quando si raggiunse un armistizio tra i due paesi - ad una fase che potrebbe far scattare ulteriori soluzioni di carattere distensivo. L'incontro attuale avrà an?he lo scopo di “espandere ? sviluppare le relazioni” tra i due paesi sulla base di quella Dichiarazione congiunta che fu firmata il 15 giugno del 2000 dal leader nordco??an? Kim Jong-il ? dall'allora Presidente sudcoreano, Kim Dae-jung. Pyongyang ha deciso di andare al tavolo della trattativa rivelando alcuni segni di ???rtur?. In particolare ??cetta di fornire un elenco ??mpleto di tutti i suoi programmi nucleari e di smantellarli entro la fine dell’anno. E se ciò avverrà an?h? gli Stati Uniti hanno promesso di prendere in ??nsid?r?zione un Trattato di ???? formale. Bush, in merito, h? detto ?h? s??à disposto ad ?ffrir? un nuovo “????rd? sulla sicurezza” se i coreani del Nord mant?rranno fede alle promesse di disarmo.

di Daniele John Angrisani

L'attesa è finita. Dopo mesi di speculazioni su cosa avesse deciso di fare Vladimir Putin per mantenere il controllo del potere, sebbene dovesse lasciare la presidenza nel marzo 2008, ora finalmente è diventato tutto molto più chiaro. Che il tempo delle scelte stesse per arrivare era ormai lampante, dati i tanti, troppi segnali, che in queste ultime settimane erano trapelate dal Cremlino. La nomina a premier di un perfetto sconosciuto quale Zubkov è stata il momento iniziale di una strategia che è culminata ieri con l'annuncio, a sorpresa, dell'accettazione da parte del presidente russo Vladimir Putin del posto di capolista di “Russia Unita” per le elezioni della Duma. A questo si aggiunga l'altra notizia, ancora più a sorpresa: Putin ha affermato di ritenere "abbastanza realistico" che egli possa diventare il prossimo premier russo, in caso di vittoria (scontata) di Russia Unita alle elezioni e dell'elezione di un presidente "decente, competente e moderno", un modo come un altro per definire colui che dovrà essere un suo fedele alleato. Si squarcia dunque il velo su quello che è stato definito dai manifesti elettorali di “Russia Unita” il "piano Putin", ovvero la via maestra per la "vittoria della Russia". Una via che, come vediamo porta ancora non solo il nome ma anche il volto dell'attuale presidente russo.

di Giuseppe Zaccagni

Non si placa la repressione e non cessa la rivolta in Myanmar. Ma Russia, India e Cina credono di vedere, nel mare “zafferano” della rivolta birmana, anche le bandiere a stelle e strisce della potenza americana. E mai come questa volta il duro giudizio geostrategico accomuna le diplomazie dei tre paesi. Ossessionati dall’espansionismo americano temendo che il sì a un’ingerenza negli affari interni di un Paese sovrano possa in futuro essere usata anche contro di loro. Come già avvenuto in Ucraina e in Georgia per la Russia, nel Pakistan per l’India e per la Cina con il Tibet. E così c’è un “no” agli americani che non è solo un grido che esce dai palazzi delle diplomazie. Fanno così ingresso nell’arena politica asiatica alcune concezioni geopolitiche che vanno ad opporsi alle idee sviluppate, nei media mondiali, sulla base di quanto avviene a Bangkok. Perché sia al Cremlino di Putin che nella capitale indiana che fu di Gandhi, che nella cittadella cinese che fu di Mao, la questione birmana è seguita sotto due aspetti. Il primo - che è poi quello più importante - riguarda la preoccupazione che si riferisce al fatto che le proteste che sconvolgono il paese asiatico siano il frutto di precise manovre di stampo americano.


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