di Giuseppe Zaccagni

Sul Kosovo i serbi alzano il tono dello scontro ed attaccano direttamente l’Onu e i governi dell’Occidente che si stanno prestando ad avvalorare le prossime elezioni locali previste per il 17 novembre nella contesa regione. E mentre la crisi politico-diplomatica si accentua Belgrado invita la minoranza serba - che vive nel Kosovo - a boicottare la consultazione. C’è, al riguardo, un documento ufficiale nel quale si sottolinea che, a otto anni dai bombardamenti Nato del 1999 e dall'imposizione di una tutela internazionale sulla provincia, continuano a non essere rispettati molti ''diritti elementari'' delle minoranze non albanesi. Senza considerare il fatto - osserva Belgrado - che i ''due terzi'' della comunità serbo kosovara sono stati costretti negli ultimi anni a lasciare la provincia e restano tutt'ora impossibilitati a rientrare. I dati in merito sono impressionanti e poche sono quelle forze che in occidente si diffondono su questo aspetto umanitario. Per questo a Belgrado c’è chi si chiede dove siano finiti tutti quelli che piangevano sull’esodo dei kosovari nel momento in cui gli aerei della Nato colpivano quei villaggi del Kosovo che subivano già le repressioni criminali degli uomini dell’Uck. La denuncia di Belgrado riguarda ora il fatto che nel corso di questi ultimi otto anni di “presenza” dell’Onu in Kosovo non sono state risolte le condizioni più elementari per permettere una vita sicura ai serbi e alle altre popolazioni non albanesi. Ed è particolarmente umiliante - insistono i serbi - che due terzi della popolazione serba del Kosovo viva ancora fuori dei confini regionali.

di Bianca Cerri

Tre ragazze bionde passano di corsa ai bordi di un campo dove alcuni ragazzini stanno giocando a baseball. Una di loro ha nella borsa alcune dosi di eroina che si inietterà con le due amiche che la accompagnano. Finalmente si fermano davanti ad una chiesa e preparano le siringhe. Siamo a Willimantic, nell’est del Connecticut, una località di 15.823 abitanti dove imperano da sempre ambivalenze politiche, ma l’eroina abbonda più che in ogni altra parte del mondo. Un flusso ininterrotto, più copioso dell’acqua del Willimantic River, il fiume dal quale la città ha preso il nome. Gli spacciatori vendono almeno 350 dosi al giorno per sette giorni alla settimana. Sono ormai anni che l’eroina ha invaso il Connecticut. I poliziotti si sono arresi e non fanno nulla per impedire lo spaccio. Una televisione locale manda in onda tavole rotonde alle quali partecipano solo eroinomani. Non molto tempo fa sono arrivati alcuni cani anti-droga, qualcuno li ha persino sentiti abbaiare, ma non si sa che fine abbiano fatto. Le morti per overdose abbondano ma nessun giornale si sogna più di pubblicare i particolari che le riguardano.

di Luca Mazzucato

Nella notte di mercoledì 5 settembre, una flotta di almeno otto caccia israeliani ha attaccato un misterioso obiettivo militare nella Siria settentrionale, vicino al confine con la Turchia, con il rischio di far deflagrare la tanto discussa guerra con la Siria. Il motivo del raid e il suo esito sono del tutto oscuri: il governo israeliano mantiene un totale riserbo, mentre la Siria ha inoltrato una protesta ufficiale all'ONU, fornendo nei giorni successivi versioni contraddittorie dell'accaduto. I media occidentali cercano di risolvere il giallo, sparando tutti gli scoop possibili sulla natura dell'obiettivo: prima un carico di armi per Hizbullah, poi un sistema missilistico russo, poi un cargo di materiale nucleare dalla Corea del Nord, infine un'installazione nucleare militare fornita assistita dalla Corea, versione quest'ultima sostenuta dalla Casa Bianca. Per riproporre forse il ben riuscito trucco delle armi di distruzione di massa. L'ambasciatore siriano all'ONU si sgola per attirare l'attenzione, ma i Paesi arabi sunniti fanno orecchie da mercante, sempre più schierati contro l'asse Iran-Siria. E la Rice compare a sorpresa in Israele, per ringraziare gli israeliani della missione, forse in previsione dell'attacco americano all'Iran.

di Alessandro Iacuelli

Il governo nord coreano ha annunciato la propria intenzione di interrompere il programma nucleare in atto e smantellare le centrali già attive. La decisione è stata presa dopo una lunga stagione di colloqui con gli Stati Uniti. L’accordo prevede che la Corea del Nord renda note le cifre del suo progetto nucleare e si impegni ad eliminare del tutto la tecnologia atomica entro la fine del 2007. Il responsabile del programma nucleare coreano, Kim Kye-gwan, ha dichiarato che in cambio il Paese riceverà benefici politici ed economici. Al tavolo dei negoziati, oltre a Stati Uniti e Corea del Nord, sedevano Cina, Russia e Giappone, con posizioni da mediatori, che hanno permesso all’AIEA di ottenere, nei mesi scorsi, l’autorizzazione a fare dei sopralluoghi nei siti nucleari coreani. La stessa notizia dello smantellamento era già stata annunciata, in via ufficiosa, dal vicedirettore generale dell’AIEA, il finlandese Olli Heinoen.

di mazzetta

Il generale Musharraf negli ultimi tempi è un po’ in difficoltà e ad aiutarlo sono arrivati alcuni fini strateghi americani, “illuminati” sulla strategia da seguire nienttoemeno che dalla famiglia reale saudita. La distruzione della Moschea Rossa sembra aver determinato lo stato di guerra tra l'esercito pachistano controllato dal dittatore e le numerose formazioni d'ispirazione islamica nel paese. Da allora si sono succeduti numerosi attacchi ad obbiettivi militari, in un bagno di sangue che ha pochi precedenti nella storia del Pakistan. Più dell'insorgere islamista a vendicare le vittime dell'assalto alla moschea, più ancora dell'aspro confronto con il chief of justice Chaudry; a preoccupare è una crisi generale del paese che, nonostante la crescita del PIL, esclude gran parte dei cittadini dall'istruzione e dalla partecipazione al godimento del reddito nazionale. Il Pakistan è ancora oggi un paese saldamente nelle mani dell'esercito, un esercito che ha una propria agenda, propri interessi economici e una lunga storia di proficui rapporti con la famiglia reale saudita e la famiglia Bush. Quando, in seguito agli attentati del 9/11, gli USA invitarono Musharraf ad arruolarsi nella “war on terror” minacciando in caso contrario di “riportare il Pakistan all'età della pietra” (così almeno ha riferito Musharraf nella sua ultima fatica letteraria), l'esercito pachistano aderì con entusiasmo, salvo proseguire sottotraccia nel sostenere e guidare i Talebani in Afghanistan.


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